Manipolazione / Trailer e film: strategie di seduzione cinematografica

29 Novembre 2017

Michel Piccoli e Brigitte Bardot snocciolano gli ingredienti uno a uno: ci sono, in ordine di apparizione, la femme, l'homme, l'Italia (con una bella vista di Capri), amanti, pistole, starlette, baci e camere da letto. Il semplice evocare questi stereotipi, mettendoli in fila secondo un ordine preciso, nel caso del trailer del godardiano Le Mépris (1963), sorta di grado zero di ogni trailer degno di questo nome, basterà a rendere l'idea. Le situazioni e i personaggi elencati, infatti, vanno a costituire un filo rosso che funziona, a tutti gli effetti, come una promessa. E proprio ai tanti fili rossi chiamati in causa dai trailer cinematografici che, di volta in volta, su Internet o in televisione, al cinema come alla radio, si contendono la nostra attenzione è dedicato il nuovo Trailer e film. Strategie di seduzione cinematografica nel dialogo tra i due testi di Martina Federico, pubblicato per i tipi di Mimesis. 

 

L'idea alla base del libro è molto semiotica: i trailer vengono dati per scontati, considerati alla stregua di testi promozionali da tenere ben distinti dalla "vera arte" rappresentata dal film e, pertanto, non meritevoli di attenzione critica. Portatore dello stigma del marketing, il trailer agisce, così, silenziosamente, passando inosservato fra i tanti messaggi pubblicitari che circolano nello scenario sociale. Toccherà, manco a dirlo, al semiologo inchiodarlo alle sue responsabilità, facendo emergere dall'ovvio il suo carattere ideologico e culturale, di primo e forse più importante luogo di costruzione di un vero e proprio discorso sul film. 

Riportare la giusta attenzione nei confronti dei trailer si rivela, però, – lo dimostra la leggerezza con cui si legge questo volume – operazione tutt'altro che intellettualistica: ragionare sulle tante strategie di seduzione messe in campo dai trailer può assumere i tratti di un gioco critico intelligente e leggero. I trailer, di regola, infatti, puntano a circuire lo spettatore, suggerendo percorsi interpretativi a discapito di altri, mettendo in luce imprevisti risvolti della trama o, al contrario, confondendo le acque a vantaggio di suspense e sorpresa. Imparare a riconoscere questi scarti, gli stratagemmi sempre diversi attraverso cui, ogni volta, i trailer riescono a convincerci è sicuramente un esercizio stuzzicante oltre che istruttivo. 

Ma quali sono le regole di questo gioco? Guardare il trailer due volte. 

 

Va bene lasciarsi sedurre, così come fan tutti, dalle sue lusinghe prima di andare al cinema. Per capire davvero il senso del trailer, bisogna, però, fare un passo in più e prendersi la briga di tornare a esso di nuovo, a film bell’e che visto. Sarà proprio lo scarto fra le due visioni, quella precedente e quella successiva al film, a rappresentare lo spazio di esistenza del trailer. In questa terra di mezzo, emergono le strategie manipolative più eterodosse. Il trailer di Le Mepris con cui abbiamo aperto, nella sua linearità rappresenterà, per esempio, l'archetipo del cosiddetto trailer narrativo, che fa della messa a fuoco di un'impalcatura narrativa coerente e speculare a quella del film la propria ragion d'essere. All'estremo opposto troviamo, invece, trailer come quello di Arancia Meccanica (1971) che l'autrice definisce "antinarrativo". Il trailer chiama in causa scene di violenza ma assume un tono parodistico, fa costantemente appello a conoscenze pregresse dello spettatore, che complicano il processo di interpretazione. Sarà proprio la discrepanza fra quanto dichiarato nella parte verbale del trailer ("si tratta di un film comico", "di un musical" etc.) e quanto mostrato (scene drammatiche di violenza) a mettere in moto nello spettatore la curiosità di risolvere il rebus, procedendo alla visione del film. 

 

 

A partire dalla tensione fra questi due poli opposti è possibile riconoscere una quantità innumerevole di casi intermedi che costituiscono il "corpus" scelto dall'autrice per analizzare alcuni trailer più recenti. Ognuno di essi viene analizzato in rapporto con il film, prima e dopo la visione. Prendiamo Frances Ha (2012) di Noah Baumbach. Si tratta di una commedia generazionale che affronta il rapporto di amicizia fra due giovani donne alle prese con le scelte legate alla propria carriera lavorativa e, d'altro canto, con il progressivo sfilacciarsi della loro amicizia determinato dal fatto che la loro vita sentimentale diventa sempre più impegnativa.

 

Il film si concentra proprio sulla linea d'ombra che divide la giovinezza dall'età adulta, mettendo in scena, in maniera leggera e minimalista, le difficoltà di prendere in mano le redini della propria vita. Nel film, questi passaggi sono molto sfumati, inseriti in un intreccio senza veri colpi di scena ma ricco di dialoghi e intricate conversazioni. Sintetizzare tutto ciò non è affatto facile. Ecco perché le scelte legate a questo trailer possono essere considerate paradigmatiche. Esso, attraverso il montaggio, sceglie di scardinare i dialoghi e l'ordine delle battute, riconfigurandoli per i propri fini. Così facendo, il trailer "tradisce" il testo di partenza (lo manipola, per essere più precisi) ma, allo stesso tempo, mostra nei suoi confronti una fedeltà più profonda: la visione del film finisce, infatti, per confermare la bontà di questo tradimento, necessario per restituire, in pochi secondi, il senso generale della pellicola. Caso meno riuscito, secondo Federico, è quello di Irrational Man (2015). Stavolta, il trailer sceglie di non rivelare – riservandolo agli spettatori del film al cinema – il motivo per cui un prof. di filosofia, abbastanza esistenzialista e tormentato, ritrovi improvvisamente, grazie a una folgorante intuizione di cui nulla di più si dice, voglia di vivere e buonumore. Quando si scopre, al cinema, il "perché" di un così repentino e radicale cambiamento si rimane, però, perplessi. In questo esempio, il film costituisce un completamento (e non un'evoluzione) della storia evocata dal trailer: il tassello mancante, una volta rivelato, non riesce a convincere completamente lo spettatore, che rimane deluso. 

 

Il libro propone una cinquantina di schede di analisi di trailer di film scelti fra le uscite più interessanti delle ultime stagioni, trasformandosi in un'originale guida cinematografica, una volta tanto, concentrata sul problema della riscrittura, del dire quasi la stessa cosa, come esercizi critici fondamentali. 

Riguardare il trailer dopo avere visto il film che si è scelto di vedere proprio grazie a quello stesso trailer si rivela, così, un ottimo modo per capire meglio il senso del cinema contemporaneo, il suo pubblico e le sue ragioni, superando, confortati dalla migliore pratica semiotica, la sterile distinzione fra testo e paratesto.  

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