Politica a colpi di tweet
Twitter sta vivendo da tempo un momento di notorietà e celebrazione nella comunicazione politica italiana, sia nel dibattito pubblico che in quello degli addetti ai lavori. Le possibilità di disintermediazione che ha introdotto, la capacità di aggregare conversazioni, l’immediatezza del linguaggio e la velocità di propagazione dei contenuti ne fanno uno strumento adatto ad una politica post-partitica, a quella “democrazia ibrida” – così la definisce Ilvo Diamanti – che predispone la sua messa in scena dissolvendo i confini tra Rete e mass media.
Twitter diventa così un interessante luogo di osservazione della rappresentazione della politica, capace di mettere a fuoco il mutamento sia delle dinamiche della rappresentanza che della funzione dei media nel costruire rappresentazioni in un’epoca di narrazione rete-centrica del rapporto politica-cittadini, come quella introdotta dal Movimento 5 Stelle.
Il vero problema è quale sguardo adottare per analizzare questa realtà senza confondere le potenzialità – come la disintermediazione – e le caratteristiche ambientali – come la facilità di propagazione – con qualità immanenti capaci di realizzare necessariamente una orizzontalità nella comunicazione politica o predisporre un terreno di democrazia diretta.
Twitter come nicchia evolutiva
Utilizzando una metafora ecologica, possiamo pensare a Twitter come nicchia evolutiva dell’ecosistema dei media. Si tratta di una realtà che consente di rendere visibili, in chiave pseudo-conversazionale, una molteplicità di sfere pubbliche: istanze diverse che intrecciano la politica di professione con i temi di cittadinanza, raccontati spesso in prima persona, attraverso un linguaggio diretto e immagini raccolte con l’immediatezza dello scatto dello smartphone. Accanto a un uso di amplificazione massmediale della propria voce – che in particolare alcuni politici realizzano – troviamo il racconto quotidiano, umorale e anche banale della “nuda vita”, dell’esistenza biologica nel suo grado zero, per dirla con Giorgio Agamben, che si rappresenta facendosi anche richiesta di cittadinanza. Attorno ad un hashtag si raccolgono così pensieri che oscillano tra l’essere personali e farsi racconto pubblico, consentendo una forma di auto-rappresentazione della sfera pubblica che non passa dalla mediazione dei mass media.
Ed è in quanto luogo di rappresentazione di una molteplicità di sfere pubbliche che Twitter diventa interessante, al di là dell’esiguo numero di utenti attivi rispetto ad altre forme di espressività mediale – sono 4.7 milioni gli utenti registrati in Italia.
Dalla sua posizione di nicchia influisce, in ottica sistemica, sull’ecologia dell’intero sistema dei media, attraverso una capacità di irritazione continua. Lo spiega bene Sara Bentivegna, attenta studiosa delle forme della comunicazione politica, nel suo ultimo saggio A colpi di tweet. La politica in prima persona (in uscita per il Mulino): «Una capacità che è sotto gli occhi di tutti e che si conferma ogni volta che ci imbattiamo in programmi televisivi che ci offrono il resoconto settimanale in 10 tweet, dichiarazioni che ricordano la distanza tra la stesura di una sentenza e quella di un tweet, citazioni di hashtag (#enricostaisereno) che rievocano una stagione e uno stile politico. Non si tratta, dunque, di un effetto specifico e limitato bensì di un effetto di sistema sufficientemente consolidato».
Ed è attorno a questo “effetto di sistema” che i politici consolidano oggi la loro presenza mediale online, in un uso di Twitter orientato «alla gestione in prima persona della propria immagine e comunicazione, da un lato, e alla realizzazione di una relazione meno formale e più diretta con i cittadini, dall’altro», in pura oscillazione tra vocazione broadcasting e logiche da small world.
Dettare l’agenda ai media con un tweet
Di fatto Twitter consente di sviluppare la comunicazione politica ibridando funzioni ed esigenze diverse come: fare personal branding, che nell’ottica del politico significa mettere in relazione un’attitudine alla personalizzazione con il proprio partito di riferimento da richiamare in hashtag e mention; costruire e rendere visibile una community come ad esempio nel lancio di hashtag come #lavoltabuona da parte di Matteo Renzi o il #chiedoasilo di Matteo Salvini; ascoltare le istanze dei cittadini e testare temi elettorali; svolgere la funzione di agenzia stampa immediata capace di parlare ai pubblici connessi ed ai media.
Come analizza Bentivegna prendendo in considerazione diverse ricerche al riguardo «la prevalenza del modello broadcast su quello conversazionale che si registra tanto in Italia che altrove si configura come un segnale preciso dell’interpretazione della piattaforma in termini di occasione di presa di parola con finalità di incremento della propria visibilità. L’interazione discorsiva con i cittadini/elettori è raramente praticata e, quando lo è, sembra essere soprattutto un’occasione per dare corpo alla sua rappresentazione invece che alla sua interpretazione».
Questa dimensione è particolarmente evidente se pensiamo ad una realtà come quella italiana in cui abbiamo un Presidente del consiglio che twitta anticipazioni politiche o decisioni e vediamo trasformati i suoi tweet in virgolettati che fungono da titoli dei giornali. Twitter è quindi anche un modo di generare l'agenda dei media e diventa una fonte informativa della politica con tutte le potenzialità e le distorsioni del caso: il confine tra dare la notizia e servire come semplice cassa di risonanza della politica, con funzione di propaganda, è sottile.
Twitter è vera disintermediazione?
Vista l’accentuazione nell’uso della politica di una funzione broadcasting di Twitter, viene da chiedersi quanto quella della disintermediazione sia più una retorica utilizzata che una realtà praticata. È vero che spariti sempre più dalla comunicazione politica i corpi intermedi e aumentata la declinazione in chiave di personalizzazione/leadearizzazione, i social media come Twitter rappresentano l’occasione di una messa in contatto diretta ed immediata tra politica e cittadinanza. Ma la reciprocità conversazionale della disintermediazione resta spesso una possibilità sullo sfondo non attualizzata. Leader come Matteo Renzi o Matteo Salvini scrivono spesso tweet affermativi (che finiscono con punto esclamativo) che fungono da attivatori della propria comunità, o lanciano hashtag utili a costruire una visibilità attraverso la fan base. Sono queste delle strategie comunicative comuni alle celebrity del mondo musicale e che rimandano ad una dinamica star/audience molto specifica.
Vero è che in questo spazio si inserisce anche l’effervescenza propria della moltitudine che arricchisce i thread che si generano attorno a un Tweet del politico di risposte ironiche o che mettono l’accento su problemi non affrontati o che richiamano a responsabilità specifiche. Una vera e propria attività di contro-democrazia dei cittadini che, come spiega Pierre Rosanvallon «è costituita dall’insieme delle attività che non mirano ad associare il cittadino all’esercizio del potere, ma a organizzare il suo controllo su chi governa». Si tratta dell’emergere di un bisogno che si esprime attraverso un insieme di pratiche partecipative che non sempre portano ad influire direttamente sulle decisioni politiche ma che vedono nei cittadini la possibilità di poter esprimere pubblicamente critiche e partecipare in modo diretto ad una vigilanza critica nei confronti del potere.
Allora nell’asimmetria comunicativa che spesso si genera in un ambiente digitale simmetrico per vocazione come Twitter emerge quindi questa attività di sorveglianza del potere che, quando organizzata – penso alle attività che possono essere messe in atto facilmente nei social media e che consentono di dare organizzazione a chi non ha organizzazione – rappresenta forse una delle potenzialità di espressività politica più interessante. Quando venne proposta una Web Tax nella legge di stabilità del governo Letta (dicembre 2013) si levò su Twitter e Facebook, in particolare, una protesta “dal basso” e una serie di discussioni attorno all’hashtag #webtax, che poi venne ritirata. In questa campagna di mobilitazione immediata online, però, accanto a molti utenti comuni hanno avuto una funzione determinante nella visibilità dell’hashtag molti influencer della Rete italiani, compreso Matteo Renzi che da segretario del PD twittò “No web tax, affrontare tema nel semestre europeo”, uno status decisamente di natura politica e con valenza determinante nel partito.
Vale quindi la pena interrogarsi sulla reale disintermediazione online e sugli attori che re-intermediano i rapporti con i media e la politica. Come osserva acutamente Sara Bentivegna nel suo lavoro: «Che l’effetto complessivo sia un arricchimento e un ampliamento dello spazio discorsivo anziché una riproposizione di precedenti dinamiche agite dai soliti attori costituisce l’interrogativo al quale è difficile dare una risposta definitiva. Così come è altrettanto difficile riuscire a individuare il ruolo assunto dalla discussione politica in un tempo in cui la velocizzazione, la semplificazione e la polarizzazione dell’interazione discorsiva permeano lo stesso ambito politico al punto da determinare continui slittamenti dei frame interpretativi utilizzati».
In definitiva occorre smontare la retorica della disintermediazione come stato naturale di Twitter e tenere conto della natura ecosistemica dei media se vogliamo meglio interpretare una realtà della comunicazione politica che ibrida la tensione ad una relazione orizzontale con i cittadini con la tentazione di riproporre la propaganda in chiave 2.0.
Logiche predatorie tra politica e mass media
In ottica più generale l’accoppiamento tra sistema dei media, Twitter e politica vede questo spazio digitale, così fortemente orientato all’ambiente umano, capace potenzialmente di rappresentare il punto di vista delle soggettività, le effervescenze, le comunità di interessi dei cittadini, soggiacere a logiche comunicative che rinnovano la forma della comunicazione ma non la sua sostanza: continua a dipendere dalle logiche predatorie del sistema dei media e della politica che si appropriano dei contenuti e delle forme adattandoli ai propri linguaggi. Per la politica si tratta, in fondo, molto spesso di creare sound bites che semplifichino, impressionino e sappiano circolare creando una visibilità acritica. I mass media li trattano come tradizionali news politiche da rigiocare come informazioni istantanee che rientrano in una riproduzione massiccia di comunicazione utile alla loro sopravvivenza in un ecosistema che sta mutando.