Francesco Petrarca / O d' ardente vertute ornata et calda

3 Maggio 2011

Bel paese. La prima occorrenza degna di nota della celebre dittologia coniata da Dante si trova nel Canzoniere petrarchesco. Precisamente in un sonetto che con un certo azzardo potremmo definire geografico, il CXLVI: dopo una sequenza formidabile di metafore in lode dell'amata, il poeta prende atto dell'impossibilità di diffondere i suoi versi – e con essi il nome, pur omesso, di lei – fino ai confini del mondo conosciuto (Tyle è la terra che gli antichi consideravano l'ultima fra tutte; il Battro è un fiume della Scizia: l'attuale Balkh, in Afghanistan; Tana è il Tanai ovvero il Don; Calpe è una delle due colonne d'Ercole, sulla rocca di Gibilterra). E dal momento che per il world wide web ci vorrà ancora qualche secolo, gli basterà sapere che risuonerà per la penisola (dunque, per metonimia, che lo conosceranno gli italiani).

A dar man forte a Petrarca e a suggellare la formula antonomastica ci penserà Madame de Staël, la quale in epigrafe al suo Corinna o l'Italia apporrà gli ultimi versi del sonetto.

 

 

O d' ardente vertute ornata et calda

alma gentil chui tante carte vergo;

o sol già d' onestate intero albergo,

torre in alto valor fondata et salda;

 

o fiamma, o rose sparse in dolce falda

di viva neve, in ch' io mi specchio et tergo;

o piacer onde l' ali al bel viso ergo,

che luce sovra quanti il sol ne scalda:

 

del vostro nome, se mie rime intese

fossin sí lunge, avrei pien Tyle et Battro,

la Tana e 'l Nilo, Athlante, Olimpo et Calpe.

 

Poi che portar nol posso in tutte et quattro

parti del mondo, udrallo il bel paese

ch' Appennin parte, e 'l mar circonda et l' Alpe.

 

 

Edizione di riferimento: Francesco Petrarca, Canzoniere, a c. di D. Ponchiroli, R. Antonelli, Torino,  Einaudi, 1992 .

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