Il collasso dell’Europa è davanti o dietro di noi?
“Questo posto è l’inferno. Ieri potrebbe essere stato l’Europa”. Prende spunto da una visione apocalittica Come trattenere il respiro della drammaturga inglese, ma che vive e lavora in Scozia, Zinnie Harris. Ha debuttato alla Sala Mercato di Genova, coproduzione del Teatro Nazionale di Genova e del Centro Teatrale MaMiMò, con la regia di Marco Plini.
Nel suo testo Harris insinua una catastrofe politico-economica di un vicinissimo futuro nella quotidianità di due sorelle. Tutto comincia con Dana (Alice Giroldini) che si risveglia dopo una notte di sesso con Jarron (Marco Maccieri), abbordato e conosciuto la sera prima, che si rivela persona ambigua, dichiarandosi prima un funzionario straniero dell’Onu, poi addirittura il diavolo. Jarron insiste – con maniere maschiliste e offensive – per pagare Dana. La donna rifiuta offesa, ma quando poi la sua vita scivolerà pian piano dentro un caos personale e collettivo, le sembrerà di essere in una trappola irrazionale. Finirà per credere alla faccenda del diavolo, e a nulla le serviranno i libri che consulterà: oltretutto più che letteratura, il bizzarro e premuroso bibliotecario (Fabio Banfo) le fornirà soltanto manuali di autoaiuto e si trasformerà via via in un angelo wendersiano, ma più simpatico, che ogni tanto comparirà per offrire in improbabile aiuto i suoi manuali.
Dana è una manager impegnata in colloqui di lavoro, e da Berlino sarà reindirizzata ad Alessandria d’Egitto. È pure agitata da insicurezze, così anche la sorella Justine (Cecilia Di Donato), con cui vive, che si ritrova incinta, come risultato di una vita un po’ disordinata. Le due partono insieme per Alessandria in treno, cogliendo l’occasione per un viaggio attraverso l’Europa e per vedere il mare (Dana spera anche segretamente di ritrovare Jarron, da cui è fortemente attratta) ma si ritrovano alle prese con un’improvvisa crisi finanziaria europea. Se ne accorgono perché i loro bancomat non funzionano: le banche europee hanno chiuso, si sono fermati i servizi, un’improvvisa ondata di povertà, turbolenze, disordini attraversano il vecchio continente, che implode su sé stesso. Incredule, sperano che concludere il viaggio le aiuti, ma da gita turistica di donne di ceto medio alto (“Abbiamo un sacco di soldi sul conto” dice una delle due al controllore del treno) si trasforma in tribolata migrazione al contrario, con tanto di barcone e approdo drammatico sulle coste del Nordafrica.
Come si vede è una trama complessa, con un’ipotesi di partenza suggestiva, con il ribaltamento dei destini e della geopolitica. Scelto su suggerimento di Monica Capuani, traduttrice che da anni sta facendo anche un intenso lavoro di scouting e diffusione della drammaturgia anglosassone in Italia, Come trattenere il respiro ha un forte carattere politico (il testo è stato scritto nel 2015 dopo gli anni della Troika europea e dell’annuncio di Cameron del referendum sulla Brexit). Così ha convinto Marco Plini perché – scrive nelle note di regia – la pièce è una “metafora sull’esistenza moderna, sulla finzione in cui viviamo, la finzione della civilizzazione e del controllo sulla propria vita, la finzione della bontà”. Tuttavia, forse, il testo contiene così tante cose da risultare alla fine sovraccarico di simbolismi e allegorie, tra citazioni letterarie e richiami alle teorie di Mark Fisher, sommando spunti di critica sociale (i rapporti uomo-donna, l’editoria, il consumismo). Molti, forse troppi livelli di lettura, a cui si aggiunge anche la sub-storia drammatica della gravidanza di Justine (Zinnie Harris dedica il testo a sua sorella). Tutto questo non aiuta Plini nella regia, che parte peraltro in salita con un registro interpretativo da straniamento, con tutti gli attori in scena (e rimarranno tutti sempre in vista) come fossero impegnati nella classica “prima lettura”, solo leggendo senza recitare, con l’aiuto di un narratore (Luca Cattani, che sarà anche un paio di altri personaggi dei molti previsti da Harris). Incipit suggestivo, ma di cui non è chiaro l’intento: forse per marcare che questa è un’invenzione, ma in qualche modo anche una storia già accaduta? In ogni caso, dato che poi inevitabilmente si torna al registro naturalistico, il dubbio, sulla sua scelta un po’ incongrua, resta.
Harris, nata nel 1972, è poco conosciuta nel nostro paese, nonostante la buona ondata di drammaturgie anglosassoni recenti, ma gode di ottima fama nel Regno Unito. Autrice pluripremiata per i suoi testi, spesso adattamenti in chiave innovativa di opere classiche, lavora con i maggiori teatri inglesi e scozzesi ha diretto, tra le altre cose, la Royal Shakespeare Company. In Italia Silvio Peroni ha inscenato nel 2019 uno dei testi più acclamati in patria, Ci vediamo all’alba, e nel 2021 Francesco Villano e Sonia Barbadoro hanno realizzato per Radio 3 Il giardino in forma di radiodramma (si può ascoltare qui), più efficace del testo rappresentato a Genova, perché meno sovraccarico, nel mix tra catastrofe ambientale e dramma di una coppia. Come trattenere il respiro ovviamente risente anche del calco faustiano, procede per quadri, in chiave fantasy-distopica e per conciliare anche l’asse portante del realismo, introduce i dubbi irrazionali di Dana su Jarron, con ambivalenze psichiche, oniriche, con un velo sempre allucinatorio. Gli attori pur bravi e affiatati, devono passare – anche per i tagli al testo, l’eliminazione di alcuni passaggi – attraverso alternanze di toni recitativi, di coloriture dei personaggi; a volte prevale enfasi o drammatizzazione eccessiva, in questo carosello ironico-grottesco che precipita nel dramma e che Harris chiude in modo prevedibile su un barcone affollato di europei in cerca di rifugio in Nord Africa.
Insomma, un testo che oscilla forse troppo e in modo non risolto tra le sue molte anime, anche se ha il tratto di molti autori inglesi, di acutezza empatica e attenzione alla scrittura per tradurre la complessità del mondo contemporaneo. Anche per questo alla fine il cerchio dello spettacolo si chiude. Fluida anche la scelta di Plini di tenere gli affiatati e rodati interpreti della compagnia MaMiMò sempre in scena, anche quando non impegnati nella loro parte, dentro uno spazio scenografico che colloca la vicenda in un ambiente retrò, stile Old Europe, con una branda, un divano, una vasca con piedini, una vecchia biciletta e una lampada, quasi a suggerire l’idea che il collasso dell’Europa possa essere un terribile futuro dietro le spalle.
Le foto dello spettacolo sono di Federico Pitto.