La danza di Woyzeck nel vuoto
Woyzeck danzato, cantato, recitato. Il Balletto Civile di Michela Lucenti presenta Woyzeck - ricavato dal vuoto nell’ambito del glorioso Teatro Festival di Parma, una rassegna che in anni di minori tagli e di maggiori slanci portò in Italia mostri sacri della scena europea come Bernhard Minetti, Peter Stein e Eimuntas Nekrosius. Lo spettacolo, come gli altri di questa compagnia, usa la danza come scandaglio dell’esistenza e della società, lanciando il corpo a esplorare l’oscurità, aiutandosi con il canto per non perdersi, con la parola per provare a capire.
Il personaggio principale di questo testo frammentario e incompiuto scritto nel 1836 da Georg Büchner, giovane scienziato e rivoluzionario, è stato la bandiera di varie avanguardie. Maurizio Camilli lo indossa totalmente, rendendolo un giovane Cristo di bell’aspetto portato al supplizio, con poco del soldato di truppa vessato di certa iconografia post-espressionista. Diventa eroe sacrificale in un mondo alla deriva, fatto di consumo e solitudine, dove i persecutori – il dottore che lo usa come cavia, il capitano che lo rimprovera di assenza di moralità – indossano abiti burocratico-impiegatizi da kafkiani clown col naso rosso, trasformandosi, con tutti gli altri personaggi (il figlio, la sua Maria che lo tradisce, il tamburmaggiore…), in un balletto di ambigui Babbi Natale. L’essere umano finisce a quattro zampe, scalpitante come un cavallo o in maschera di gorilla, in un baraccone di fiera o nel nulla, bestia intelligente sospesa in un dolore che non trova consolazione neppure nelle numerose citazioni bibliche.
Già all’inizio viene evocato l’immenso urlo della natura che chiamano silenzio, interpolando brani da Lenz, un racconto dedicato da Büchner alla caduta psichica di quel poeta fratello maggiore, ribelle sconfitto. È bellissimo l’esordio, detto, cantato come una nenia cullante da Michela Lucenti, nel semibuio, con echi elettronici. Incrocia vari testi la traduzione/riscrittura di Alessandro Berti, iniziando quasi dalla fine del Woyzeck, dalla favoletta nera del bambino senza genitori che vaga per un cosmo desolato per ritornare sulla terra ridotta a buco nero.
Disperazione. Trionfo dei moralismi e scatenamento delle pulsioni dei corpi. L’omicidio di Maria, l’amata, la seducente, la traditrice, la derelitta, si consuma in un lago di latte e cornflakes, che prima hanno inondato il soldato-barbiere. Si rotolano, i corpi, in quel fango primordiale, impastandone chicchi che sembrano grano seminato su terra nera, infeconda.
Questa via crucis con musiche cupe o scanzonate, composte ed eseguite in scena da Mauro Montalbetti in parrucca alla Allevi, con boys, girls e bestie, amici drag queens, bambini con la barba affogati di simboli del consumo, vive di momenti intensi e di altri inutilmente chiassosi, di verità dei corpi e di menzogne sociali, utilizzando la danza e la voce come grimaldelli per violare gli scrigni della solitudine, del dolore, dell’oppressione. Tra preghiere al nostro quotidiano dio dello spettacolo e finali sentimentali a contrasto affidati al canto nasale di Ramazzotti, sprofondiamo, con incalzante immedesimazione, nella testa, nelle ossessioni di Woyzeck, nel suo annullamento.
Lo spettacolo è in scena a Parma a Teatro Due.