Bologna, 10:25
C’è un’immagine che racchiude tutto l’orrore del 2 agosto 1980. Una giovane donna che si allontana a piedi dalla stazione di Bologna, trascinandosi accanto la bicicletta. Ha lo sguardo fisso, la bocca spalancata. Piange e urla: “Bastardi!..., assassini!...”.
Alle spalle si lascia la più atroce strage del dopoguerra. La prima carneficina con fotografie e filmati a colori. Un attentato apocalittico causato da venticinque chili di esplosivo, contenuti in una borsa dentro la sala d’aspetto di seconda classe. Una bomba che alle 10,25 fa crollare trenta metri di pensilina, uccidendo ottantacinque persone e ferendone duecentodiciotto.
Opera dei fascisti, dichiara il 4 agosto 1980 in Senato l’allora presidente del consiglio Francesco Cossiga (il quale poi cambierà opinione). Non a caso. Il decennio prima è stato segnato dai morti di piazza Fontana (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972). E ancora: della Questura di Milano (1973), di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus a San Benedetto Val di Sambro (1974). Attentati che hanno portato a piste nere e depistaggi dei servizi segreti. Anche per la strage di Bologna, si vuole seppellire la verità. Già il pomeriggio del 2 agosto, quando ancora si teorizza l’improbabile scoppio di una caldaia, c’è chi si infiltra tra gli investigatori. È un dirigente del Sismi di Firenze, presentatosi in Procura sotto falso nome. Seguono altre menzogne, costruite intrecciando il falso al verosimile.
Spuntano la pista mediorientale, quella spagnola, quella genericamente internazionale, quella archiviata come “Terrore sui treni”... Una manipolazione che porta alla condanna dei vertici del Sismi, del faccendiere Francesco Pazienza e di Licio Gelli, gran maestro della loggia massonica Propaganda Due (P2). È cosa certa, insomma, l’alleanza di pezzi dello Stato con i poteri occulti. I magistrati faticano a orientarsi, in questa sofisticata confusione, eppure la giustizia riesce a fare il suo corso. Nel 1995 il Tribunale di Bologna stabilisce definitivamente che gli esecutori della strage sono Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, capi dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), puniti con l’ergastolo dopo cinque gradi di giudizio. Con loro, nell’aprile 2007, viene riconosciuto colpevole Luigi Ciavardini, all’epoca diciassettenne, condannato a trent’anni dal Tribunale dei minori.
L’ennesima conferma di quanto emerso nei precedenti processi. Oltre 600 mila pagine dove abbondano i fatti, spesso ignorati dalla pubblica opinione. È provato, ad esempio, che alla vigilia della strage un detenuto di estrema destra ha informato i magistrati di un imminente e clamoroso attentato. Ma al suo allarme non sono seguite verifiche adeguate. Raccontano pure, gli atti, che Fioravanti e Mambro hanno modificato ripetutamente l’alibi del 2 agosto, contraddicendosi in varie occasioni.
E altrettanto documentato, nelle carte, è il fatto che il 4 agosto 1980, due giorni dopo la strage, Fioravanti si è presentato con la sua compagna dal delinquente comune Massimo Sparti, chiedendogli documenti falsi e vantandosi per “il botto” di Bologna. Un episodio confermato il 25 agosto 1984 dalla stessa Mambro. La quale ammette sia l’incontro con Sparti, sia la richiesta di documenti, a suo dire destinati ai capi di Terza posizione (dettaglio non creduto dai giudici per due motivi: i vertici di Tp non erano all’epoca ricercati, e per giunta i Nar li cercavano per ucciderli). Un dato è certo, in questa storia: dal termine del processo a oggi, non sono emersi nuovi e solidi elementi.
Durante il secondo governo Berlusconi, la Commissione parlamentare Mitrokhin si è occupata della strage di Bologna, ma il presidente Paolo Guzzanti si è dissociato dalla relazione finale, orientata verso il filone del terrorismo palestinese. In precedenza, erano risultate inconsistenti le accuse rivolte a Sparti da Fioravanti, secondo il quale il testimone avrebbe dichiarato il falso in cambio della libertà. E altrettanto inattendibile è l’ipotesi di un’esplosione accidentale, smentita dalle perizie tecniche (che parlano di esplosivo a innesco) e dal mancato ritrovamento di un terrorista morto.
Quanto all’ex ministro dell’Interno, ex presidente del consiglio ed ex presidente della repubblica Francesco Cossiga, innocentista convinto, ha pubblicamente dichiarato di non basarsi su prove concrete, ma sulle parole della brigatista Anna Laura Braghetti, killer del giudice Vittorio Bachelet e grande amica in carcere di Francesca Mambro. Sempre Cossiga, ha ammesso di non avere letto gli atti processuali ma semplici riassunti, il che ha indignato l’Associazione dei familiari delle vittime.
Anche per questo, merita una citazione la recente testimonianza di una donna che il 2 agosto 1980 era alla stazione di Bologna. Lì avrebbe notato due giovani con abiti alla tirolese: proprio come, secondo il teste Sparti, si sarebbero travestiti Fioravanti e Mambro. In passato la signora si è già presentata agli investigatori, riconoscendo in fotografia la Mambro, ma non ha avuto il coraggio di firmare un verbale.
L’ha trovata adesso, quella forza: 27 anni dopo l’eccidio di Bologna, ricostruendo la sua vicenda in un’intervista. Un racconto accompagnato, malgrado il tempo trascorso, dal timore di una vendetta. Dalla consapevolezza dei segreti che ancora pesano sulla strage della stazione. E da una domanda enorme: stabilito in aula che Fioravanti, Mambro e Ciavardini hanno materialmente messo la bomba alla stazione, chi sono i mandanti? E chi, per tutti questi anni, ha continuato a proteggerli?
La risposta, chiusa in qualche cassetto, fa paura a molti.
Questo testo è stato pubblicato in Anni settanta, a cura di Marco Belpoliti, Gianni Canova e Stefano Chiodi, ed. Skira, 2007.