Rimini Revisited. Oltre il mare 

25 Ottobre 2023

Né la parola, né la fotografia sono in grado di risuscitare i morti; sono loro che tornano quando devono. Capita però di trovarsi di fronte allo spirito frammentato di chi ora non c’è più, trattenuto là dove con più insistenza un tempo ha posato gli occhi, manifestandosi per riflesso. In questo modo è possibile accostarsi a un’altra vita, con la vista, guardando cosa è stato guardato, collegando i punti e reinventando una figura che ci parli. Marco Pesaresi (1964-2001) si fa cercare tra le orme che ha lasciato come quei bambini che, giocando a nascondino, fanno di tutto per essere trovati, svelando ingenuamente con un gridolino il loro rifugio. Fotografo per caso, fotoreporter per professione, famoso in vita per destino; e ora il lento riaffacciarsi del suo lavoro nel panorama fotografico odierno: la mostra “Rimini Revisited – Oltre il mare” è la romanza profana che Marco dedicò alla città natia, e che parla a una terra di un altro mondo, facendo vivere la notte e il giorno dei personaggi di una mitologia sacra e impura. A ben guardare, ancora oggi a Rimini le persone camminano lente di giorno, agitandosi di sera; tra la spiaggia e la città la differenza è solo la consistenza del suolo, mentre la metamorfosi degli abitanti avviene puntuale. La Rimini di Pesaresi è la terra con le spiagge vuote, con le onde congelate dalla neve, con le strade intasate di macchine e risciò: gli anni Novanta hanno in sé l’estasi della libertà, e a Rimini tutti sono ragazzi, tutti sono animali; la vita è la ritualità pagana che parla a divinità bestiali e sbeffeggianti, è il continuo movimento della giostra. 

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Discoteca Senza Data © Marco Pesaresi.

Marco si è “trovato la fotografia addosso” come viene riportato all’interno del grande catalogo che accompagna la mostra curata da Mario Beltrambini e Jana Liskova, rimasta visibile fino al 24 settembre ma ancora viva tra le pagine del libro. La fotografia è qualcosa che può aderire alla pelle e avere un peso, sceglie come un demone in quale corpo inserirsi, quali occhi tormentare e con quali cercare le vie migliori per esprimere il suo dominio. Con questa frase Marco riuscì a scindere la fotografia dal mezzo fotografico, facendo precedere la seconda al primo. La fotografia, infatti, può esistere anche senza mezzo, è una qualità del vedere, del cercare in quello che offre il visibile le risposte al suo mistero. A Rimini l’umano incontra la frenesia dionisiaca, si eccita e si maschera, provoca e diverte, suona e dorme sfinito al primo angolo che capita. È in mezzo allo spettacolo continuo dei suoi eroi che Marco Pesaresi si nasconde, dietro al minuscolo obiettivo di una Minox, storica macchina fotografica analogica tascabile – la usò anche Andy Warhol – ed è lì che noi riusciamo a ritrovarlo: mentre guarda partecipe lo scenario sconvolto della città insonne, mentre si intrufola, ancora sfuggendoci, tra le schiere di motorini, tra le mille gocce di spumante appena stappato.

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Igea Marina 1996 © Marco Pesaresi.

Il racconto di Pesaresi è un saluto riverente alle forme dell’eccesso, alle stravaganze che a Rimini sono natura natura; Rimini ricambia mostrando impenitente il suo seno enorme, di immediata felliniana memoria. Il corpo è nudo o è una maschera, nessuna metamorfosi accetta vie di mezzo. Mentre continuano a esistere il tempo, la vecchiaia, le mezze stagioni, il lavoro e la povertà, Rimini fa di tutto per dimenticarsene, correndo sulle onde solide, accendendo un fuoco immenso, ballando un altro giro. “Marco era troppo intelligente, era questo il suo più grande problema. Era capace di dirmi: ‘Mamma, stanotte non vengo a dormire a casa perché ho incontrato un pastore mentre fotografavo che portava il gregge all’ovile e che mi ha detto che posso dormire nell’ovile anch’io con lui e le pecore.’ Era così.” Marco riesce a nascondersi e farsi trovare anche tra le parole della madre Isa, che ha donato a Savignano sul Rubicone, seconda tappa della mostra oltre a Castel Sismondo a Rimini, gli oltre 140.000 documenti tra negativi e diapositive del figlio.

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Notturno Rimini Senza Data© Marco Pesaresi.

Il successo arrivò pubblicando con Contrasto il volume Underground, nel 1996, con una prefazione di Francis Ford Coppola, “3500 copie vendute in un giorno, in una libreria di New York.” Un reportage sulle metropolitane nel mondo, da New York a Mosca. Ancora l’umanità nascosta, che per vivere ha bisogno del sottosuolo e della luce artificiale dell’oscurità; Pesaresi cerca e bracca chi come lui si fa trovare a ridosso di un mondo seducente e incomprensibile, addirittura romantico. I baci degli amanti nelle fotografie di Marco sono statici, fermi, decisivi, strappati al dinamismo della follia delle serate estive riminesi, come Weegee strappava i suoi baci alla criminalità notturna newyorkese. È un correre continuo, un girare, uno scappare senza tregua nelle più di centocinquanta immagini di Marco. La vera vita si fa muovendosi, a Rimini: anche Cristo muore avvolto dal movimento di chi lo guarda piegato su di lui.

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Riccione Notturno Senza Data © Marco Pesaresi.

La città pare ancora preda del sincretismo culturale dei primi secoli dopo Cristo, culti pagani e cristiani convivono scanditi dalla notte e dal giorno: col sole si prega con le gambe immerse nell’Adriatico, come quando si fa l'acquagym, la notte i corpi si spogliano e travestono, agitandosi e scoprendosi, usciti finalmente dal rifugio in cui si erano nascosti. Stando seduti a guardare i filmati proiettati in mostra, tra cui il trailer di un futuro documentario dedicato a Pesaresi, Il granchio nudo (una produzione di Marta E. Antonioli, Riccardo Caccia, Michela Fragomeni, Elena Padovan, con il patrocinio del Comune di Savignano sul Rubicone), e altre interviste a curatori e conoscenti di Marco, si è a un metro e mezzo circa dalle stampe, sulla parete destra: si intuisce così che alcune immagini hanno una distanza specifica da cui essere guardate perché si esplicitino i loro veri contenuti, e una certa prospettiva, che non è sempre quella frontale all’altezza degli occhi. Ed è così che, stando lì, e guardando da seduti un po’ discosti rispetto alle fotografie, i protagonisti della riviera romagnola diventano davvero il frutto di un’allucinazione – anche qui richiamato subito Fellini alla mente – in cui nulla è mai davvero nitido e mai davvero fermo, anche quando in verità lo è. Anche Marco stava, si dice nei filmati e si vede dalle fotografie, un po’ discosto rispetto a ciò che immortalava: il suo nascondersi era anche il suo modo naturale di vedere il mondo, di intrecciarsi a lui nei momenti della sua massima rivelazione. 

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Rimini agosto 1996 © Marco Pesaresi.

Ogni scatto di Marco Pesaresi è una novella boccaccesca, in cui l’ironia si mescola al dramma, l’osceno alla pietà; il sacro e il profano sono uniti come è istintivo intenderli nella naturale contraddittorietà dell’uomo; come quelle melodie che, dal Medioevo in poi, accompagnavano sia testi religiosi che laici. Marco aveva meno di vent’anni quando, per caso, abbandonati momentaneamente gli studi, si imbatté in un’amica col padre fotografo, che lo invitò durante l’estate a dargli una mano in laboratorio. Da quel momento la fotografia gli piombò sulle spalle, come si diceva, col peso specifico di ogni destino avverato. Fotografo girovago, come un menestrello, anche lui avrebbe potuto cantare i versi del poeta  nel film di Sergej Iosifovič Paradžanov Il colore del melograno (1968): “Il mondo è una finestra [...] io vado da chi mi ascolta, io vado per le strade”, continuando a disperdersi in tutte le donne, tutti gli uomini che incontrava sul cammino. Tra i visitatori delle spiagge disabitate dell’inverno, i draghi con la bocca spalancata sotto la pioggia, i suonatori improvvisati sulle sdraio, le anziane avvolte nei foulard neri sole per strada, là è Marco, pronto a farsi trovare, disperdersi ancora.

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Rimini febbraio 1997©Marco Pesaresi.

Il noto reporter italiano dell’Agenzia Magnum Paolo Pellegrin una volta ha affermato che la fotografia ha sempre a che fare con la solitudine: si è soli quando si scatta, quando si pensa di scattare. E vive un’eterna solitudine, si potrebbe aggiungere, anche il soggetto dentro l’immagine: nessuno mai potrà unirsi a lui dentro lo scatto se in quel preciso istante si trovava solo, come il bambino che fotografa Pesaresi, travestito per il carnevale, sparerà eternamente al vuoto, il suonatore non avrà mai pubblico, il clown non inizierà mai davvero il suo spettacolo. Marco parla e si cela dietro le eterne solitudini che trova affacciato alla finestra del mondo. Solo rimanendo nascosti si può essere in grado di non disturbare un’altra solitudine, quella del proprio soggetto; solo rimanendo nascosti si può essere in grado di non interrompere il segreto sussurrato all’orecchio della ragazza, come quello che vediamo congelato nell’immagine divenuta il volto della mostra. 

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Rimini settembre 1996 © Marco Pesaresi.

Non conoscerlo mai è l’unico prezzo che la fotografia deve pagare. 

Qui altre immagini di Marco Pesaresi.

In copertina, Spiaggia Riviera romagnola © Marco Pesaresi.

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