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Alfabeto Pasolini / Walter Siti: quindici riprese con PPP
Sono ormai cinquant'anni che Walter Siti, il curatore dei Meridiani consacrati a Pasolini, si dedica allo studio del medesimo. In questo corposo volume di oltre quattrocento pagine “riprende” quindici studi già editi (veramente sarebbero venti, dato che l'ultimo ne raggruppa in realtà cinque, ancorché brevi). La parola “ripresa” è declinata qui nel suo senso essenzialmente pugilistico: ripresa come round: quindici round, dunque, proprio come negli incontri di boxe validi per i campionati europei o mondiali.
Il termine dice tutto: Siti non vuole essere uno studioso neutrale.
Va di proposito contro la “buona educazione filologica” (p.201) e anche contro la buona educazione critica. Dichiara apertamente di aver invidiato Pasolini, di esserne stato geloso; di essersi vendicato di lui con meschinità “facendogli le pulci” (p.12). Insomma di aver perpetrato il crimine che un critico non dovrebbe in teoria mai commettere: la contaminazione tra analisi del testo dell'autore e situazione personale dello studioso (p.202). Per questo, nei brevi cappelli introduttivi che accompagnano queste “riprese”, affiorano ricordi autobiografici, sapidi aneddoti e cenni alla propria vicenda di narratore in proprio.
Ma, in ciò, egli si rivela ben pasoliniano, anzi: profondamente pasoliniano.
Perché? Ma perché una delle tesi principali di questi saggi brillanti è quella che viene espressa bellamente già nel titolo del primo: Tracce scritte di un'opera vivente. Fra l'altro si tratta di un endecasillabo, probabilmente non spontaneo, come quelli che fioriscono sulle labbra di Begalone, personaggio di Ragazzi di vita (p.182). Comunque Siti, nel corso di tutti o quasi questi scritti, ribadisce pervicacemente un punto: è del tutto assurdo, benché sia stato fatto innumerevoli volte, rimproverare Pasolini per la commistione di arte e vita, riprovevole peccato d'impronta decadente, dato che lui ne faceva apertamente professione.
A p.79, per esempio, è detto che “la vita stessa dell'autore” è “parte integrante del segno”. A p.81 che non c'è testo di Pasolini, soprattutto fra gli ultimi, che “non annetta lo spessore biografico dell'autore tra gli elementi formali della scrittura”. E poi, p.131, è ribadito che quelli di Pasolini, più che sereni oggetti testuali autonomi, sono gesti esteriori. Che la vita dell'autore, p.196, va integrata con quella del testo, che essa è un segno, né più né meno di esso. Che c'è un'autentica commistione tra la persona empirica e l'energia testuale (p.199). Che, in Ragazzi di vita per esempio, è lo scrittore stesso il protagonista occulto del libro; che la sua storia è quella che si rivela più avvincente (p.254); che il discorso indiretto libero di questo romanzo è equivalente addirittura a “un bacio” (p.251); che la tragedia esistenziale di PPP è la stessa del Riccetto.
Analogamente: il drammatico non-finito fattuale di Petrolio, data la morte atroce e prematura dello scrittore, si aggiunge, fatalmente, al non-finito progettuale della sua stesura e lo conferma e lo invera.
Ciò è espresso da Siti anche in una formulazione asciuttamente scientifica, quasi una legge fisica dell'opera pasoliniana: “quando una classe logica diventa elemento di se stessa, ne derivano paradossi e circoli viziosi: considerando la letteratura, che riflette sulla vita, un atto della vita, Pasolini non sa più se, in quanto scrittore, fa parte della vita oppure no” (p.100). E anche, p.292: “quando due livelli logici vengono confusi... la loro confusione genera paradossi”. Dove è ovvio che i due livelli sono “quello della vita e quello della rappresentazione della vita”.
Di qui anche alcuni elementi stilistici fondanti dei testi di PPP: il loro aspetto transgenerico, o addirittura transtestuale; la loro provvisorietà e magmaticità (“scrittura vasta e inafferrabile come la vita”, p.124); l'equivalenza valoriale di abbozzi e stesure definitive (qualora effettivamente definitive); la suggestione come di performance che stinge continuamente sui testi stessi; la concezione medesima di letteratura come di qualcosa da intendersi e comprendersi all'interno di canali espressivi più complessi.
Un'idea di letteratura che fa a pugni, davvero, con quella di altri scrittori, qui evocati.
Sì, in omaggio alla concezione agonistica (e antagonistica) di Siti, possiamo dire che in questi saggi si delineano due boxeur, schierati contro Pasolini, ad attenderlo, sul ring. Montale e Proust.
L'antimontalismo di Pasolini e, a sua volta, l'insofferenza di Montale per Pasolini, elementi che si sono depositati in pagine piuttosto note, come la Lettera a Malvolio di Montale e la feroce appendice a Bestia da stile di PPP, dove Holan è trasparente maschera del poeta ligure, non hanno ragioni meramente caratteriali o biografiche. Sono due opposte idee di letteratura a fronteggiarsi.
Montale punta sul testo poetico come organismo assoluto, che con la propria concentrazione assorbe e fa implodere tutta l'esperienza circostante, tipica tecnica dispiegata nelle Occasioni e nella Bufera; per Pasolini viceversa il testo richiede, come diceva lui, l’“integrazione figurale” data dal vissuto stesso dell'autore, così come la sceneggiatura, struttura che implica un'altra struttura, richiede di essere integrata dalle immagini e dai suoni del film. Montale rispetta sempre la misura invalicabile della “decenza quotidiana”; Pasolini è semplicemente indecente nel suo “spendersi”, nel suo “gettare il corpo nella lotta”.
Proust, invece, ha nutrito certamente molte delle pagine giovanili di PPP. Sia quelle edite che quelle inedite. Le sottili divagazioni sull'onomastica friulana di I parlanti (1948) sono ricalcate su quelle analoghe del primo libro della Recherche. Una singolare recherche sacilese è abbozzata negli scartafacci di quegli anni lontani. Ma ancora in certi versi di Poesia in forma di rosa (1964) si fa parola di uno “sgomento da Recherche”, che l'autore ha tentato di esprimere, benché invano, lungo tutta la sua vita.
Sia in Proust che in Pasolini l'infinita desiderabilità dei corpi – corpi che si dilatano a paesaggio, corpi che non si esauriscono negli individui, ma che nutrono i numeri di una serie in perpetua espansione – è solo schermo dell'infinita inafferrabilità del reale (p.272).
Solo che: a un certo punto Proust si accorge di questa fuga delusiva, dei corpi e della realtà, e decide quindi di non farsene ingannare più. Smette di vivere per scrivere. Muore alla vita, metaforicamente, per generare l'arte, che è la vita vera.
Pasolini non è capace di rinunciare alla vita, che è come cocaina, per lui, perennemente a disposizione. Non riesce a morire alla vita, in metafora. Muore sul serio. Mentre Proust descrive minuziosamente la parabola di Charlus, Pasolini diventa Charlus, e finisce effettivamente come, nelle pagine dell'opera proustiana, si profetizza che finirà quel personaggio.
In questi saggi di Siti, che sono pasoliniani anche nell'ordinamento esteriore, ossia nella divisione tra quelli di argomento generale dell'inizio e quelli su questioni di dettaglio successivi (vedi la distinzione tra “studi panoramici” e analisi particolari in Passione e ideologia), c'è una parola menzionata con particolare insistenza nei contesti più vari, ed è membrana (si considerino ad esempio le pp.40, 135, 156, 232, 234, 276, 383, 389).
È una parola che ricorre in poesie delle Ceneri di Gramsci, l' Appennino e Picasso, per dire. Le palpebre di Ilaria del Carretto sono questa membrana. Le tele di Picasso sono, ancora, questa membrana. La parola in oggetto ha dunque a che fare con opere d'arte, e con la realtà.
La membrana, per Siti, rappresenta la linea divisoria tra l'Io e il Mondo, tra il soggetto e la poesia delle cose.
Il poeta deve infrangere questa barriera. Deve, letteralmente, “forare la membrana”.
Fino a un certo punto, fino a quando compie le prime esperienze cinematografiche, PPP cerca di bucare la sottile parete che lo separa dalla realtà per mezzo di una poesia tendenzialmente espressionistica, quasi vociana, che riutilizza, come scriveva Fortini, i “cascami della prosa d'arte” o le punte vivaci dei saggi del suo maestro Longhi. Con le sue poesie degli anni Cinquanta, con la loro metrica che s'impone una regola costantemente violata, con i suoi ossimori ossessivi che sono un gioco a somma zero, la membrana del reale è mimata e, al contempo, bucata.
Poi però sarà la pellicola a diventare tale, membrana. La realtà si esprimerà con se stessa, codice dei codici, cinema naturale.
Fino a quando, come in una delle Poesie mondane, la luce avrà “sfondato” e la pellicola sarà andata al nero.
Del Pasolini caso giudiziario irrisolto questo libro si occupa nel saggio su Petrolio (Non doveva finire così), che accompagna la riedizione accresciuta, 2022, del romanzo.
Siti cita Manzoni, che già aveva citato all'inizio, nell'introduzione (“vergine di servo encomio ecc.), per esprimere la sua posizione generale verso PPP. E lo fa per significare che le due ipotesi del delitto, quella puramente omosessuale e quella politica, hanno entrambe le loro ragioni, ugualmente plausibili.
Ulteriore conferma, se ce ne fosse stato bisogno, di quell'eterna “condizione ossimorica” che pare definire il nostro indimenticabile PPP.
Venti incontri, venti parole, venti biblioteche, venti oratori, venti podcast: cento anni di Pasolini.
Un ciclo di incontri e di testi affidati a scrittori e esperti per attraversare l'immaginario pasoliniano, un progetto Doppiozero in collaborazione con Roma Culture. Qui il programma completo.