Chiara Guidi: aruspici della bellezza

26 Luglio 2024

Non ha un titolo l’ultimo libro di Chiara Guidi, con Romeo e Claudia Castellucci fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio, oggi semplicemente Socìetas. Anzi ne ha tre, di titoli. Parla di insegnamento, ma non di una pedagogia affidata alla trasmissione retorica di contenuti, bensì racconta un metodo analogico, analfabetico, anacronistico, incentrato sul corpo segno e sull’ascolto dei misteri dell’Anima. “Siamo chiamati a cercare non solo le cose visibili ma anche quelle che Amore nasconde, lasciando tuttavia aperto, nella sua ostruzione, un piccolo foro per costringerci a vedere non come solitamente vediamo. L’infanzia, con i suoi tre poteri, può aiutarci ad attraversare quel foro”. Qui Amore e Anima rimandano al mito di Eros e Psiche e alla statua di Canova, dove i due personaggi marmorei sono intrecciati in un soffio di vita.

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Sono tre ‘lezioni’ – Il potere analogico della bellezza, Il potere analfabetico della fantasia, Il potere anacronistico dell’anima – quelle contenute nel libro pubblicato da Sete edizioni di Faenza (pp. 80, 20 euro). Riportano tre “Corsi di aggiornamento di Chiara Guidi per insegnanti di ogni ordine e grado”, tenuti al Teatro Comandini di Cesena dal 2012 al 2014. Non sono le registrazioni delle lezioni, ma riscritture di esse sulla base di appunti. E questa scelta, obbligata dalla frammentarietà delle parti conservate, consente all’autrice un mirabile esito di scrittura, che immerge il lettore nella sua pratica pedagogica assolutamente originale. Una pratica dell’insegnamento insieme teatrale, performativa, come nota Annalisa Sacchi nella postfazione, in cerca continuamente di produrre trasformazioni simili a quelle per salti che continuamente gli infanti realizzano nel gioco. Prova a convincere gli insegnanti (e ci riesce, a giudicare dal successo dei Corsi) a ritrovare fiducia nella saggezza degli infanti. Continua a chiamare così i bambini, come aveva fatto nell’atto originario della sua pratica rivolta ai più piccoli, il magnifico Teatro infantile della Raffaello Sanzio, viaggi nello spazio della favola e del mito, immersioni nei sentimenti, la paura, l’incertezza, la sproporzione, lo sprofondamento nel buio, la ricerca di luce. 

Infanti, non parlanti secondo le nostre regole alfabetiche, sono coloro che ancora non usano le categorie della logica discorsiva, del discorso, per nominare il mondo e per comunicare. La conoscenza dei più piccoli, con il gioco, è emozionale, sensitiva, analogica appunto, analfabetica, anacronistica, capace di “fare il fare”, di farsi immagine, di svilupparsi non per accumuli di conoscenze ma di farsi “più simile all’intreccio dei rami di un bosco nel quale passare che all’ammodernamento di un software”. 

La premessa dell’autrice pure ci pone in un ambito squisitamente teatrale, considerando il teatro l’arte del fare, dell’essere, quando dichiara che i Corsi “sono nati dal bisogno di conoscere il teatro attraverso il confronto con l’arte dell’insegnamento”. Sono due arti che richiedono l’impegno totale, l’avventura di conoscenza che porti a essere, non a dimostrare, convincere, indirizzare a impieghi utilitari. 

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Una scena di Buchettino, con Maria Bacci Pasello, ph. Eva Castellucci.

Il primo potere indagato è quello analogico della bellezza. “La parola cela sempre qualcosa e, per trasformarla in azione, occorre agire: creare un gioco di relazioni attraverso immagini che si legano tra loro generando una visione”. L’analogia interroga e invoca la memoria, compie salti logici, mette in moto catene di immagini, si fa, così, immaginazione. Impone di guardare, di creare connessioni tra le cose anche quando queste sembrano lontane. “Guardare è un lavoro che ci aiuta ad avvertire l’intelligenza tra le cose”. Chiede di “fare il fare”, e questo è uno dei leitmotiv del libro: mettere alla prova i nostri discorsi, accettare la sfida dell’alogico, dell’analogico, dell’immaginale, del visionale. Tendere l’orecchio e anche tendere il corpo. Esprimere con altri sensi.

Le lezioni sono costellate di citazioni di testi, che forniscono elementi a queste azioni, e di esercizi, che mettono alla prova le idee con le pratiche. Cosa ci può suscitare una catena di parole? E cosa può nascere dall’ascolto del silenzio, quell’andare verso l’inafferrabile che Hugo von Hofmannsthal descriveva come il modo di recitare di Eleonora Duse. Prestare attenzione al suono, come faceva e fa ancora oggi lo spettacolo Buchettino della Socìetas, un viaggio nella paura, con i piccoli spettatori sdraiati in lettini nella casa dell’orco, circondati da rumori e suoni evocativi. Evocanti sentimenti, iperboli di emozioni.

“L’analogia ci apre alla conoscenza” dichiara Chiara: “Avvicina cose disperse tra loro”. Ma non basta: “le fa vibrare” e “suggerisce nuove scoperte”. Questo mi sembra uno dei segreti del metodo: far vibrare, entrare in misteriosa simpatia, syn-pathos, sentire insieme; trasforma i concetti in immagini che portano, con il corpo, dentro “ciò che non si vede”. Ricorre qui Guidi a Paul Valery: “Che cosa saremmo dunque senza il soccorso di ciò che non esiste?” Così la didattica è “una costruzione, una composizione che, a volte, non trova risposta nei metodi tradizionali”. Che interroga “lo statuto sensibile del vedere” per una lunga serie di trasformazioni, elencate, come un manifesto, alle pagine 27 e 28 del testo, un atto di resistenza, “per ritrovare il movimento dell’immaginazione come origine della conoscenza; / per una logica delle sensazioni” e così via, per andare oltre l’apparenza delle cose, per estrarre le cose dall’abitudine, “per riconoscere lo spazio di immersione di ciascuno; / per ritrovare la forza di fare un tuffo […]”.

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La Schiena di Arlecchino (Metodo Errante) - Teatro Comandini Cesena, ph. Simona Barducci.

Il secondo potere è quello analfabetico della fantasia, capace di creare “un luogo aperto dove il corpo può camminare, andare e pensare senza la pretesa di capire tutto”. È la sensibilità di agire le cose che precede la concettualizzazione con l’alfabeto; è la capacità di agire per suoni, per oggetti, per mimesi, per andare oltre la parola dettata dalla ragione e guidata solo dal significato. È come entrare in un’opera d’arte astratta, un raccontare per associazioni, per oggetti, per suoni, ritmi, cadenze, per movimenti corporei. È un creare relazioni profonde, per dare forma personale a ciò che apparentemente risulta informe. È la coscienza, con Rimbaud, che “Io è un altro”, un dislocamento non una soggettività narcisistica, un’avventura, voci, colori.

“Un filo di voce, un respiro o un gesto minimo, una presenza senza apparenza né bellezza è come un ultrasuono. Sta a noi, con la nostra arte, decifrarne la presenza e leggerne le viscere, per aprire una strada al senso, come antichi aruspici”. Come antichi aruspici, decifratori di segni, capaci di creare narrazioni da elementi analfabetici, fisici, materiali. Chiara esorta gli insegnanti: “Raccontate con parole-corpo. Abbandonatevi alla conoscenza dell’immaginazione”.

Si affida, con le parole del gesuita e antropologo francese Marcel Jousse, all’antropologia del gesto o del mimismo; perché i gesti creano i primi sensi, quelli emozionali, disarticolati, con l’espressività delegata ai muscoli, alle sonorità. Il suono è uno dei continenti di indagine più profondo di questa artista, il suono pre-significativo, il suono espressivo, quello che ci inchioda alla nostra realtà fisica e che può liberarci, perché “la voce diventa un corpo che esce dal corpo”.

Tutto ha un significato: il graffio sulla roccia, il lamento, i sassolini disseminati nel bosco per orientare il cammino. La scuola deve aiutare a condividere l’esperienza di una visione simbolica delle cose, di noi, piccoli esseri, immersi in un cosmo di costellazioni, di piante, di traffico cittadino. La scuola può insegnare, facendo, a decifrare i segni. 

E qui il libro diventa rivendicazione politica: la scuola non deve limitarsi a professionalizzare, a insegnare un mestiere spendibile: “L’insegnamento non può essere impostato sulla logica del mercato. Il piacere di porre domande alla realtà non può essere valutato in relazione alla professionalizzazione degli studenti. Ripetiamoci collegialmente (dice Guidi, rivolta agli insegnanti, ndr) quanto siano importanti il desiderio, l’immaginazione, la fantasia benché non reggano alcun tipo di comparazione con gli obiettivi di una scuola concepita come azienda”. E più avanti: “Mi auguro che la scuola possa ogni giorno ritrovare un piccolo spazio per esercizi inutili, pensati per dare voce all’immaginazione”.

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La Terra dei Lombrichi - Teatro Comandini, ph. Simona Barducci.

“Per Chiara Guidi l’insegnamento è una pratica del pensiero e una pratica della libertà” scrive nella postfazione al libro Annalisa Sacchi, professoressa ordinaria di Estetica del teatro allo Iuav di Venezia. E conclude il suo intervento, in cui mette in rilievo come questa pratica pedagogica sia apparentabile alla performance e alla performatività, così: “Guidi scrive diffusamente di educazione e insegnamento, pochissimo di istruzione, parla dalla parte della parzialità contro gli universalismi neutri e totalizzanti, si sofferma sulla necessità di una localizzazione e di una presa di parola situata. Nelle sue pagine la pedagogia è sempre incarnata, legata all’esperienza, all’ordine degli incontri e degli affetti”.

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Edipo. Una Fiaba di Magia, ph. Eva Castellucci.

L’ultimo potere dei tre analizzati è il potere anacronistico dell’anima. Una ricerca dell’anima delle cose per ritrovare la nostra anima, per andare insieme verso qualcosa di ignoto (così l’ho capito io). È una ricerca (e un’immersione) in acque profonde. Uno sprofondare in cerca di luce, come Psiche nella favola di Apuleio, come quel respiro che l’autrice coglie nell’intreccio dei corpi in Canova, “la fragilità di quella attrazione che fa vibrare il marmo così come vibrano le ali di una farfalla”. Il sapere è un sapere amoroso, d’anima e, aggiungiamo, animale, che fa anima, conoscenza, attagliandosi alla concretezza corporea della vita nuda. “La scuola e il teatro sono luoghi dove entra in gioco il modo di ciascuno di essere e di stare al mondo. L’insegnamento e l’arte non possono essere ridotti al loro contenuto concettuale: è necessario che la vita stessa si ponga in relazione all’arte del vivere e dell’apprendere”. Deve diventare qualcosa di simile alla parola ebraica ruach, che ha a che fare con il vento, il soffio, lo spirito, l’ispirazione, e rende vivo il vuoto del deserto.

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Fiabe Giapponesi, ph. Nicolò Gialain.

Il teatro e l’insegnamento sono viaggi alla ricerca di sé stessi “per procedere verso lontananze indefinite” sugella Guidi, citando Rubina Giorgi, poetessa, filosofa, teosofa. E conclude questo bel viaggio nell’insegnamento, nel teatro, nella trasformazione del fare: “Come poter ricollocare il tormento del cuore vicino a ciò che diciamo? Come sentire quell’anima mundi senza la quale diventiamo esseri isolati rispetto agli altri mondi: minerale, vegetale, animale? Chi viene in aiuto alla nostra sete di luce? Anima e Amore”. In attesa di una trasformazione simile a quella della cera dei favi delle api in dolcissimo, profumatissimo miele.

Nell’ultima immagine un ritratto di Chiara Guidi.

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