Le vite segrete dei colori / L'atlante di Kassia St Clair
La traduzione italiana del libro di Kassia St Clair The Secret Lives of Colour ha come titolo Atlante sentimentale dei colori. Da amaranto a zafferano 75 storie straordinarie (trad. it. di Claudia Durastanti, Utet, DeA Planeta Libri, Milano): il carattere classificatorio dell'atlante viene mitigato dall'accento sulle storie che appariva centrale nel titolo dell'originale. Non si tratta infatti di un vero e proprio atlante che presenti ordinate tabelle di colori e gradazioni di colore; certo, i colori descritti sono anche presentati con le immagini delle diverse sfumature, ma l'ambito di ricerca si colloca piuttosto a metà tra il dizionario dei termini di colore e la narrazione delle principali vicende che hanno come tema un nome, un pigmento, talora un seme o una radice, con qualche escursione nella storia delle tecniche artistiche. Questa oscillazione sembra resa necessaria dalla difficoltà di isolare nel campo 'colore' alcuni concetti fondamentali attorno ai quali costruire in maniera sistematica dei sottoinsiemi coerenti, e a questo si aggiunge la non esatta corrispondenza semantica tra termini inglesi e italiani, a cui la stessa traduttrice accenna nella nota all'inizio del libro.
A questo proposito l'autrice racconta divertita del tentativo intrapreso, negli anni venti del Novecento, da Aloys John Maerz e Morris Rea Paul di costruire un dizionario dei termini di colore (A dictionary of color, Mc Graw-Hill, New York 1930) e delle loro difficoltà nella definizione, ad esempio, della parola 'taupe'. Il termine deriva dal francese e significa 'talpa', ma 'taupe' come colore – in inglese, ma ormai in qualsiasi negozio di indumenti, cosmetici e arredamento di interni del mondo – indica un grigio con sfumature brune, mentre le talpe sono decisamente grige. I due ricercatori analizzarono tutte le varianti del pelo delle talpe nei musei zoologici americani e francesi per concludere che il 'taupe' era qualcos'altro e inclusero nel loro libro un campione definito come «la media corretta tra le sfumature di manto che può avere una talpa francese» (p. 275). Il British Colour Council, due anni dopo, preferì concludere che gli inglesi non sapevano che 'taupe' significasse 'talpa' e che quindi attribuivano il termine a una sfumatura che non aveva nulla a che vedere con la talpa.
St Clair si rende perfettamente conto di questi slittamenti semantici e di catalogazione: cita con ironia altri esempi dal Third New International Dictionary, pubblicato nel 1961, nel quale compaiono la definizione del colore begonia come un «rosa carico più azzurro, squillante e intenso del corallo medio, più azzurro del rosso fiesta, e più azzurro e intenso del ciclamino» e la definizione del blu oltremare come «un blu medio che è più rosso e intenso del blu pavone e più rosso e vivace dell’azzurro citramarino, del cobalto o del blu Pompadour», parole – scrive l'autrice – che per noi hanno perso significato.
Altra ambiguità linguistica è data dal porpora: per noi italiani il porpora è un rosso, per gli inglesi un viola. L'inglese purple (purpre in antico inglese) – spiega St Clair – deriva dalla purpura latina e dalla porphýra greca e ha aumentato il tasso di blu fino a designare il vasto campo dei viola, mentre il porpora in italiano si associa al rosso vivo «forse complici secoli di imperatori e cardinali porporati» (p. 173). Ma la storia di questo colore contiene altri misteri di origine antica: com'è noto la porpora è una sostanza che i Fenici estraevano da certi molluschi gasteropodi con un procedimento complesso e costosissimo per l'enorme quantità di animaletti necessari a produrre pochi grammi di colorante (secondo Plinio quindici o sedici libbre per ottenerne una). Il colore ottenuto presentava riflessi diversi, cangianti al variare della luce, e gli stessi procedimenti usati per ricavarlo potevano variare da popolo a popolo, da epoca a epoca, ma anche da bottega a bottega. Anche le descrizioni e gli usi del termine da parte degli scrittori greci e latini non ci aiutano, poiché indicano talora un concetto molto ampio – dal rosso scarlatto fino al viola scuro – oppure una serie di rossi che esclude il cremisi, oppure ancora – scrive Plinio – come «quel prezioso colore di rosa che tende al nero e riluce» (cit. p. 316). A questa ambiguità del colore preferito da Cleopatra si aggiunge un altro mistero – e l'autrice va a caccia volentieri di misteri e storie accattivanti –: la storia della scomparsa, dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi nel 1453, della ricetta tintoria e della riscoperta, soltanto quattrocento anni più tardi, da parte di un biologo francese, del mollusco da cui gli antichi ricavavano la porpora.
Kassia St Clair non è solo interessata ai misteri: come giornalista di arte e design è attenta al campo della moda e ricorda, tra le altre cose, il carattere velenoso della biacca, il bianco di piombo, che non era usato solo nei dipinti dai tempi dei guerrieri coreani goguryeo – dei quali possiamo ancora ammirare le immagini grazie al pigmento di base –, ma era anche utilizzato come cosmetico dalle antiche donne greche e cinesi. Il trucco poteva avere effetti letali, ma ancora nell'Ottocento si potevano acquistare illuminanti a base di piombo con nomi fantasiosi e affascinanti. Altri due esempi soltanto: la vicenda del vestito di satin avorio della regina Vittoria che inaugura la moda dei vestiti da sposa di questa tonalità, come dimostra l'abito disegnato da Sarah Burton per la duchessa di Cambridge. L'altro aneddoto riguarda il vestito "color carne" di Michelle Obama in una cena ufficiale nel 2010 e il paradossale permanere di tale definizione nel nostro mondo globalizzato, in cui il colore della pelle non è certo riducibile a quello della donna "bianca". Lo ha dimostrato il progetto Humanae, una sorta di inventario cromatico della pelle umana – catalogato con i codici Pantone –, della fotografa brasiliana Angélica Dass che dal 2012 raccoglie ritratti di persone diverse provenienti da ogni parte del mondo, rivelando migliaia di sfumature di colore.
Anche le narrazioni di St Clair si moltiplicano e si ramificano, diventano leggere o impegnate, digressioni o approfondimenti scientifici. A proposito di analisi scientifica St Clair afferma che le onde luminose rimangono fuori dall'occhio, così che «il colore che percepiamo associato a un oggetto è proprio il colore che a quell’oggetto manca» (p. 15): certamente gli oggetti hanno il colore del segmento dello spettro elettromagnetico che viene riflesso, ma proprio l'approccio dell'autrice rivela che il colore ha molto a che fare con le cose, con le sostanze che le compongono, con i pigmenti che le ricoprono, con la tessitura della loro "pelle". L'interesse del libro rimane nella sua dimensione divulgativa e nelle settantacinque storie che ci riservano sempre nuove sorprese.