Sopravvivere / Andrés Neuman, Frattura

7 Settembre 2019

“A terra le cose giocano a modo loro. Guadagnano una piastrella, aspettano il proprio turno, si arroccano. Le correnti generano mulinelli, disordini microscopici. Un foglietto trascina il suo origami fallito. Il gelato che si scioglie sulla panchina è stato rotondo. Un accendino dà fuoco alle polveri che passano. Accanto alle macchinette, un paio di auricolari rimpiange le proprie orecchie. È appena caduto dai pantaloni del signor Watanabe, mentre si frugava nelle tasche e si recava infastidito a comprare il biglietto. Quando il suolo smette di essere suolo, gli auricolari cominciano a serpeggiare in mezzo ai passi: un fuggifuggi in stereo. L’accendino rimbalza, invoca la propria fiamma. La pallina di gelato allarga la sua ombra. Il foglietto allenta la pressione, dispiegando un testo che nessuno legge.”

Nell’agosto del 1945 l’aeronautica militare degli Stati Uniti sganciò, a distanza di tre giorni l’una dall’altra, due bombe nucleari sulle città di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone. Le bombe avevano nomi deliziosi, lo sappiamo: Little boy, la prima, e Fat man, la seconda. Morirono centinaia di migliaia di civili, senza contare quelli che morirono dopo, per tacere di tutti quelli che portarono, che hanno portato, che portano i segni sulla pelle, o sottopelle. Le ferite che non si vedono e che non si rimarginano. Tutto questo è storia.

 

Il protagonista di Frattura di Andrés Neuman (Einaudi 2019, traduzione di Federica Niola) si chiama Yoshie Watanabe ed è, per una serie di circostanze oltremodo fortunate, sopravvissuto a entrambi i bombardamenti. La sua famiglia, genitori e sorelle, sono morte in quei giorni. Il padre mentre gli camminava accanto a Nagasaki. Yoshie è stato cresciuto dagli zii a Tokyo e, appena ha potuto, se ne è andato a studiare in Europa, a Parigi. Da lì, grazie a un talento per gli studi, per il lavoro e per la fuga, ha girato il mondo e ha vissuto in quattro grandi città: Parigi, appunto, New York, Buenos Aires e Madrid. Queste sono le basi sulle quali Neuman costruisce un romanzo che attraversa il novecento e arriva fino al 2011, al terremoto che precede l’esplosione di Fukushima. In quei giorni, Yoshie, da anziano pensionato è tornato a vivere a Tokyo, cercando forse un po’ di pace, ma il terremoto e l’esplosione lo condurranno su una strada che non è altro che il sentiero del passato. Le cicatrici restano lì, dormono per anni, ti fanno fare cose, prendere decisioni, ti portano via, ti fanno tornare e, al momento opportuno, ti inchiodano.

“Scoprii a poco a poco che è possibile accostarsi a una lingua grazie agli errori che i parlanti commettono nella nostra. Come nell’amore, gli errori parlano di noi più delle cose giuste. […] Brassens non cantava le  nostre vite. Ma noi facevamo il possibile per vivere come cantava lui.”

 

 

Andrés Neuman è nato a Buenos Aires e vive da tempo in Spagna; è considerato uno dei maggiori scrittori giovani (definizione che mette sempre un po’ i brividi quando si parla di quarantenni, ma così è) in lingua spagnola, è autore di romanzi, poesie e racconti, è stato indicato da Bolaño tra gli autori che terranno in mano le sorti del ventunesimo secolo. Di recente, Einaudi ha ripubblicato il suo bellissimo Il viaggiatore del secolo (uscito anni fa per Ponte alle Grazie) e Sur, qualche tempo fa, l’originale raccolta di racconti Le cose che non facciamo. Neuman è un osservatore delle cose e della condizione umana, ed è molto abile nel tessere storie che hanno un nucleo quasi invisibile alla radice. Nucleo che viene portato in superficie a poco a poco, attraverso l’utilizzo della lingua (resa sempre molto bene da Federica Niola), della storia, dell’ironia, dello stratagemma letterario, che non è un trucco ma un metodo.

“La fortuna, d’altra parte, dipende dal luogo in cui se ne parla. Lui credeva nella buona sorte del giallo. Il colore del sole, dell’oro, del muro che lo aveva protetto dall’esplosione. Finché non aveva scoperto con stupore che, in molti paesi, era un colore infausto. Quello della malattia, del tradimento, delle notizie scandalistiche.”

 

La storia di Yoshie viene narrata da quattro donne che lo hanno amato, nelle città in cui ha vissuto. Donne diverse tra loro, ma con alcune cose in comune. Tutte e quattro hanno capito Yoshie, tutte e quattro gli sono rimaste affezionate e hanno compreso il tempo del distacco, per alcuni momenti ne hanno afferrato il motivo; anche se il motivo vero è la somma di tante piccole ragioni inafferrabili. Le donne si chiamano Violet, Lorrie, Mariela e Carmen, leggendo ce ne innamoreremo, perché ci dicono di Yoshie, ma ci dicono di loro. Di com’erano prima, di come sono diventate dopo, di dove sono andate a proseguire le vite e con il loro aiuto viaggeremo dentro il novecento.

“Ogni cosa che vedo mi parla di ciò che non posso più vedere. La mia città è un’eco.”

Violet ci dirà di Parigi, in pagine che ai più attenti ricorderanno Annie Ernaux, la Parigi degli anni sessanta, delle soffitte, delle sigarette fumate di nascosto, delle passeggiate notturne, della musica di Brassens, del maggio francese, di quel profumo caldo e nuovo che sempre ci avvolge come nebbia quando ritroviamo Parigi e quegli anni in cui all’Europa sembrò di nascere daccapo e davvero.

Lorrie, che ha fatto la giornalista per tutta la vita, ci racconterà della frenesia stupenda di New York all’inizio degli anni settanta, di quella città mondo, che cambiava e che cambia di continuo. Il giornalismo, le corse di notte per una notizia, i taxi, le luci, la musica di nuovo, gli scandali della politica.

“A volte, quando sprofondo nel pessimismo, immagino che la storia di questo mondo sia stata scritta da un economista argentino.”

 

Mariela è Buenos Aires, la dittatura è da poco finita (anche in quel caso ci sono ferite che non passano mai), l’Argentina si rimette in piedi, o ci prova. C’è un gatto di nome Walsh, ed è l’omaggio (non ho dubbi su questo) che Neuman riserva a Rodolfo Walsh.

Ci saranno Carmen e Madrid, nel nuovo secolo. La Madrid degli attentati, ma anche la capitale che è mutata in tutti gli anni in cui Carmen l’ha vissuta, prima povera e poi ricca, dopo una via di mezzo. Bellissima.

“Tutti vogliamo tornare alla normalità, ma mi domando se possiamo. Persino se dobbiamo.”

Yoshie con queste donne ha attraversato il tempo, ma che uomo è stato? Un ottimo dirigente, una persona gentile, un uomo che ha cambiato amori e lingue –  questo romanzo è anche un piccolo saggio sull’interpretazione dei linguaggi, sulla traduzione, di come ci si possa amare e riconoscersi in idiomi diversi –,  modi di vivere e di rinunciare.

Il kintsugi è una pratica giapponese molto antica che prevede l’impiego dell’oro per rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto. L’oggetto riparato diventa così un’opera d’arte, come si legge nella seconda di copertina del romanzo, il kintsugi è la celebrazione delle cicatrici, l’elogio delle linee di frattura. Yoshie è un uomo fratturato, le donne che lo raccontano nel tempo ci fanno intravedere che cerca da tempo l’oro o un altro materiale prezioso che sani la sua frattura.

 

“Gli viene in mente lo splendore velenoso dell’oleandro, fiore ufficiale di Hiroshima, il primo che germogliò dopo la bomba atomica. Gli oleandri sono in grado di resistere al dolore molto più a lungo dei giardinieri che li coltivano.”

La storia di un uomo e di un secolo, entrambi fratturati: chi sarà in grado di praticare il Kintsugi? Nei capitoli, alla voce delle quattro donne si alterna quella di Yoshie, solitario e irrequieto che segue dai notiziari l’evolversi del disastro nucleare di Fukushima. Così come fa Neuman per le storie, Yoshie non resiste all’impulso di avvicinarsi al nucleo, di andare il più vicino possibile al disastro, che è come andare indietro all’infanzia, all’origine della frattura.

Neuman lavora su due piani, il presente di Yoshie e i suoi passati, alterna le voci così che questo libro suoni come un coro, che è intimo perché parte da storie private, ma non può far altro che essere il coro del novecento. Riflettendo, vien da dire, che apparteniamo tutti a certe fratture, sembriamo fortunati, perché quei fatti li abbiamo solo letti sui libri, ma forse non è così.

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