Giulio Bizzarri, il divertimento della pubblicità

1 Febbraio 2024

Sono quasi passati quattro anni dalla morte di Giulio Bizzarri occorsa nel marzo 2020 e Reggio Emilia attraverso i suoi Musei Civici, gli ha reso omaggio con una mostra inaugurata il 29 novembre scorso e che sarà presente sino al 17 marzo del corrente anno a cura di Alessandro Gazzotti ed Ernesto Tuliozi. Titolo: Giulio Bizzarri. Arte Divertissement Pubblicità. La mostra, organizzata quasi per salons, segue nell’esposizione del varissimo materiale, un ordine alfabetico partendo proprio dalla B. del cognome dell’autore, si focalizza poi su quelli che furono i tanti centri del suo interesse come la ricerca artistica, la pubblicità, i progetti grafici e grafico-editoriali e poi procedendo nei più ampi contenitori, ancora il materiale creativo dei grandi eventi di cui diremo e dell’Università del Progetto e quello fotografico che apre al suo luogo di lavoro.

Parallelamente è stato ideato e pubblicato un catalogo (Corraini Edizioni) complementare alla mostra, per la curatela di Marta Sironi ed Alessandro Gazzotti, che fotografa anche qui attraverso un ordine alfabetico, tutte le voci che letteralmente dalla A alla Z hanno mosso e fatto muovere la poliedrica attività di questo grande ideatore artistico. Vi sono anche soprattutto le testimonianze di chi ha condiviso con lui la passione di una vita: fare arte appunto ed attraverso essa “reinventare la vita” come dice Ermanno Cavazzoni, nel suo scritto appassionato sull’amico di sempre. Quasi aprire continuamente l’arte alla vita, che con i suoi tanti ingaggi pensati da Giulio, poteva manifestarsi attraverso i più svariati ed inusitati modi. Sottolineano, Franco Guerzoni, Giulio Santagata da poco scomparso e Cavazzoni stesso, che con Bizzarri, Reggio Emilia entrò in un “nuovo rinascimento culturale”; forse anche perché fu capace di fare entrare l’arte, nei tanti settori della comunicazione, mettendo in ridicolo quasi, col vecchio sberleffo surrealista, i bei caroselli della protostoria televisiva e la tanto martellante ed ingenua, vista da oggi, pubblicità consumistica degli anni ottanta.

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Qualcosa con Bizzarri nella comunicazione tout court, si apprestava a cambiare per sempre. E certo per capire chi davvero fosse, occorre tornare alla sua formazione artistica, che cresce alla fine degli anni sessanta in ambienti reggiani e modenesi, in un periodo in cui la cultura era particolarmente vivace ed anche sensibile alle voci antagoniste. “Giulio quindi sin dalle prime prove” mi fa osservare il fratello, Enrico Bizzarri, “ha sempre rifiutato la parola pittore e difatti non fu artista per i quadri e per il mercato ma qualcosa d’altro” e cioè continua “essere artisti per mio fratello, non voleva dire mostrare perizia nel dipingere quadri che poi andavano appesi alle pareti delle case borghesi ma appunto, mettere in discussione il ruolo tradizionale dell’artista-pittore e provare a fare qualcosa di diverso”. Bizzarri diventa, molto giovane, professionista della comunicazione, già nei primi anni settanta è art director a Modena, per lo Studio Uni. E da autodidatta, dopo il liceo abbandona gli studi ufficiali, fu lettore onnivoro, con gusti selettivi, capace di approfondire i più svariati libri, certo di grafica, design, storia dell’arte ma anche di letteratura colta, poesia, cinema.

La stessa Michelina Borsari, ideatrice del primo grande festival di filosofia in Italia, dice del suo grande amico in una video intervista presente negli spazi della mostra, che “se dovessimo pensare Bizzarri e Ghirri, (ma il discorso vale anche per Guerzoni), non dobbiamo semplicemente immaginarli come dei professionisti dell’occhio e quindi della visione ma bensì come persone che pensavano e creavano un incrocio continuo tra occhio e pensiero”. E ci ricorda ancora Ermanno Cavazzoni che “I suoi prediletti erano Duchamp, i surrealisti, Max Ernst, Dalì, Magritte, Buñuel… Borges della Zoologia fantastica”. Certo Duchamp, padre dell’arte concettuale, influì molto sulla sua formazione e lavoro; e cos’è quasi, se non un ready-made, idea d’arte dislocata, il ricordo di quella bellissima testimonianza, in apertura di catalogo, data da Agnese e Giulia, nipote e figlia, sulla loro fanciullezza al mare con Giulio. Cosa ci si poteva aspettare magari, al mare? I soliti giochi di un padre, di uno zio. Ecco invece la decostruzione fatta da Bizzarri di un paesaggio mentale consueto e la sua ricostruzione nella bellezza di una illuminazione: “Prendevamo con tutti i suoi fratelli, le mogli e i cugini una casa in Toscana… I nostri castelli di sabbia erano particolari: erano castelli fantastici e “bizzarri”… Ci guardava serio e nello stesso tempo ironico e giocoso: “Oggi in spiaggia faremo il corso di dizione, alleniamoci con la Z”.

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Le parole “Zuzzurellone” e “Zucchero” furono ripetute da noi e i cugini … fino allo sfinimento … Avevamo inventato il gioco della pubblicità: tutte insieme noi cugine dovevamo lanciare un sapone liquido in una bacinella piena d’acqua e cantarne a turno il nome. Divertito ci guardava. Era il primo che avrebbe voluto giocare. L’eccezione era la regola che guidava la nostra educazione e i nostri giochi”. E appunto cos’è l’eccezione? se non l’educazione nuova ad uno sguardo altro, che non si posi in maniera conforme sugli oggetti, sulle forme della vita ma appunto le rivolti difformemente; e ci si abitui a pensare in maniera altra anche le relazioni, i rapporti, sempre per Giulio coltivabili in nome di una progressione artistico amicale. Davvero a leggere le voci del catalogo, si rimane stupefatti da questo flusso d’affezione che tocca ed avvolge, nelle forme più varie, tutti gli scritti ma anche ogni ricordo lavorativo che legava gli amici a Giulio e Giulio agli amici. Sì, perché con Bizzarri, il confine tra amicizia e lavoro poggiava su fondamenta invisibili potremmo dire e così facendo l’amicizia si arricchiva d’arte e l’arte di lavoro. Subito mi viene in mente, leggendo tra le altre, le pagine appassionate di Cavazzoni, Borsari, Giordano Gasparini, Gian Franco Gasparini, Guerzoni, Ocule, Bonilauri, Sironi, la grande frase di Michel de Montaigne, sull’amicizia con Etienne de La Boétie: “Se mi chiedete perché l’amavo, sento che non posso esprimermi se non rispondendo: perché lui era lui, perché io ero io”.

Sì, l’amicizia rimaneva tale, tra queste donne e uomini, che segnarono un’epoca di altissima cultura sperimentale e mi viene in mente quella coltivata con Rosanna Chiessi, proprio perché si rispettava fino in fondo l’identità e quindi l’idea dell’altro, che seppur inizialmente avversata, anche rudemente da Giulio, poi così in un attimo veniva con entusiasmo accolta. Bizzarri riuscì a dare al segno della comunicazione commerciale e culturale, come detto, il tocco dell’arte e quindi della meraviglia, sia si trattasse di un lavoro per istituti culturali privati o pubblici e si pensi ai grandi lavori commissionati dai Musei e Teatri di Bologna, così come per quelli di Reggio Emilia, che si trattasse di una commessa nell’industria manifatturiera o automobilistica o di un logo per un editore come quello ideato con Corrado Costa per Pari e Dispari di Rosanna Chiessi; o una collaborazione di copertina, con le riviste più rilevanti di quel tempo come Comix o Gran Bazaar. Il pensare artistico applicato all’oggetto pubblicizzato, in qualche modo ne ribaltava il senso.

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Il valore era dato sempre dall’eleganza del segno e non dal segno urlato; questa era la linea di Giulio, sicuramente anche ereditata dall’amico reggiano della prima ora, artista e grafico della generazione precedente, Nino Squarza a cui si aggiunge sicuramente anche Marco Gerra. E con le tre grandi manifestazioni culturali degli anni ottanta, fu il “precursore di tutti gli eventi-festival che si affacciarono in Italia col nuovo millennio”, come sottolinea anche Ernesto Tuliozi nel suo scritto. Ricordiamo allora, che in I porci comodi ideato a Reggio con la sua curatela e quella del poeta Corrado Costa ed Ivana Rossi, c’è, continua Tuliozi, “l’infinità dei legami possibili, tra nuclei tematici apparentemente estranei… l’investigazione sul cibo, l’omaggio al porco, signore della cuccagna e miraggio della fame, si trasforma in una ricognizione filosofica, religiosa, erotica, filatelica, letteraria”.

Ne scaturì anche una mostra al riguardo, partendo da una prospettiva antropologico-mitologica, che al tempo stesso divenne una fantasmagoria del maiale in tutte le sue declinazioni. E ancora nella manifestazione Fatto a Parma, sottolinea Dario Apollonio in catalogo: “le varie sapienze artigiane venivano trattate e rilette da autori attraverso disegni, manufatti, performance” e in Esplorazioni sulla via Emilia, le tante narrazioni artistiche, si intrecciano e come scrive Paolo Barbaro “si inventò un racconto percettivo a più dimensioni del territorio”. Ecco, la migliore amicizia, stimolata nei progetti, si alzava, assieme alle occasioni della vita, per creare arte. Proprio in Esplorazioni sulla via Emilia, Bizzarri, coinvolse Ghirri suo grande amico, nella curatela del lavoro fotografico e in quello di scrittura ricordiamo tra gli altri, Tabucchi, Celati, Cavazzoni, Faeti, Del Giudice, Niccolai.

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Giulio Bizzarri #B25.1, Esplorazioni della via Emilia, 29x21cm.

Manifestazioni queste che si aprirono letteralmente al popolo; è un po' quell’idea pop, che talvolta riappariva nel pensiero di Bizzarri, ed informava anche i suoi “progetti avvento” come venivano chiamati. Nel 1989 poi ecco prendere forma l’altra grande idea, con l’Università del Progetto, di cui è cofondatore con Gian Franco Gasparini e Paolo Bettini e dove il collage disciplinare s’incontrava in questo “ambiente progettuale” così dice l’opuscolo informativo e dove tantissimi docenti-artisti vi insegnarono e il pensiero creativo, talvolta trovò materializzazione in oggetti particolari ed originalissimi. Scrive Gian Franco Gasparini: “L’avevamo chiamata Università del Progetto perché i vari aspetti di un prodotto, la forma, la comunicazione e la distribuzione, diventassero una visione unica”. E come non ricordare le poesie terapeutiche, pensate dietro la curatela letteraria di Cavazzoni e quella artistica di Bizzarri stesso. Si creò un cortocircuito, tra la scrittura neutra del bugiardino e quella plurisensoriale dei poeti; ogni farmaco, aveva come oggetto di cura il nuovo principio attivo della poesia e allora per l’antidispeptico c’era “S’i’ fossi fuoco, arderei ‘l mondo” per l’analgesico “Veglia” di Ungaretti, per l’ansiolitico e neurolettico “La quiete dopo la tempesta” di Leopardi.

Furono venduti attraverso la catena delle librerie Feltrinelli, più di 200.000 di questi bugiardini; ecco, col metodo Bizzarri dove la poesia poté arrivare. Si affaccia poi, nei primi anni del nuovo millennio, il primo grande progetto: Biennale del Paesaggio, che dal 2006 si susseguì per alcuni anni e che si avvalse di un comitato scientifico illustre; ricordiamo tra gli altri, Marc Augé, Ermanno Olmi. Si avvicendarono nel tempo scrittori, urbanisti, filosofi, architetti, artisti, geografi, “nel consueto impianto transdisciplinare” scrive ancora Tuliozi che “mescolava interventi artistici, spettacoli, approfondimenti scientifici, divagazioni ludiche con elementi di programmazione e progettualità”. Seguì nel 2008, a sua cura e a quella dell’architetto Vitaliano Biondi, Il re balsamico; così recita uno stralcio del testo apparso sugli annunci dell’evento, presente anche negli spazi della mostra: “Nove giornate di degustazione, incontri, letture, spettacoli, viaggi, tra i misteri e le delizie della storia materiale ed immaginaria di Reggio Emilia, dove si incontrano contadini alchimisti, duchi falsari, pittori senza volto, streghe ammutolite … delitti efferati, fantasmi impenitenti”.

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Alla base quindi della sempre nuova creazione bizzarriana, scorre continuamente questa iterazione tra paesaggio, come luogo di stratificazione antropologica e arte, come strumento che cerca di interpretarlo e trasporlo in nuove evidenze, ritrasformarlo. Si viveva in un tempo favorevole e altissimo perché tutto questo potesse avvenire, c’era un senso di libera esplorazione culturale; e Giulio vi trovò l’humus giusto per poter pienamente esprimersi. Ecco in fine gli ultimi lavori commissionatigli dalla famiglia Terrachini: la Storia dell’Hotel Posta per il suo cinquecentenario e quella del Cavazzone, tenuta che si affaccia sulle colline reggiane; 3000 ettari di terra, acquistati inizialmente nel lontano ottocento, dal leggendario Barone Raimondo Franchetti, di origini veneziane. E mi fa notare Enrico Bizzarri, mentre conversiamo amabilmente nel suo studio, che: “con Giulio quasi una stagione se ne andava; egli è appartenuto, prima dell’avvento dell’era digitale, all’ultima generazione che ha lavorato ancora manualmente. Il libro era pensato pagina per pagina, spazio per spazio, nel rapporto tra testi, immagini, didascalie, in maniera artigianale; tutto il progetto grafico-editoriale lo era, anche in questi due ultimi lavori per volume”.

Per Giulio, continua Enrico, “lavorare voleva dire avere un tavolo grande, avere sopra fogli, forbici, colla, scotch. Poi certo affidava ai grafici il lavoro esecutivo ma la creazione era tutta lì. Lavorare per lui al libro sul Cavazzone, era anche un modo per non pensare, negli ultimi tempi, alle grandi afflizioni del suo corpo ed io andavo a trovarlo per aiutarlo, per impaginare magari, a volte gli occhi si posavano assieme sulle bozze”. Ecco cos’è anche l’arte, mi dico, mentre mi alzo e stringo la mano a Enrico fratello di Giulio, forse rivedendo dietro il suo occhio chiarissimo, anche qualcosa di lui. Ecco, l’arte anche nei momenti bui, occulti, chiama a raccolta l’amicizia, perché ha bisogno di essere ancora una volta fatta, evocata sino all’ultimo, talvolta fraternamente. L’arte meravigliava i suoi maestri, affermava Mario Luzi; l’arte che rende degni gli attimi degli uomini, fino in fondo e che fa dire agli astanti, seduti attorno al tavolo di lavoro, l’affezione reciproca, pur non dicendola ma manifestandola appunto con segni sottesi, quei segni tanto cari a Giulio e ai quali dedicò una vita, facendone motivo di lavoro. E mi accorgo di aver adoperato anche io un collage, quello delle tante voci, che mi hanno sostenuto nello scrivere di lui e poi la carta, la penna, lo scotch della passione, le forbici per tagliare il sovrappiù, l’inutile della scrittura; chissà se Biz, chiamato così dagli amici veri, ne sarebbe stato soddisfatto? di queste mie pagine, appassionate certo, per un uomo che fino in fondo dispensò, disseminò, il ben dell’intelletto.

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Giulio Bizzarri. Arte divertissement pubblicità, A cura di Alessandro Gazzotti e Ernesto Tuliozi
Reggio Emilia, Palazzo dei Musei
29 novembre 2023 – 17 marzo 2024

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