Benjamin, Facebook e la fine della distanza tra la radio e il suo pubblico

13 Settembre 2011

È vero. Il titolo suona blasfemo. Accostare la parola Facebook a Walter Benjamin può suonare come “un porno al cinema d’essai” (l’espressione non è mia, ma di un direttore di Radio Popolare per definire il programma Bar Sport all’interno del palinsesto di una radio come quella milanese). Eppure questo articolo farà proprio questo: accosterà il pensiero radiofonico di Benjamin ai cambiamenti che social media come Facebook hanno portato alla radio stessa. Si parla molto di user generated content, come se fosse un tratto distintivo dei soli social media digitali. E invece già negli anni trenta, all’alba dell’era della comunicazione di massa, Benjamin aveva intuito la radicalità di questi strumenti, se solo fossero stati aperti alla partecipazione dei lettori/ascoltatori/spettatori. I social media di oggi rappresentano solo la tappa finale di un lungo processo di abbattimento delle barriere tra emittente e ricevente. Proverò brevemente a ripercorrerne le tappe e a proporre una riflessione su cosa cambia nel fare la radio oggi, ai tempi di Facebook.

 

Nel 1933 Brecht, proiettando sulla radio le sue tesi sul teatro didattico, scriveva: “La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con gli altri. La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventi fornitore”. Ma ancora prima di Brecht, e in maniera ancora più brillante, era stato Walter Benjamin ad intuire il potenziale radicale della radio come “social medium”. Mentre Adorno e Horkheimer consideravano la radio uno strumento di propaganda e di intrattenimento soporifero, Benjamin, complice una maggiore conoscenza del mezzo che gli veniva dall’aver prodotto per la radio della Repubblica di Weimar novanta trasmissioni dal 1929 al 1933, mantenne una visione positiva del mezzo, capace secondo lui di trasformare il rapporto del pubblico con la cultura e la politica. Ma è nelle Riflessioni sulla radio (1930) che Benjamin esprime le idee più fertili per il nostro tempo: “il fallimento cruciale della radio è stato di perpetuare la separazione fondamentale tra i produttori radiofonici e il suo pubblico, una separazione che è in contrasto con la sua base tecnologica (…) il pubblico deve essere trasformato in testimone nelle interviste e nelle conversazioni e deve avere l’opportunità di farsi sentire”. La radio che aveva in mente Benjamin è uno strumento che riduce la distanza tra chi trasmette e chi riceve, in cui sia l’autore/conduttore sia l’ascoltatore possono rivestire il ruolo dei produttori, contribuendo entrambi alla costruzione della narrazione radiofonica.

 

Secondo Philippe Baudouin l’importanza che Benjamin riconosce ad una ricezione attiva è agli antipodi dell’effetto ipnotico dell’estetica nazista e all’incanto dello spettacolo radiofonico come merce. All’estetizzazione della politica e dell’arte Benjamin risponde con la politicizzazione dell’arte, che passa, nel caso radiofonico, per l’assegnazione all’ascoltatore di un ruolo più attivo e partecipe. Questo tema verrà ulteriormente ripreso anche nel testo L‘autore come produttore (1934), in cui Benjamin sosterrà la necessità, con l’arrivo delle nuove tecnologie di riproduzione meccanica ed elettrica, di una nuova figura di intellettuale/produttore (scrittore, fotografo, autore di drammi radiofonici, drammaturgo, regista cinematografico) e la fine della distanza tra scrittore e lettore. Benjamin considerava sullo stesso piano orizzontale emittente e ricevente, ben prima che la tecnologia arrivasse a fornire strumenti concreti per collegare in tempo reale questi due poli. Nella broadcast communication che con tonalità differenti (commerciali/politiche/didattiche) si andava affermando in Europa e nel resto del mondo Benjamin vedeva i semi dell’alienazione dell’ascoltatore. Il mutismo e la passività delle masse in ascolto del modello broadcast potevano essere riscattate da una visione a rete della tecnologia radiofonica e da un approccio educativo non di tipo top-down ma orizzontale.

Il pensiero di Benjamin è importante e quanto mai attuale per l’accento che ha posto sul feedback da parte dell’ascoltatore. Internet, e i social media in particolare, hanno finalmente fornito la piattaforma tecnologica ad una teoria benjaminiana finora rimasta incompiuta.

 

 

Tra gli scritti di Brecht e Benjamin e l’invenzione di Facebook sono passati settanta anni. Per la radio sono cambiate molte cose: è arrivato il transistor, il telefono, il telefonino, internet, la banda larga, il satellite, l’ipod, i blog, i podcast e i Social Networks. E ognuno di questi innesti sul corpo della macchina radiofonica ha provocato un nuovo ibrido e modificato l’ascolto. Se è vero che è ancora possibile ascoltare la radio al buio dall’apparecchio via etere della cucina, è anche vero che è ormai una forma d’ascolto residuale. L’ascolto della radio conserva ancora alcuni tratti di cecità, ma l’esperienza del mezzo non è più totalmente disincarnata e immateriale.

Gli innesti tecnologici, dal telefono ai Social Networks, sul corpo del mezzo radiofonico possono anche essere letti come un romanzo di formazione in cui seguiamo il protagonista principale - il pubblico - nella sua fase di crescita e sviluppo corporeo. Con i Social Networks il romanzo ha termine, il protagonista ha superato la pubertà. La presenza del pubblico in radio passa da un grado zero – il telefono – che presuppone soltanto la presenza di una voce, invisibile ed incorporea, allo stadio finora più avanzato – I Social Networks – in cui il pubblico ha un volto, un nome, uno spazio di discussione personale (il Wall), una profilazione bioculturale (la sezione Info), un’intelligenza collettiva (la Home). È la fine del pubblico come massa cieca (non può vedere la fonte che emette il suono), invisibile (non può essere vista da chi emette il suono), passiva (non può prendere parte alla discussione), insensibile (non può manifestare i suoi sentimenti nei confronti di chi parla). L’innesto dei Social Networks sul corpo del medium radiofonico rende pubblico e tangibile il capitale immateriale costituito finora dagli ascoltatori. Se prima ogni singolo ascoltatore era invisibile alla radio e rimaneva confinato nella sua sfera privata fino a che non interveniva telefonicamente in una trasmissione, oggi gli ascoltatori connessi al profilo online di un programma radiofonico non sono più né invisibili, né privati, così come le loro opinioni e i loro sentimenti.

 

Il nuovo modello di comunicazione che deriva dal cortocircuito tra radio e social media è un modello ibrido, in parte ancora broadcast, in parte già networked. La radio rimane uno strumento di comunicazione uno-a-molti. Il telefono l’ha già resa in parte uno strumento one-to-one (l’intervista telefonica) e many-to-one (il microfono aperto, phone talk radio) ma a questo oggi si aggiungono i Social Networks, che sono contemporaneamente strumenti uno-a-uno (chat), uno-a-molti (tweet, note e post), molti-a-molti (Facebook Home, Twitter hashtag), molti-a-uno (Facebook comments). L’incrocio di radio e Social Networks modifica pesantemente sia la relazione verticale tra il conduttore e il pubblico, sia la relazione orizzontale tra i singoli ascoltatori. Entrambe le relazioni si avvicinano sempre più alla comunicazione tra pari. Una volta che il conduttore di un programma e un suo ascoltatore sono diventati “amici” su Facebook hanno stabilito una relazione orizzontale e bidirezionale: l’uno può navigare il profilo dell’altro, l’uno può assistere in qualità di pubblico alla performance on line dell’altro e contemporaneamente esserne l’attore. Entrambi possono attivare due tipi di performance, pubblica e privata: possono commentare i post pubblicati sulle proprie bacheche, oppure mandarsi messaggi privati o comunicare real time in chat. Per la prima volta nella storia della radio conduttore e ascoltatore possono facilmente comunicare in forma privata, lontano dalle orecchie degli altri ascoltatori, “fuori onda”. Questo dà luogo a comportamenti di “backstage” tra conduttore e ascoltatore una volta inimmaginabili. Allo stesso modo, si trasforma la relazione tra gli ascoltatori. I fan di una trasmissione radiofonica possono stringere legami on line, scambiare commenti pubblici sulla bacheca della trasmissione, manifestare il gradimento o meno di certi contenuti, suggerire contenuti nuovi, scambiarsi link sulle proprie bacheche personali, scriversi messaggi privati e chattare tra loro. Il pubblico della radio non è mai stato così pubblicizzato. Se prima dei Social Networks il concetto di pubblico radiofonico era puramente un’entità astratta, concepibile sociologicamente e analizzabile statisticamente, oggi questa comunità non è più soltanto una comunità immaginata. Le persone che seguono con una certa frequenza un programma e ne sono anche fan su Facebook hanno per la prima volta la possibilità di vedersi in faccia, di riconoscersi, di comunicare reciprocamente, creare nuovi legami bypassando il centro, ovvero il programma radiofonico. Se il pubblico radiofonico è un insieme invisibile di persone senza legami tra loro, il pubblico del Social Networks è invece un insieme visibile di persone/nodi inserite in una rete, collegate da legami di intensità variabile, che in alcuni casi possono dare vita a legami forti anche fuori da questa rete.

 

Questo insieme visibile di persone/nodi/legami è la novità più importante dell’ibridazione fra radio e Social Networks. La rete di amici/fans di un programma radiofonico su Facebook costituisce il suo specifico capitale sociale. Mentre il più ampio (e invisibile) pubblico radiofonico, mappato dalle società di rilevazione dell’ascolto, costituisce il capitale economico del programma, il più ristretto pubblico dei social media è il vero capitale sociale del programma, un capitale tangibile e visibile.

Il contenuto profondo del pubblico dei social media è il network stesso, perché questo network è in grado di produrre valore in termini di feedbacks e nuove idee.

Il producer radiofonico non cerca più (o non dovrebbe più cercare) contenuti da solo, come nel novecento. I contenuti gli arrivano addosso, sono “ovunque” (la Home dei Social Networks), basta raccoglierli. E il suo compito non è più cacciare, ma selezionare. Non deve conoscere tutto, deve ascoltare quello che trova nell’aria, nella Home di Facebook e Twitter, e scegliere cosa portare a casa, cosa valorizzare e cosa dimenticare.

 

La radio è sempre più un aggregatore, un filtro all’abbondanza, utile soprattutto per la maggioranza di ascoltatori non prosumer, che non pubblicano video, che non hanno il tempo né di esplorare i profili degli amici, né di procacciarsi da soli le notizie. Il mestiere dell’autore radiofonico allora è sempre più quello del traduttore, di chi sta in mezzo tra due mondi – le nicchie e la cultura di massa. Il producer ai tempi di Facebook ha questa funzione: dragare contenuti emersi in piccole isole, in piccole comunità, tradurli e adattarli per il pubblico dei grandi continenti, trasformandoli in cultura di massa. Il nuovo processo di produzione del valore all’interno del flusso radiofonico ai tempi dei Social Networks è questo: gli ascoltatori mettono in scena i propri gusti on line, l’autore radiofonico (sempre più producer, come immaginava Benjamin) li interpreta, li rielabora e restituisce loro un’esperienza d’ascolto, drammaturgicamente costruita all’interno, della quale ritrovano i loro contenuti legati assieme. Gli ascoltatori commentano e allo stesso tempo producono (pubblicano) nuovo materiale e il processo ricomincia. Il processo di produzione del flusso radiofonico ai tempi di Facebook assomiglia a quello della lavorazione dei minerali. Gli ascoltatori/produttori sono i minatori che estraggono il minerale grezzo (contenuto sotto forma di un commento brillante, una nota, un videoclip, un estratto di un film preso da You Tube, un nuovo brano musicale preso da SoundCloud, un link ad un articolo...) che viene poi lavorato, trattato, elaborato dall’autore/produttore.

 

L’autore/produttore aggiunge valore al contenuto portato in superficie dagli ascoltatori/produttori dandogli una forma drammaturgica, inserendolo in un processo narrativo, in una più ampia architettura di senso basata su regole drammaturgiche (la scaletta del programma radiofonico). Gli autori, i conduttori e gli ascoltatori sono tutti artefici del programma finale: ognuno di loro coopera, attraverso I Social Networks, al design e alla produzione dei contenuti radiofonici. Come ha notato Castells “i Networks decentralizzano la performance e rendono condiviso il processo di decisione”. Chi fa la radio e chi la ascolta, una volta connessi attraverso I Social Networks, appartengono allo stesso network orizzontale. Sul palco dei Social Networks, ognuno di loro ha il diritto di partecipare, farsi avanti, rivestire alternativamente il ruolo dell’attore (contribuendo con un contenuto) e quello dello spettatore che applaude o fischia (commenti, attività di liking). Così come immaginava Benjamin, la produzione dei flussi comunicativi non è più prerogativa dei soli autori ma anche dei loro ascoltatori. La qualità e la frequenza di questa cooperazione al processo produttivo è funzione non della piattaforma tecnologica ma dell’intelligenza degli autori radiofonici, della loro capacità di dare una forma degna e fertile al feedback del pubblico. I Social Networks permettono per la prima volta nella storia della radio, di valorizzare il pubblico, di spostare il baricentro della comunicazione di massa. Questo è il lato buono della medaglia. Il lato oscuro è lo sfruttamento, la messa al lavoro del pubblico. Ma per questo lato oscuro rimando al saggio di Carlo Formenti, Felici e Sfruttati (2011), il film porno al cinema d’essai termina qui.

 

 

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