Eugenio Scalfari, il giorno dopo
I quotidiani del 15 luglio 2022 hanno doverosamente pubblicato decine di articoli dedicati a Eugenio Scalfari, scomparso il giorno prima. Ecco un suo possibile ritratto, partendo proprio da quei ricordi, come invito a ulteriori approfondimenti.
Un influencer?
“Solo Eugenio Scalfari poteva scegliere di andarsene alle prime ore del mattino del 14 luglio, la data della Rivoluzione Francese e dei droits de l'homme. (…) A 98 anni ci lascia un grande rivoluzionario, che ha cambiato i giornali e, insieme alla carta stampata, la storia d'Italia.” (Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
“Editore, finanziere, giornalista, imprenditore, politico, scrittore, un elenco in ordine alfabetico, ma non solo. (…) Ha avuto mille volti e quelli che nella sua irrefrenabile vanità ha voluto lasciare in ombra vanno indagati ancor più e meglio degli altri.” (Stefano Cingolani, “Il Foglio”)
“Un ircocervo, un soggetto fantastico, 'una figura dimezzata o trimezzata, nella quale confluiscono i requisiti del giornalista, dell'imprenditore, dell'uomo politico'.” (Marco Damilano, “Domani”)
“Un influencer? A Scalfari sarebbe piaciuto, forse. Di sicuro ne avrebbe riso.” (Federico Geremicca, “La Stampa”)
“Un personaggio rinascimentale, dotato di una cultura specialmente economica ma anche letteraria di primissimo ordine, con un senso settario delle amicizie, un umorismo spiccato e innamoratissimo delle sue due figlie.” (Paolo Guzzanti, “Il Giornale”)
“Mancherà come mancano i beati pochi capaci di imprese che altri, pur dotati di notevolissimi talenti, nemmeno tentano. Mancherà al nostro giornalismo, sempre più povero di maestri, lui che aveva coltivato la maestria, propria e degli altri, con la cura di un giardiniere.” (Carlo Verdelli, “Corriere della Sera”)
L'ultimo dei giganti
“Come dei grandi sacerdoti, anche di lui si può dire che sia stato giornalista in eterno, sino all'ultimo giorno.” (Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera”)
“L'ultimo gigante del giornalismo classico.” (Michele Serra, “la Repubblica”)
“L'ultimo dei giganti. Una generazione di giornalisti, i Montanelli, Pintor, Rossanda, Ottone, poteri regnanti di un'epoca senza social e telefonini. (…) Di tutti loro, una strepitosa generazione che si era formata nel fuoco della guerra e delle divisioni della post-guerra, Eugenio Scalfari è stato il più grande.” (Lucia Annunziata, “La Stampa”)
“La grande e nobile tradizione giornalistica italiana, da Scarfoglio ad Albertini, da Mussolini a Gramsci, è connaturata all'interventismo. Osservare e interpretare, ma soprattutto modificare la realtà. Questo è stato e questo ha fatto, con imprevedibili risonanze, Eugenio Scalfari (…) segnando la trasformazione di un paese contadino e papalino nell'Italia di oggi.” (Filippo Ceccarelli, “la Repubblica”)
“È stato non solo il giornalista più influente della storia italiana, ma anche il 'politico' più decisivo in una trasformazione antropologica destinata a svuotare non solo la Chiesa cattolica, ma le 'due chiese', anche quella del Pci.” (Maurizio Crippa, “Il Foglio”)
“Eugenio Scalfari fu il primo ad attraversare la cortina di ferro che, in quegli anni di guerra fredda, separava non solo gli stati occidentali da quelli orientali, ma anche le loro rispettive società civili. In particolare quella italiana dove negli anni Cinquanta, in particolare dopo il 18 aprile del 1948, non si sviluppò solo un duro scontro politico, ma crebbe una rigida e invalicabile distanza. I comunisti si vedevano fra loro, gli altri restavano chiusi nel mondo ufficiale.” (Luciana Castellina, “il manifesto”)
Un narciso buono
“L''Io' scalfariano era debitore della grande avventura di Ulisse, primo e involontario eroe della modernità.” (Antonio Gnoli, “la Repubblica”)
“Le cime della modernità sono scalate dal nostro autore con straordinaria agilità e incredibile capacità comunicativa, che però non diviene mai volgarizzazione.” (Alberto Asor Rosa, citato da Alessandro Gnocchi, “il Giornale”)
“Un giorno arrivò in redazione e gettò sul tavolo una copia del libro Il cittadino Scalfari di Claudio Mauri, uscito nel 1983. Disse a voce altissima: 'Qui c'è scritto che io sarei stato prima fascista, poi monarchico, quindi liberale, dopo radicale, e poi socialista, quindi comunista e infine democristiano'. Una pausa teatrale: 'Ebbene, è tutto vero'. Cosa puoi dire a un uomo così?” (Paolo Guzzanti, intervistato da Paolo Conti, “Corriere della Sera”)
“Di Eugenio Scalfari mi innamorai a vent'anni, nel 1955. (…) Tutto quello che so come giornalista l'ho imparato da lui.” (Corrado Augias, “la Repubblica”)
“Quando era deputato socialista e senza barba, non suscitava, mi dissero, veri brividi, divenne bellissimo quando si fornì di barba folta e capigliatura grigia e poi bianca, con quella figura grande e belle giacche, e una voce, una voce... E lo sguardo? E il sorriso? E i discorsi? E la cultura? E i segretari di partito in ginocchio? E l'occhiolino delle amanti dei segretari di partito? (…) Quando mi capitava di andare a Roma, davanti alla porta chiusa dell'ufficio di Scalfari, si aggiravano le colleghe ansiose di essere ricevute e tra loro l'aria sospetta di gelosia.” (Natalia Aspesi, “la Repubblica”)
“Era elegante, profumava. Non era mai in disordine. Era un uomo del Sud. Maschilista, quando questa parola non esisteva: non c'era una parola per dirlo. Dispotico, autoritario, eppure democratico.” (Concita De Gregorio, “La Stampa”)
“Mi ha mai voluto bene, il Direttore? Per anni, quando ero giovane, è stato il mio cruccio.” (Lucia Annunziata, “La Stampa”)
“Era un narciso di prima grandezza. Ma non del genere, corrivo e oggi volgarmente diffuso, che umilia o irride l'amor proprio degli altri. Bensì del genere elegante e suadente che carezza, titilla e corteggia il narciso che è in ognuno di noi. Grande seduttore! (…) Se non fosse stato del genere 'narciso-buono', non sarebbe mai riuscito a tenere al tavolo della riunione di redazione del lunedì, a varie riprese e in varie epoche, Enzo Biagi e Alberto Ronchey, Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa, Mario Pirani e Natalia Aspesi, Enzo Golino e Rosellina Balbi, Bernardo Valli e Piero Ottone” (Antonio Polito, “Corriere della Sera”)
Il giornalismo e la sua etica
“La tecnica, raccontava nelle conversazioni private, era sempre le stessa. L'aveva appresa dal suocero Giulio De Benedetti, padre della prima moglie Simonetta, per vent'anni leggendario direttore della 'Stampa': 'Bisogna essere come il domatore del circo; avere sempre un numero pronto, per sostituire un numero che non va più.' L'altro suo punto di riferimento fu Arturo Toscanini: una mattina in cui il giornale non l'aveva soddisfatto, fece ascoltare ai capiservizio la registrazione della sfuriata con cui il grande direttore d'orchestra traumatizzava i suoi musicisti che avevano sbagliato i tempi.” (Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera”)
“Eugenio che è un marchio – uno stile – è l'incommensurabile egolatra cui tutto si concede. Stringe la mano al caporedattore com'è proprio dei direttori d'orchestra con il primo violino quando sale sul podio.” (Pietrangelo Buttafuoco, “Il Foglio”)
“'L'oggettività', spiegava a noi giovani giornalisti, 'è dichiarare subito ai lettori il proprio punto di vista, la particolare angolazione da cui si guardano i fatti'. Fatti che tuttavia vanno capiti fino in fondo prima di essere interpretati.” (Marco Ruffolo, “la Repubblica”)
“Con lui finì la grande ipocrisia dei fatti separati dalle opinioni. E a destra e a sinistra tutti si misero a raccontare l'economia, la famosa scienza triste, come il teatro di Goldoni.” (Francesco Merlo, “la Repubblica”)
“Ha creato un tipo di giornalismo 'da campagna': cioè che agisce soltanto per raggiungere un fine politico, si tratti di attaccare a sangue Bettino Craxi, poi Silvio Berlusconi e poi tutti i nemici di Ciriaco De Mita, incluso Francesco Cossiga il quale per anni andò a pranzo a casa sua ogni venerdì ma poi diventò il matto da cacciare dal Quirinale.” (Paolo Guzzanti, “Il Giornale”)
“Aveva bisogno di grandi nemici per affrontare grandi battaglie e fare un grande giornale.” (Paolo Guzzanti, intervistato da Paolo Conti, “Corriere della Sera”)
“È stato l'interprete forse più efficace di un giornalismo 'interventista', basato sull'idea che i giornali non dovessero essere solo ricostruzione cronachistica dei fatti ma creare opinione. E alcuni tra i suoi più aspri nemici chiamavano 'Repubblica' il 'giornale-partito'.” (Pierluigi Battista, intervistato da Anna Maria Greco, “il Giornale”)
1950: inizia a collaborare a “Il Mondo”
“Comincia l'epopea illuminista del 'Mondo', con le stelle polari di Croce, Luigi Einaudi e Salvemini, tra liberalismo e socialismo democratico.” (Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
“In un carteggio con Leo Valiani, Pannunzio dedicò a Eugenio queste parole: ' È instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami né affinità ideali. Tutto è strumentale, utilitario; tutto deve servire alla sua 'splendida' carriera. Ha fretta, vuole arrivare. Dove? Forse non lo sa nemmeno.” (Alessandro Gnocchi, “il Giornale”)
“L'Europeo” e la nascita del giornalismo economico
“I rudimenti della finanza li aveva appresi a Milano con il suo primo impiego all'ufficio cambi della BNL.” (Marco Ruffolo, “la Repubblica”)
“Sull''Europeo' tiene una rubrica di economia. È lì che inventa il giornalismo economico. (…) Ne avrebbe attribuito il merito ad Arrigo Benedetti: 'Ma come scrivi, non ho capito niente!' Bisognava raccontare l'economia con le sue regole e i suoi personaggi, le forze che muovevano il mercato e gli interessi, senza tecnicismi e ragionamenti oscuri.” (Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
“Proprio una di quelle inchieste – sulle malefatte della politica degli ammassi della Federconsorzi – gli era costata una bella lettera di licenziamento, essendo l'associazione guidata dal potente Bonomi, grande cliente di BNL. (…) Da lì in poi Scalfari avrebbe cercato di mettere in pratica quello che per lui era l'obiettivo centrale del giornalismo indipendente: 'controllare il potere'. Anzi, qualcosa di più: erigersi a 'contropotere'.” (Marco Ruffolo, “la Repubblica”)
22 settembre 1955: con Arrigo Benedetti fonda “l'Espresso”
“Da quella rottura nasce l'idea di portare in edicola 'l'Espresso', il settimanale che avrebbe cambiato la storia del giornalismo italiano. La nuova testata venne finanziata tra gli altri da Adriano Olivetti. Avrebbe dovuto partecipare all'impresa anche Enrico Mattei, allora al vertice di Eni, ma poi non se ne fece nulla.” (Paolo Griseri, “La Stampa”)
“In un'Italia attraversata dagli scontri ideologici, priva della dirittura morale indispensabile alla buona politica, dedita alla dilapidazione delle risorse, soggetta al malaffare e refrattaria ad ogni tentativo riformista, solo un giornale che si fosse posto come alternativo a tutto questo avrebbe avuto la possibilità di rappresentare una voce nuova. Prima 'l'Espresso' e poi 'Repubblica' assolsero a questo compito'.” (Eugenio Scalfari, citato da Paolo Griseri, “La Stampa”)
“Si deve partire dal luglio 1964, quando l'accidentato cammino di quella che veniva allora chiamata l'apertura a sinistra giunge a un passaggio decisivo: l'ingresso a pieno titolo del Partito Socialista di Pietro Nenni nel governo con la Dc. Le trattative procedono con estrema lentezza e fatica fino al giorno in cui il segretario del Psi ritira improvvisamente le sue richieste più osteggiate e accetta un accordo al ribasso. (…) Finalmente a gennaio 1967 'l'Espresso' individua un primo filone d'inchiesta e pubblica un articolo in cui si denuncia che il Sifar (ovvero i servizi segreti militari) guidato da generale De Lorenzo ha realizzato oltre 150mila schedature di italiani ritenuti politicamente 'pericolosi'. Uno di questi dossier è dedicato niente di meno che a Giuseppe Saragat, divenuto nel frattempo presidente della Repubblica. (…) Settimana dopo settimana, 'l'Espresso' arriva a strappare il velo del cosiddetto 'Piano Solo'. Un ben congegnato progetto di occupazione 'manu militari' delle istituzioni.” (Massimo Riva, “la Repubblica”)
“Scalfari era entrato il politica per caso: condannato in primo grado con Lino Jannuzzi per gli articoli pubblicati sull' 'Espresso', in cui si raccontava di un ipotetico golpe ordito dal presidente Segni e dal comandante dei carabinieri (storia che si rivelò poi del tutto falsa), Scalfari chiese aiuto al segretario del Partito Socialista Giacomo Jannuzzi che candidò lui a Milano e Jannuzzi a Sapri. Eletti entrambi, Eugenio si scatenò in una guerriglia contro Bettino Craxi, il quale vinse l'ultimo round facendo pubblicare sul 'Corriere della Sera' la notizia secondo cui Scalfari avrebbe pronunciato le fatidiche parole 'Lei non sa chi sono io' a un vigile urbano milanese.” (Paolo Guzzanti, “il Giornale”)
“Appartengono alla storia del giornalismo le battaglie contro un'imprenditoria intrecciata alla politica corrotta e al malaffare. La storia della battaglia contro Cefis, nome rappresentativo del ceto padronale colluso, è stata anche la sua storia. E il volume scritto nel 1974 con Giuseppe Turani, Razza padrona, il simbolo di quella campagna.” (Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
14 gennaio 1976: nasce “la Repubblica”, il “giornale-partito”
“La maggior startup del giornalismo del Dopoguerra.” (Michele Masneri, “Il Foglio”)
“Questo giornale è un po' diverso dagli altri: è un giornale di informazione il quale anziché ostentare un'illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo. È fatto da uomini che appartengono al vasto arco della sinistra italiana.” (Eugenio Scalfari, citato da Vanessa Riccardi, “Domani”)
“L'avventura giornalistica di Eugenio è la scommessa del cambiamento, anche in questo Paese, nonostante tutto, credendo ostinatamente che sia possibile persino in Italia. Crederlo, e testimoniarlo, appoggiandosi a due culture di minoranza, unite in quello che con disprezzo gli avversari chiamavano azionismo e che noi teniamo a cuore: la pratica politica della sinistra coniugata con il metodo liberale. Una scommessa, certo, anche un azzardo: puntare su un'Italia che non c'è.” (Ezio Mauro, “la Repubblica”)
“La politica dominava dalla prima pagina; la sezione dell'economia apriva addirittura con una sua testata interna; la cultura trovava per la prima volta una collocazione al centro esatto dello sfoglio, così compensando con una pagina doppia (il famoso 'paginone') il formato ridotto rispetto agli altri quotidiani. L'idea di Scalfari era che la terza pagina, nella quale i temi culturali erano stati tradizionalmente racchiusi, andasse abolita per dare a quella sezione un rango reso visibile già dalla sua collocazione.” (Corrado Augias, “la Repubblica”)
“Ricordo quel mercoledì 14 gennaio 1976, perché quando sulle nostre scrivanie trovammo la prima copia di 'Repubblica', noi giovani corrieristi nell'ironizzare sul formato tabloid del nuovo giornale ('troppo piccolo') e sugli articoli impaginati ('troppo brevi'), dall'alto della supremazia di via Solferino sulla stampa italiana sentenziammo: dura poco. Non avevano capito niente.” (Antonio Padellaro, “Il Fatto Quotidiano”)
“Lui entrava fra le 10.30 e le 11 con un Post-it giallo in mano, da una parte un elenco di nomi e dall'altra un 'viva' o un 'abbasso', i buoni articoli e gli articoli mediocri pubblicati sul giornale. In tremante attesa del suo giudizio davanti a quella platea eccellente, trattenevano il fiato.” (Attilio Bolzoni, “Domani”)
“Superando le ottocentomila copie – e in qualche occasione anche il milione – il quotidiano di piazza Indipendenza riuscì nel miracolo di rendere maggioritaria una cultura riformista nata minoritaria.” (Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
L'homo republicanus
“Ci rivolgiamo alla classe dirigente di domani, quella che ha vinto il referendum sul divorzio e le elezioni del 15 giugno [1975]. Una classe dirigente di massa.” (Eugenio Scalfari, citato da Marco Damilano, “Domani”)
“Aveva fatto una scelta, un po' snobistica, di essere interprete di una certa Italia di derivazione azionista, un'Italia minoritaria contro 'l'Italia alle vongole' che avversava.” (Pierluigi Battista, intervistato da Anna Maria Greco, “il Giornale”)
“Un quotidiano-mondo in cui si potesse riconoscere tutto quel ceto medio progressista acculturato, un po' a disagio con i giornali di partito, genericamente di sinistra, ma non necessariamente comunista, desideroso di veder riconosciuto il suo ruolo di borghesia 'illuminata' lì dove era tutto un tripudio di classe operaia, gioventù protestataria e lavoratori della Cgil.” (Stenio Solinas, “il Giornale”)
“Era un'operazione molto più ampia della nascita di un nuovo giornale, era la creazione di un pubblico, di un lettore: l'homo republicanus. (...) Un pezzo di establishment aveva finalmente trovato la sua voce.” (Marco Damilano, “Domani”)
“Finché Scalfari è rimasto alla guida del suo giornale, quel mondo, che era poi anche uno stile di vita e, se si vuole, un modello comportamentale, con i propri tic, i propri tabù, le proprie miserie e le proprie grandezze, gli è rimasto fedele, al punto che si poteva indovinare il lettore di 'Repubblica' per come si presentava vestito all'edicola, il concentrato dello shabby chic...” (Stenio Solinas, “il Giornale”)
Il giornale-partito
“Schierare il giornale per fare politica. Da subito e sempre. Contro la trattativa Stato-Br; contro Andreotti e in sostegno di De Mita; contro Craxi e in aiuto a Berlinguer. E contro Silvio Berlusconi, naturalmente, in una saga infinita che ha mischiato economia e politica, etica e Costituzione: fino a chiamare in causa passioni umanissime, come il risentimento o addirittura il rancore.” (Federico Geremicca, “Il Fatto Quotidiano”)
“Nella crisi del sistema i punti di riferimento di Scalfari sono cambiati: non più i capi dei partiti, ma i vertici istituzionali, i presidenti della Repubblica, Sandro Pertini, amichevole e conflittuale il rapporto con Francesco Cossiga affidato all'amico di sempre Luigi Zanda, e poi Carlo Azeglio Ciampi, e Giorgio Napolitano, infine Sergio Mattarella, con la stagione a Palazzo Chigi, confidente di Scalfari negli anni del Tesoro, Banca d'Italia e Bce, com'erano stati prima di lui Guido Carli, Paolo Baffi e Ciampi.” (Marco Damilano, “Domani”)
“Le battaglie politiche sulle quali Scalfari ha puntato il maggiore impegno non sono state vincenti, ma l'obiettivo non era quello immediato, quanto l'investimento a lunga durata sugli elettori, che erano solo in parte i lettori. Questa influenza stabile sull'elettorato la immaginò quando ancora i giornali contavano, ora non è più così.” (Pierluigi Battista, intervistato da Anna Maria Greco, “il Giornale”)
“Nel 1994 firmò questa profezia: 'Forza Italia è un partito di plastica che si scioglierà nel giro di pochi mesi'. Quella contro Berlusconi fu una lotta affidata soprattutto a colpi bassi. Le idee non venivano proprio prese in considerazione. Fu un esame ai raggi x della vita privata di Berlusconi. Paradosso: non molti anni dopo, Scalfari dirà di fidarsi di Berlusconi più di Matteo Renzi. Altro paradosso: Berlusconi fu accusato di tutto, eppure Scalfari, e un'altra tonnellata di scrittori anti Biscione, hanno pubblicato e pubblicano felicemente per i marchi editoriali del leader di Forza Italia. Ed ecco Scalfari spuntare nel catalogo Einaudi con poesie e saggi, fino all'ingresso trionfale nella collana dei Meridiani Mondadori, di solito riservata ai classici.” (Alessandro Gnocchi, “il Giornale”)
“Sembra un paradosso, ma sarà proprio Andreotti a salvare Scalfari, Caracciolo e De Benedetti mentre Berlusconi dà l'assalto alla Mondadori. Qui troviamo un altro personaggio odoroso di zolfo amico del principe, che da vero aristocratico d'antan gode nel coltivare legami inconsueti. Si tratta di Giuseppe Ciarrapico, uomo d'affari ciociaro, “re delle acque” di Fiuggi, fascista (…) diventato uno dei fedelissimi del clan Andreotti. Si deve al suo intervento se la Mondadori viene spartita: 'la Repubblica' e 'l'Espresso' a Scalfari, la casa editrice con Panorama a Berlusconi'. (Stefano Cingolani, “Il Foglio”)
“Più tardi Scalfari l'avrebbe chiamato 'Belzebù', quando fu accusato di rapporti con la mafia. Ma a quel tempo il felpato leader democristiano fu decisivo per fermare la 'battaglia di Segrate'. Non voleva concedere a Craxi, alleato del Cavaliere, l'enorme potere mediatico che si sarebbe concentrato nelle sue mani, espugnando il giornale nemico e aggiungendolo alla dote delle testate Mondadori.” (Antonio Polito, “Corriere della Sera”)
Viale del tramonto
“Dopo la vendita del pacchetto azionario dell’“Espresso” a Carlo De Benedetti, scrissi una lettera a Scalfari dolendomi del fatto che con quella cessione finiva il sogno di un editore puro (Caracciolo) e di un direttore comproprietario del proprio giornale (Scalfari stesso). (…) Mi arrivò una sua lunga lettera nella quale mi spiegava i motivi di quella scelta: senza quella vendita, 'Repubblica' semplicemente non sarebbe sopravvissuta. Concluse ricordandomi affettuosamente che l'indipendenza di un giornale sta nella tenuta etica e nella capacità professionale dei suoi giornalisti, a cominciare dalla figura del direttore.” (Marco Ruffolo, citato da Maria Novella Oppo, “la Repubblica”)
“Diceva di detestare Berlusconi ma poi si scoprì che andava ad Arcore per suonare assieme al fondatore di Forza Italia e a Fedele Confalonieri al pianoforte la Rapsodia in blu di Gershwin. Quando Carlo De Benedetti, che era diventato il suo editore, lo venne a sapere, decise di farlo fuori e di consegnare l'aulico trono di Eugenio al giovane e più fidato Ezio Mauro. Fu così che Scalfari, che era anche un realista, chiese e ottenne di poter fingere di essere stato lui a scegliere Mauro e di poter vedere il proprio nome sotto la testata con la definizione di Fondatore.” (Paolo Guzzanti, “Il Giornale”)
“Meglio andarsene prima di essere cacciato.” (Eugenio Scalfari, citato da Simonetta Fiori, “la Repubblica”)
“Così scrisse al momento di lasciare la direzione del giornale nel 1996: 'La Repubblica è una e indivisibile'. E in quel momento aveva ragione, Ma infine con lui in destino è stato diverso. Il suo corpo mortale ha avuto una lunghissima esistenza. Il corpo del suo giornalismo e delle testate da lui fondate è finito prima.” (Marco Damilano, “Domani”)
Lo scalfarismo
“Cos'è lo scalfarismo? Sicuramente è la forza dell'impegno e la leggerezza dello stile. Ma è anche il carattere fermo che gli italiani non hanno. E, perché no, è cultura liberale e libertina lontana dai sermoni di sacrestia e delle scuole quadri gramsciane. E non è forse anche il giornalismo come gioco d'azzardo, l'articolo di fondo come serissima gara ad alto rischio?” (Francesco Merlo, “la Repubblica”)
“Nello scalfarismo il desiderio di rivoltare il sistema aveva sempre convissuto con l'ambizione di esserne l'architrave. Ma le due aspirazioni non si potevano più tenere insieme.” (Marco Damilano, “Domani”)
“Scalfari ha 'mimato' la bellezza classica della lingua di Croce; ha interiorizzato quella scintillante e paradossale di Diderot; poi acquisire il gioco aforistico e frantumato della lingua di Nietzsche. Il risultato è chiarezza di pensiero accompagnata dal dubbio e da una certa dose di provocazione intellettuale.” (Antonio Gnoli, “la Repubblica”)
“L''articolo scalfariano' è un mix estremamente sapiente di analisi, informazione, intrattenimento e giudizio politico e civile.” (Alberto Asor Rosa, “Domani”)
Scalfari filosofo
“Non lo prendevano sul serio, perché lui era un giornalista e la filosofia in Italia è gestita da professori universitari. Non che lo disistimassero, ma non lo reputavano un filosofo.” (Umberto Galimberti, intervistato da Simonetta Sciandivasci, “La Stampa”)
“Cartesio, Spinoza, Kant, Freud... sono i filosofi che hanno contribuito a formare Scalfari, che poi li ha per così dire superati.” (Vito Mancuso, citato da Alessandro Gnocchi, “il Giornale”)
“Sono convinto che la filosofia di Scalfari non sia riconducibile a nessuna scuola in particolare. Essa è stata prevalentemente nomade e si è nutrita anche di letteratura: dall'Odissea alla Recherche di Proust fino ai Quaderni di Malte Laurids Brigge. Le sue incursioni nel mondo antico nascevano dal bisogno di comprendere il canone occidentale. Ma fu in Proust e in Rilke che egli ritrovò il senso della propria inquietudine filosofica e letteraria.” (Antonio Gnoli, “la Repubblica”)
“La religione cristiana, soprattutto. Il dialogo con (d)Io. Anche a non voler dar più peso del necessario all'infatuazione-amicizia degli ultimi anni per Francesco. Com'è tipico di moltissimi intellettuali laici, meglio atei, dell'Europa novecentesca – basterebbe Roberto Calasso per tutt'altre vie – il raffronto filosofico con la religione, il sacro, diviene inevitabile. Anche fosse solo per il puntiglio di un enigma da risolvere.” (Maurizio Crippa, “Il Foglio”)
“Penso che la differenza tra Scalfari e Bergoglio sia la nostra differenza, che questi due uomini siano il simbolo della nostra condizione, perché in ogni essere pensante si muovono il tipo Scalfari e il tipo Bergoglio, il credente e il non-credente che si urtano tra loro come Esaù e Giacobbe nel grembo di Rebecca.” (Vito Mancuso, “La Stampa”)
“I nostri colloqui erano piacevoli e intensi. (…) Parlavamo di fede e laicità, di quotidianità e dei grandi orizzonti dell'umanità del presente e dell'avvenire, del buio che può avvolgere l'uomo e della luce divina che può illuminarne il cammino.” (Papa Francesco)
La fine di un'epoca
“Il sovrano, Rep. lo celebrava di continuo, col carattere 'Eugenio', il font introdotto col grande restyling del 2017.” (Michele Masneri, “Il Foglio”)
“La sua scomparsa arriva dopo che il suo mondo e quel giornalismo sono finiti, anche se trova riparo nell'autocitazione e nel conformismo. La morte di Scalfari coincide con la vendita dello storico 'Espresso', la radice da cui partì tutto, una casualità altamente simbolica.” (Marco Damilano, “Domani”)
“Non è la prima volta che vedo un'epoca chiudersi. So bene che non è un'operazione semplice come spegnere la luce, ma non sono sicuro che il futuro che si prepara sia migliore del mio tempo.” (Eugenio Scalfari, citato Francesco Merlo, “la Repubblica”)