Contraddire il sessismo
Una nuova campagna Pubblicità Progresso sulla discriminazione di genere è l'occasione per fare il punto sul tema pubblicità/sessismo. Lo si direbbe già su un binario morto. La polemica pubblicistica, nata con le migliori intenzioni, si è arenata tra le proprie contraddizioni e, a parte l'ovvia condanna del dilettantismo più greve – i te la do gratis, i doppi sensi del verbo montare e altri orrori da caserma – la questione è ancora intatta.
Esempio: si rimprovera alla pubblicità sessista un uso smodato di stereotipi femminili, di banali mamme che servono in tavola. Giusto. Ci si dovrebbe quindi aspettare la richiesta di una maggiore fantasia, di più libertà espressiva. Invece le vengono assegnati nuovi compiti per casa, le si chiede di essere educativa, pedagogica, ammaestratrice di principi progressisti. Togliere ideologia, insomma, non per liberare il linguaggio. Piuttosto per sostituirla con un'altra.
Goffi gli interventi sul tema "sessismo" della politica, la quale storicamente si occupa del racconto della realtà più di quanto non cerchi di cambiare la realtà stessa, e con le sue invocazioni rivolte ai mass media proietta su sé la più radicale impotenza. Quasi non potesse far altro che guardare poster e giudicarli, invece di attivare riforme: la presidente Boldrini chiede di regolare per legge la presenza delle donne in pubblicità, il Comune di Milano vara un regolamento per la pubblicità in città in difesa di un immaginario "normale", obiettivi quanto mai ambigui davanti ai quali verrebbe da invocare aprioristicamente ogni liceità possibile.
Rimane l'altra reiterata accusa rivolta alla pubblicità sessista, d'essere cioè esplicita mandante di aggressioni e violenze. Di essa si può dire che rinnova l'antico paternalismo della classe dirigente nazionale, quello che da sempre guarda gli italiani come a una plebe incapace di discernere. Un popolino agli ordini di mass media capaci di plasmarlo e renderlo criminale. Come fosse creta.
Una comunicazione considerata in ogni caso propaganda, un pubblico comunque bue. Su queste basi è difficile innalzare azioni democratiche. Il fatto è che utilizziamo analisi arcaiche, con le quali è impossibile affrontare adeguatamente il mondo delle immagini, troppo più articolato di così.
Prendiamo un'azienda come American Apparel, uno dei marchi maggiormente imputati di pubblicità sessista, e confrontiamola con alcuni tra i capi d'accusa più ricorrenti.
A cominciare dalle foto. Una diffusa critica alla pubblicità sessista in genere è infatti quella che riguarda i canoni di bellezza femminile alterati dal fotoritocco. È semplice però notare come quest'estetica venga contraddetta apertamente dalle foto pubblicitarie del marchio statunitense. Se l'abuso di photoshop propone una perfezione irrealistica e opprimente, nelle foto American Apparel le modelle mostrano tutte le loro imperfezioni, la loro pelle non viene corretta né le forme vengono artefatte. Un'iconografia formalmente autentica. Dunque come giudicare queste immagini? Sulla base della quantità di corpo esposto?
Qualche mese fa, in reazione a una maglietta molto diffusa che simulava un'abbondante misura di seno, la ventunenne illustratrice Petra Collins ha firmato per American Apparel una t-shirt raffigurante la masturbazione di una vagina mestruata. Come dichiarato dall'artista canadese, la sua illustrazione mirava a far emergere il rimosso del vero corpo femminile, denunciando una sessualità subordinata, della quale viene impedita l'autonomia. Anche in questo caso l'esibizione del corpo dev'essere condannata?
Condivisibili o meno che siano l'azione della Collins o le foto di American Apparel, sono questi i risvolti davanti ai quali il dibattito sul tema risulta inadeguato e rozzo, cosicché il commento del sessismo finisce per specchiarsi nel linguaggio sessista. Entrambi trascendono il corpo in nome di altre finalità: simboliche, ideologiche, dirigiste. Non è casuale se il dibattito si traduce in proibizioni. Censura linguistica e repressione sessuale si sorridono. E la critica somiglia involontariamente al suo bersaglio.
Non si può agire contro il sessismo in pubblicità se non si evitano queste convergenze. La comprensione delle immagini è un'avventura culturale, non altro. Se per loro tramite s'intende arrivare a regole e prescrizioni, il risultato sarà comunque goffo o tragico.