Dipingere le parole / Jacqueline Duhême, l’imagière
“Nella mia vita ho conosciuto molti”, potrebbe affermare con buona ragione facendo il verso a un celebre motto di Snoopy Jacqueline Duhême (1927), alla quale Parigi, la sua città d’elezione, rende omaggio in questi giorni con una mostra intitolata: "Jacqueline Duhême, une vie en couleurs: de Matisse à Prévert". Infatti, è stata amica di Matisse, di Picasso, di Louis Aragon, di Colette, di Marc Chagall, di Robert Doisneau, di Man Ray, di Raymond Queneau, di Henry Miller, di Jack Kerouac e di molti altri artisti e intellettuali. È stata inoltre la compagna di Paul Éluard e i due si sarebbero sicuramente sposati se il PCF, all’indomani della Liberazione, non si fosse strenuamente opposto, così almeno ha rivelato l’interessata in un’intervista rilasciata alcuni anni or sono a Paris Match, narrando poi più diffusamente i dettagli della vicenda nella sua autobiografia: Une vie en crobards (Gallimard, 2014), in cui racconta di come la sua vita straordinaria sia stata intimamente legata alla storia artistica e letteraria del XX secolo. Paul e Jacqueline si erano innamorati non appena si erano conosciuti, lei aveva vent’anni e lui cinquantuno. Ma questa differenza d’età evidentemente era ritenuta ‘sconveniente’ per l’immagine del Partito, almeno secondo il parere dell'allora segretario generale del PCF, Maurice Thorez, e secondo quello di sua moglie Jeannette Wermersch, autorevole membro della commissione della famiglia, della popolazione e della salute pubblica del nuovo governo, tanto che fecero di tutto per costringere Paul e Jacqueline a lasciarsi. Con il cuore a pezzi, Éluard partì allora per il Messico, mentre Jacqueline andò a lavorare da Matisse a Saint-Paul-de-Vence, dove il Maestro era intento a decorare la cappella di Santa Maria del Rosario, facendogli da assistente e, grazie all'ovale perfetto del suo viso, anche da modella per la figura della Vergine. Lo seguirà poi nei suoi ateliers di Cimiez e di Parigi con il ruolo di aiutante ma anche con quello di allieva e resterà con lui dal 1948 fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1952. Su questa esperienza, in anni recenti Jacqueline ha scritto il libro Petite main chez Henry Matisse (Gallimard, 2009), ricco di aneddoti sul Maestro e sui suoi amici artisti, come, ad esempio, quello riferito a Picasso che, quando lavorava alle ceramiche per la cappella di Vence, era costantemente alla ricerca di una scatola di sardine per insaporire la propria zuppa quotidiana, oppure quello di Chagall, vicino di casa di Matisse, che un giorno gli portò in dono un cactus talmente bello che da allora quest’ultimo non poté fare a meno di dipingerlo in molti dei suoi quadri. Racconta anche diverse storielle sulle abitudini dello stesso Matisse, che per concentrarsi soleva ascoltare i Canti Gregoriani e per addormentarsi mangiava dell’ananas e leggeva Chateaubriand, ma narra anche del suo rigore nel lavoro e della passione che ci metteva, della sua ossessione per i propri occhiali, della cura meticolosa con cui riponeva i colori e i pennelli, del rito del lavaggio delle mani prima di toccare i fogli da disegno, il tutto corredato da bellissimi suoi disegni acquarellati.
Jacqueline avrebbe rivisto Éluard soltanto nel 1951, quando il poeta le dedicò il racconto per bambini Grain-d’Aile pregandola di illustrarlo. Venne pubblicato per la prima volta con i suoi disegni sulla rivista Elle (nr. 277, 19 marzo 1951), con cui la nostra aveva iniziato a collaborare in qualità di giornalista e di illustratrice.
Ma non è finita qui, Jacqueline ha lavorato a lungo anche con Jacques Prévert e pure con Gilles Deleuze, illustrando i libri destinati all’infanzia. Come non ricordare il magnifico “Oiseau Philosophie. Duhême dessine Deleuze", apparso soltanto pochi mesi prima che il filosofo si togliesse la vita? (Pubblicato in italiano da Edizioni Junior nel 2010 è andato subito esaurito). Lo stesso Deleuze ha dichiarato di apprezzare molto il modo in cui Jacqueline sapeva dipingere le parole per “far emergere dai concetti filosofici gli eventi puri, vale a dire capaci di colpire una bambina, senza sequenza logica". In questo libretto straordinario, magistralmente illustrato da Duhême, Deleuze immagina infatti di rivolgersi alla sua nipotina di sei anni, facendo seguito al suo desiderio di far arrivare i concetti filosofici a tutti, persino ai bambini.
Nel libro, Duhême ha estrapolato alcune frasi dai testi di Deleuze Che cos'è la filosofia e Dialoghi interpretandoli con disegni fantastici dai vivacissimi colori. Un lavoro che il filosofo ha molto apprezzato riconoscendo che la sua forza comunicativa andava ricercata "non nella sequenza logica, ma nella coerenza estetica […] in questi testi cortissimi e apparentemente difficili a cui il disegno sa conferire una chiarezza rigorosa e al contempo una certa tenerezza."
Nell'introduzione all’edizione italiana, così ha scritto Paolo Perticari: “Non è questo un libro di filosofia per bambini. Semmai, un libro di bambini per la filosofia. Una filosofia che si infanzia strada facendo. Una filosofia bambina. Qui l'infanzia non ha più bisogno di alcuna connotazione dell'adulto. Poiché l'infanzia è, e basta. Qui, quel che il bambino quella volta balbettò, ritorna come un ritornello che con la tonalità di una voce fa vacillare l'intero edificio filosofico di tutti i sapientoni; per orientare verso una comune infanzia, la seconda e comune infanzia".
Artista dai molteplici talenti, Jacqueline Duhême, oggi novantaduenne e ancora in attività, è soprattutto nota per essere un’illustratrice, tra l'altro, pioniera dell'illustrazione di libri per l’infanzia, ma si è sovente occupata anche di pubblicità e di giornalismo. È pittrice, scrittrice e poetessa ed è pure autrice di straordinari cartoni per arazzi, ovviamente multicolori, per la Manifattura di Aubusson.
La mostra di Parigi, è la prima, grande retrospettiva dedicata a questa artista, il cui nome è meno noto al grande pubblico di quanto invece non lo siano i suoi disegni, alcuni dei quali davvero famosissimi.
La mostra è visitabile fino al 13 giugno prossimo nelle sale della biblioteca Forney, una delle biblioteche più importanti di Francia. Vi si conservano infatti preziosi fondi incentrati sulle arti decorative, sulle arti grafiche, sulla pubblicità, sul design, sulla moda, sul costume e su tutti quei mestieri che con l’arte e con le tecniche artistiche hanno a che fare, tra cui uno che contiene molti disegni originali di Duhême.
Nel 1959, Jacqueline Duhême illustrò l’edizione americana di Zazie dans le metrò di Raymond Queneau per Olympia Press, oggi divenuta un vero e proprio oggetto da collezione, mentre nel 1961, quando lavorava come disegnatrice alla rivista Elle, inventò il “reportage disegnato". Lo collaudò per la prima volta in occasione della visita di John e Jacqueline Kennedy a Parigi, riscuotendo un successo così grande che la coppia presidenziale, per ringraziarla, la invitò alla Casa Bianca. Nel 1964 ripeté il format giornalistico della cronaca disegnata accompagnando il Generale de Gaulle nel suo viaggio diplomatico in America Latina (unica donna giornalista ammessa) e, nello stesso anno, realizzò il famoso Paporama, un grande affresco disegnato a commento del viaggio di papa Paolo VI in Terra Santa, che costrinse la rivista a una seconda tiratura del numero in cui compariva, tanto enorme fu la richiesta di copie da parte dei lettori.
Insieme alla matita che, come già il suo maestro Matisse, anche lei porta a passeggio sul foglio in una linea continua, suoi strumenti di lavoro sono gli acquarelli e, a volte, i pastelli e i colori ad olio. Le tonalità che preferisce sono vivaci, i timbri squillanti, la luminosità accesa. Nei suoi lavori predomina l'allegria, vi traspare insomma quella joie de vivre che Matisse le ha lasciato in eredità insieme al gusto per la silhouette delle forme. Dalla lezione fauve Jacqueline ha mutuato invece l’uso del colore in à plat. Sua e originalissima è invece la capacità onirica, suo è anche il gusto per l’invenzione fantastica e fantasiosa, insomma l'immaginario è tutto suo e sua è anche la tenerezza che trapela dalle opere, quella tenerezza che non era sfuggita a Deleuze.
A proposito poi del termine ‘crobard’ che compare nel titolo della sua autobiografia, esso fu coniato da Raymond Queneau appositamente per definire le illustrazioni di Jacqueline ed è poi divenuto parte del gergo quotidiano francese, al punto da essere ancora molto utilizzato. Si potrebbe tradurre con abbozzo, o con schizzo preparatorio ma sarebbe riduttivo. Si può solo dire che il lemma è il risultato della crasi fra la parola croquis, abbozzo, e il termine bobard derivato dal francese antico bobe, bobeaux con il significato di margine d'errore, di oggetto da sottoporre a verifica, cui è stato aggiunto il suffisso ard, per conferirgli il senso di vigoroso, di forte, ma anche di audace. E mai vocabolo fu più azzeccato per indicare gli estrosi e coloratissimi lavori della «imagière des poètes», come Paul Éluard, cui non piaceva la parola illustratrice, ebbe a definire Jacqueline Duhême, la signora che dipinge le parole.