Fanny & Alexander nei doppi di Kristof

1 Dicembre 2023

I labirinti attraggono per due forze simultanee: quella che conduce al mistero al centro di esso e quella che spinge a uscirne. Per questo il vero labirinto in fondo è semplicemente un bivio. 

Basta il doppio a creare una tensione irrisolvibile. Così fa Agota Kristof, con la sua Trilogia della città di K., un dedalo narrativo che ruota intorno alla vicenda di due gemelli, dalla loro infanzia dura, all’età adulta della separazione e poi a un misterioso ritrovarsi. Una storia unica, ma fatta di tre romanzi (Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna) autonomi quando uscirono tra il 1987 e il 1991 ma ormai considerati, anche editorialmente, inseparabili (come i gemelli).

Un trittico diventato ora spettacolo teatrale, ideato e fortemente voluto da Federica Fracassi, che parallelamente alla sua attività già notevole di attrice (pluripremiata negli anni, l’ultimo premio è l’Hystrio 2022) ha sempre partecipato a ideazioni e creazioni teatrali, basti ricordare la fondazione e poi la direzione per vent’anni di Teatro – i. “Ho letto la Trilogia a fine anni ’90 – ha detto di recente Fracassi – da allora l’ho tenuta sempre con me, desiderando di portarla in scena prima o poi”. Un desiderio condiviso negli anni scorsi con Chiara Lagani e Luigi De Angelis, ovvero Fanny & Alexander, anche loro con una passione per Kristof e una lunga e acclamata storia di ricerca teatrale che ha praticato spesso l’adattamento di opere narrative.

Lagani e De Angelis hanno curato rispettivamente drammaturgia e regia di questa trasposizione dei tre romanzi che mantiene il titolo einaudiano Trilogia della città di K. e che ha debuttato in prima assoluta il 23 novembre al teatro Sala Melato (dove rimarrà fino al 21 dicembre), prodotto dal Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

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Il compito non era facile, per un romanzo cult, dal forte e indimenticabile timbro letterario (dovuto anche al fatto che Kristof, ungherese fuggita in Svizzera con marito e figlia nel 1956, lo scrisse in francese, nella lingua rimasta per lei sempre straniera se non nemica) e dalla struttura entro la quale si aprono continue digressioni, scatole cinesi narrative, ribaltamenti di verità e anti verità, presenze e fantasmi, sovrapponendo l’immaginato, il sognato e il vissuto. Fracassi, Lagani & De Angelis lo hanno risolto da un lato riprendendo l’esempio di quel che Ronconi dichiarò aver fatto per il suo Pasticciaccio del 1996 (“Ne ho fatto un’edizione teatrale più che un adattamento scenico”) con la scelta di dare rilievo alla scrittura, alle parti descrittive fatte recitare ai vari personaggi.

Dall’altro lato per rendere la polifonia, l’intrico psichico che caratterizza i personaggi di Kristof, F&A hanno attinto al loro stile di scrittura della scena, con l’uso di tecnologie vocali, immagini, musiche, rumori. All’interno dello spazio circolare del Melato, vuoto, con solo una scrivania, tagliato in due da una linea luminosa (che evoca il doppio, le due lingue, i confini, la mente bicamerale) si muovono in presenza cinque attori, ognuno interpretando più personaggi (oltre a Federica Fracassi, ci sono Andrea Argentieri, Consuelo Battiston, Alessandro Berti, Lorenzo Gleijeses). Con loro, anche una ventina di schermi che sospesi nel vuoto, entrano ed escono, calati dall’alto (significativo che a uscire per primi a prendere gli applausi i quattro tecnici addetti al movimento delle corde). Un vero e proprio movimento danzante di video-installazione, all’interno dei quali comparivano lacerti di paesaggi, luoghi, dettagli, flashback ma soprattutto gli altri personaggi, interpretati da altri attori o in qualche caso solo la presenza in video dei loro corpi (a partire dai gemelli sdoppiati digitalmente, e incarnati da Leone Maria Baiocco per l’infanzia e Yari Montemagno per l’adolescenza). 

Ne viene fuori una sorta di macchina ariostesca di grande fascino ed efficacia perché restituisce sulla scena l’immaginazione in modo materico, nel salto di linguaggio dalla scrittura al corpo e oltre, rendendo visibile allo spettatore il teatro mentale che il libro crea. Quello della scrittrice innanzitutto, e non a caso la scelta di Lagani è immettere in questa versione teatrale anche il personaggio-autrice, nel primo atto: la stessa Kristof interpretata da Federica Fracassi con una impressionante mimesi fisica e che avvia il racconto, nel dire quel “noi” in prima persona plurale del romanzo, che insieme alla sintassi crea quella prosa che Manganelli definì di “perfetta, innaturale secchezza, una prosa che ha l’andatura di una marionetta omicida”. Uno stile che dà correlativo stilistico alla durezza della vicenda narrata nel primo libro della trilogia: l’abbandono dei gemelli da parte della madre a una nonna crudele e indifferente (in video Anna Coppola). Le apparizioni digitali sono un tratto immaginifico del lampo di una favola nera, ad esempio qui la nonna con le sue risate demoniche. I due ragazzini fanno vita durissima di stenti e autodisciplina, mutano verso un cinismo infantile col quale sopravvivono in un paesaggio spettrale, tra guerra (siamo intorno al 1944), fame, violenze stupri, pedofili. I due gemelli appariranno sempre e solo in doppio video, con doppiaggio da altra voce di bambino (Vittorio Consoli). Qui forse c’è uno dei pochi elementi non convincenti: se la narrazione condotta da Fracassi con leggero accento straniero è adatto al senso di straniamento della prosa di Kristof, non altrettanto efficace l’effetto della voce del bambino che risulta fuori registro, incapace di contenere in sé quella potenza arcana di mondo tremendo che sarebbe necessaria.

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Per il resto invece proprio la recitazione adottata nel corso dei tre atti da F&A, secondo il loro metodo dell’eterodirezione, funziona, anche se ovviamente con una partitura narrativa così complessa pesa un po’ sulla dilatazione dei tempi nella seconda parte, già lunga di suo e articolata (gli attori non hanno imparato a memoria il testo, ma lo dicono “in sync”, ascoltandolo da un auricolare letto dalla loro stessa voce). Un effetto al confine dell’antinaturalismo, che contribuisce alla tensione magnetica, sospesa, dello spettacolo. In questa seconda parte, che coincide con il secondo libro, prevalgono gli attori sugli schermi, senza più la presenza di Kristof. Si resta immersi nello sviluppo della vicenda e nella sua complicazione. Narrata prima in terza persona (e sempre gli attori a dire le parti descrittive, di volta in volta che la battuta passa a loro) è la storia di Lucas (Alessandro Berti) il gemello che, stando alla narrazione del primo romanzo, non è fuggito all’estero ma è rimasto nella città di K. Qui sopravvive suonando nelle osterie, vendendo ortaggi al curato (in video Renato Sarti) con cui ingaggia schermaglie psicologiche. Crescendo si lega a Yasmine (Consuelo Battiston), donna raminga a cui impedisce di uccidere il figlio Mathias, che poi crescerà come suo, anche se il bambino svilupperà un rapporto morboso e abnorme. “Il bambino è dappertutto” dice Lucas, è il segnale di un’ossessione e di un trauma che si rivelerà poi nel terzo libro (ma questa abnormità dell’infanzia, è data da una statua enorme, creata da Nicola Fagnani, che raffigura Mathias, accovacciato, che emerge da una botola, come una creatura del sottosuolo). Dal suo interno viene la voce, stavolta qui in modo efficace, una voce bambina che non è di bambina e infatti è quella, inquietante e fragile, della poetessa Chandra Livia Candiani. Si intrecciano i destini di vari personaggi: l’amante di Lucas, la bibliotecaria Clara (Fracassi), il libraio Viktor (Lorenzo Gleijeses), il funzionario di partito Peter (Andrea Argentieri). Sarà poi il suicidio di Mathias e la scomparsa misteriosa di Yasmine a determinare l’improvvisa sparizione di Lucas.

La trilogia della città di K è un “meraviglioso groviglio” scrive nelle note di regia De Angelis, e più si va avanti più cresce, cambiando ancora il punto di vista del narratore, tra prima e terza persona. A Lucas subentra – dopo cinque anni, secondo la vicenda romanzesca – Claus (sempre Berti) che sostiene essere l’altro gemello, fuggito all’estero decenni prima, tornato a K. per cercare proprio il fratello Lucas. Fatica a convincere gli altri, ma a complicare la situazione un rapporto di polizia che decreta il rimpatrio di Claus perché né lui né Lucas sono mai comparsi nei registri della città di K.

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Si comprende la passione di Fracassi, Lagani e De Angelis per la Trilogia, perché è anche una strepitosa macchina teatrale (come del resto da sempre il topos dei gemelli) ed è a questo punto che diventa un meccanismo a orologeria (Kristof ha fatto per anni l’operaia in una fabbrica svizzera di orologi) ma inquietante, perché volutamente sghembo eppure esatto, nel passaggio delle voci e delle storie. Una cupa giostra di destini incrociati, un carillon stonato (e tra l’altro sono efficaci anche musiche e ambiente sonoro di Mirto Baliani e Emanuele Wiltsch Barberio, con adeguati contrappunti di accordi ipnotici e qua e là dissonanti).

Prima dello scioglimento finale, al sedicente Claus viene fatto ritrovare un Klaus T. che porta il suo cognome: chi è allora il fratello ricercato? E chi quello che cerca? Forse tutto quel che abbiamo visto era solo quanto immaginato (e scritto) in un romanzo da Lucas che ha cambiato nome una volta all’estero?

Anche Klaus lo ha cambiato, egli è poeta e scrive con lo pseudonimo “Claus Lucas” e scrive in prima persona questa parte della storia. È proprio a questo punto che l’impianto teatrale congegnato da F&A, con mescolanze di carne e digitale, luci e musica, e con lo stesso ingombro fisico degli schermi, che si muovono come spettri che fanno apparire ricordi e flashback, esplode in bellezza, diventando una costellazione o forse un labirinto attorno a un centro che non c’è.

In particolare risulta efficace nella fase finale dello spettacolo, quando Lucas è tormentato da sogni e da sofferenza psichica, cerca di ricostruire la propria storia, che gli appare, grazie anche al gioco di schermi e voci, sempre diversa. E ancora, quando ha finalmente il confronto con un gemello che non vuole averlo come specchio, in una vicinanza che si fa insieme distanza siderale tra i due, acuita dall’effetto maschera indossata da Gleijeses e soprattutto dallo scollamento tra corpo dell’attore che mima la sua parte con la voce registrata di Renzo Martinelli. Una terza parte pienamente compiuta, in cui la Trilogia di Fracassi e Fanny & Alexander diventa una tragedia onirica, kafkiana, ma senza alcun deus ex machina. Una storia che espelle sé stessa, la sua versione omozigote e che culmina nel duello tra i due gemelli dentro il loro castello di narrazioni che pare somigliare a un disegno di Escher. Tutto è esposto ma nulla è dato. Si rompe la linearità di tempi, con la sincronicità anche delle scene, sovrapposte e velocizzate. Emerge così alla fine quello che è può essere anche un senso ulteriore del romanzo, consegnato come un passaggio di testimone proprio al teatro, dal postmoderno narrativo al postdrammatico.

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Il teatro come “terza menzogna” e unica possibile verità. Dove possono convivere proprio perché su una scena, le due menzogne gemelle, una che si travasa nell’altro come i passaggi dei quaderni dal primo al terzo atto. Un gemello completerà il manoscritto dell’altro, anche se il loro incontro non sarà riconoscersi come fratelli. Tutta l’operazione Trilogia della città di K. trasferisce nello spettatore l’incubo del romanzo, materializzando gli slittamenti di identità e l’angoscia di possedere, sì, una storia, che pure raccontiamo a noi stessi e sulla quale costruiamo il nostro destino, ma che è una casa con molte porte così come con molte verità. Non resta che accettare che tutte le storie, sia inventate che vere, siano meravigliosi grovigli di menzogne. 

Nel portare in scena tutta la complessità del labirinto-Kristof, nel lanciare i frammenti romanzeschi in campo di tensione, lo spettacolo cresce via via, facendo dimenticare le tre ore di durata, si compatta e coinvolge emotivamente nello sgomento: quel che stavamo cercando come verità e risposta all’enigma, di questa vicenda e forse anche nella vita, è basato sulla domanda di una soluzione. Invece esiste una risposta che precede tutte le domande: “Mantieni l’enigma”.

Le fotografie sono di Masiar Pasquali.

Trilogia della città di K. è in scena al Piccolo Teatro di Milano – Sala Melato fino al 21 dicembre 2023. Qui le informazioni.

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