Pietre parlanti

11 Aprile 2015

Alcuni mesi fa un amico mi telefona per assistere in anteprima alla proiezione di un film. Ci troviamo sotto una pioggerella leggera e minacciosa in una piazza del centro di Roma, dalla quale ci avviamo spediti verso Palazzo Altemps, sede designata dell'evento. Arrivati in leggero anticipo, mentre alle nostre spalle un violento acquazzone prende a scrosciare, decidiamo di entrare e ci accomodiamo in una delle sale del museo, sotto lo sguardo della moglie morente del Galata suicida: l'originale di questa statua, che con fattura di estrema raffinatezza raffigura un gesto brutale – un omicidio/suicidio – apparteneva a un monumento trionfale con il quale, nel celebrare una vittoria della città di Pergamo sui Galati, si era voluto ricordare anche la virtù, espressa da tale barbarico gesto, dell'avversario sconfitto.

 

Eleusi

 

Difficile trovare un esempio più calzante per descrivere l'incolmabile distanza, in termini di scala di valori, che sta fra noi e il mondo antico: considerato l'argomento di cui tratterà Agelastos Petra, documentario greco del 2000 diretto da Filippos Koutsaftis, direi che siamo perfettamente in tema. Nel corso di una breve introduzione tenuta da Lina Protopapa – curatrice della versione sottotitolata in italiano – apprendiamo infatti che questo film, girato nell'arco di una decina di anni, racconta con un taglio documentaristico la storia più recente della città di Eleusi, portando avanti in parallelo un'accurata riflessione sul rapporto che intercorre tra la sua condizione presente e il tempo in cui questa borgata industriale, oggi devastata dallo sfruttamento del territorio e dalla speculazione edilizia, col suo celebre santuario e coi suoi rinomati Misteri ricopriva un ruolo di primaria importanza nel panorama spirituale dell'antico mondo mediterraneo.

 

In un saggio del 1955 intitolato Rapporto con il divino, Károly Kerényi presentava una breve disamina linguistica della parola tedesca Umgang (rapporto): nel soffermarsi sul suo significato letterale di "girare intorno" – da um (intorno) e gehen (andare) – egli sosteneva che questo "girare intorno" avrebbe dovuto essere il corretto atteggiamento da assumere qualora ci si fosse messi a indagare il contenuto di verità riposto nelle forme esteriori della vita religiosa dell'uomo antico. Ampliando il discorso, si potrebbe affermare che questo tipo di impostazione dovrebbe rappresentare un punto di vista da tenere ben presente qualora ci si avventurasse in una branca qualsiasi dell'impervio territorio degli studi sull'antichità. Nelle forme letterarie che la dinamica della tradizione ci ha fatto pervenire, l'antichità infatti ci parla, ma in una lingua che non sempre ci è dato di comprendere a pieno; viceversa, rinchiusa e sottratta allo scorrere del tempo all'interno dei musei, o nella forma di antiche vestigia sopravvissute all'azione dell'uomo e degli elementi, essa rimane muta, come mute sono le sue testimonianze iconografiche e architettoniche. Da questo silenzio, che sul piano del significato viene a coincidere coi concetti di morte e di passato, il film di Koutsaftis trova il modo per far risuonare le corde di un mondo sparito, al netto di qualsiasi atteggiamento di stampo romantico che avanzi la pretesa di riportare in vita ciò che non esiste più attraverso posticce operazioni di idealizzazione, di trascendimento esoterico o di strumentalizzazione del tempo antico. Il filo della narrazione di Agelastos petra, che si dipana in un arco di tempo di circa dodici anni, si muove su un doppio binario: se da un lato Koutsaftis parte dall'archeologia, presa in analisi in quanto tecnica di indagine privilegiata per lo studio dell'antichità, allo stesso tempo il suo lungo percorso di ricerca a Eleusi è scandito dagli incontri con la gente comune della città, ed è proprio da questo contatto tra la società presente e le testimonianze archeologiche che egli sembra trovare, in maniera del tutto originale, un modo per far riprendere voce al passato.

 

Sin dai primi tentativi di allacciare un dialogo col tempo antico di Eleusi, Koutsaftis sceglie di trattare le tombe, i sarcofaghi e le urne funerarie provenienti dagli scavi archeologici della città alla stregua di capsule temporali: le belle statue degli efebi e delle kore rimangono sullo sfondo, mentre sfilano in primo piano i resti umani e i corredi funerari provenienti dagli antichi cimiteri riportati alla luce durante le riprese. Come l'ideale di bellezza, che per duemila anni ha funzionato da lente attraverso cui mettere a fuoco lo spirito greco, prende corpo sul bel volto di un giovane operaio che lavora a uno scavo, allo stesso modo ciò che delle antiche tombe cattura l'occhio di Koutsaftis non è tanto il loro valore storico-archeologico, quanto l'incredibile quantità di materiale umano che da esse trasuda. Un sarcofago antropomorfo, due guerrieri sepolti in modo da guardarsi l'un l'altro, uno specchio su cui pare di scorgere riflesse le immagini di un'epoca remota e delle anfore contenenti i resti di bambini morti in età prematura: sono queste le forme con cui il mondo antico si presenta ai nostri occhi. Ma nel momento in cui queste figure silenziose vengono messe in relazione dinamica col tempo presente, ecco che all'improvviso esse diventano capaci di raccontare molto di più rispetto a quel che potrebbero uno studio scientifico, un'analisi dei dati o una rigorosa volontà classificatoria.

 

Agelastos petra, regia Filippos Koutsaftis, una scena del Film

 

È qui che Koutsaftis prende a calarsi nel pieno della storia recente di Eleusi – una storia fatta di immigrazione, di duro lavoro e di sofferenza – per ricercarvi, come in un gioco di specchi, delle immagini che siano in grado di mettere in moto un dialogo fruttuoso con il passato. I profughi giunti dalla Turchia all'inizio del XX secolo, che costituirono la manodopera a basso costo dello sciagurato sviluppo industriale dell'area, diventano allora un riflesso di quei movimenti migratori tra la Ionia e l'Attica che fecero la storia dell'antica civiltà greca; i culti cristiano-ortodossi dei santi protettori o delle madonne della semina rappresentano un importante punto di contatto col mondo antico, ma non tanto per via dei rimandi alle processioni misteriche o al mito della Kore, quanto per la familiarità con cui le vecchiette di Eleusi siedono sugli antichi marmi durante la celebrazione del vespro di settembre; i giovani lavoratori di un fast-food, edificato sul sito archeologico di un antico laboratorio di ceramica, paiono sovrapporsi ai manovali che sulle pietre estratte dal forno di quel laboratorio impressero l'impronta delle loro mani.

 

In Agelastos Petra sono i piccoli gesti quotidiani che richiamano comportamenti ancestrali a far rivivere il passato, come nella sequenza in cui una donna aiuta il marito pescatore a mettere in mare la barca con cui lui si recherà al lavoro. Ma a differenza di quanti nel passato – e, nello specifico di Eleusi, nel mito di Demeter e Persefone – vogliono ancora cercare delle risposte al mistero della morte, Koutsaftis riesce a mantenere una ferma consapevolezza del fatto che nulla è eterno, che il passato muore con gli uomini e che la morte è irrimediabile. Le stratificazioni dei diversi livelli urbanistici cui sembrano corrispondere, in un'allegoria della memoria, gli anni di lavorazione che il film ha richiesto – anni in cui possiamo vedere i bambini crescere e i vecchi morire – sembrano infatti rimandare alla dura realtà dello scorrere del tempo, di cui la morte è dominatrice indiscussa: la moglie del pescatore morirà, come anche morirà Pharmakis, misterioso personaggio a metà strada tra il mistico visionario e l'archeologo dilettante, che accompagnerà Koutsaftis lungo tutto il suo viaggio a Eleusi.

 

Vincere la morte, o quanto meno guadagnare un sereno equilibrio di fronte ad essa, era lo scopo degli antichi Misteri Eleusini: imparare a mantenere l'equilibrio, il giusto senso della misura, in tempi come i nostri in cui nulla è stabile e dei quali la città di Eleusi, col suo catastrofico vissuto quotidiano, potrebbe essere paradigma, sembra essere il messaggio che Koutsaftis ha voluto trasmettere col suo bellissimo film. Nelle toccanti sequenze della restauratrice del museo archeologico che ripulisce con cura infinita un piccolo ostrakon, o in quelle degli studenti medi della città che si riuniscono per protestare affinché le statue della Kore non vengano portate via, si possono intravvedere due piccoli esempi di come sia possibile stabilire un rapporto fecondo col tempo antico.

Se la memoria non è composta d'altro che dal susseguirsi delle generazioni, e se la tradizione è fatta di carne e sangue, il legame che va stabilito col passato deve essere un legame umano, con tutto il carico di difficoltà, ma anche di amore e tenerezza, che ciò comporta: soltanto così sarà possibile recuperare quanto di umano la storia, che è fatta dagli uomini e per gli uomini, può avere ancora da insegnare.

 

 

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