I dead media ed il futuro del libro aumentato
Il libro sopravviverà all’e-book? Fra dieci anni dalle case saranno scomparsi i volumi dagli scaffali? Oppure il libro resisterà e si troveranno nuove forme di distribuzione e di consumo in grado di rinnovarlo? Sembra che non ci sia modo di sfuggire al dibattito sulla morte del libro. È un discorso perseguitato dallo spettro dei dead media, i media defunti: quei supporti che sono stati dati per scontati per tempi relativamente lunghi e sono poi scomparsi velocemente, a causa di trasformazioni strutturali nelle sfere tecnologiche ed economiche. Relegati, improvvisamente, al ruolo di mere curiosità o oggetti di culto. È il caso delle musicassette, dei VHS, dei floppy disk e – prossimamente – dei CD, soppiantati da tecnologie di maggiore qualità, più economiche o facilmente distribuibili.
Nell’immaginario dei dead media gioca un ruolo fondamentale la nostalgia. Per la mia generazione, quella dei trentenni, la musicassetta aveva svolto un ruolo centrale non solo nella costruzione della cultura musicale, ma anche e soprattutto nella diffusione di piccole comunità di ascoltatori che copiando i contenuti affermavano la loro identità culturale e mettevano in gioco le loro prime esperienze di taglia-e-incolla creativo, assemblando compilation con una varietà di strategie stilistiche ed espressive.
Un discorso simile vale per i floppy disk: il fatto che ancora all’inizio dei 2000 si portava la tesi di laurea in copisteria su dischetti da 1.44 Mb è un tema che ricorre infinitamente nelle cene tra coetanei.
Pensare ai supporti che si sono estinti dà il senso del tempo che passa, offrendo un posizionamento cronologico preciso in anni convulsi. Le cassette Mini-DV o gli Zip drive sono scomparsi – o stanno scomparendo – dall’uso quotidiano. Eppure rimangono vivi nei ricordi, insegnandoci la nostalgia per le tecnologie defunte. Si tratta di un sentimento nuovo, al quale non siamo culturalmente preparati e che mina la lucidità con la quale si cercano di leggere gli scenari per il futuro. Il caso del dibattito sulla morte del libro ne è l’esempio migliore.
Quello che si tende a dimenticare è come il libro sia un dispositivo tecnologico profondamente diverso da quelli che sono divenuti dead media. Per essere fruiti, floppy disk e musicassette avevano bisogno di una strumentazione complessa - lettori per computer e mangia-cassette - la cui nascita, vita e morte erano connesse a sistemi tecnologico-industriali estremamente articolati. Il libro è un supporto che per essere letto non ha bisogno di altro che di un lettore, come ricorda il video parodistico “Book”, divenuto ormai un piccolo classico online.
Questo non vuol dire che la forma del libro non cambierà; è un fenomeno che sta già avvenendo, ed è sotto gli occhi di tutti. Per capirne la natura, l’ambito dei saggi e della letteratura accademica è forse quello più interessante sul quale riflettere. In questo caso ha senso fare un piccolo excursus biografico. Nel 2003, per la mia tesi di laurea in sociologia avevo utilizzato quasi esclusivamente libri e riviste scientifiche cartacee, con l’eccezione di alcuni articoli provenienti da blog e riviste on-line. Durante il mio dottorato di ricerca, tra il 2005 e il 2009, come ogni dottorando ho letto una mole enorme di saggi ed articoli su riviste scientifiche. Di questi, quelli in formato cartaceo riempivano a malapena due scaffali della libreria: la maggior parte erano file .pdf, scaricati da editori online specializzati come Blackwell’s o Sage. Per il post-doc, nel 2010, ho utilizzato praticamente solo testi digitali. Il tutto leggendo direttamente dal computer, senza avere a disposizione e-reader di sorta.
Cosa è cambiato in questi anni? Da un lato i testi digitali sono divenuti più diffusi e più accessibili - almeno per chi lavora nelle università, che stipulano annualmente contratti con gli editori online per fornire ai ricercatori le risorse di cui hanno bisogno. Ma quello che ha trasformato radicalmente il mio modo di fare ricerca è stata la proliferazione di piattaforme e servizi online che permettono di vivere la lettura come un’esperienza culturale aumentata, non più confinata alle pagine che si hanno sotto gli occhi in quel momento. Software nati per facilitare l’organizzazione e la redazione di bibliografie come Mendeley e Zotero, ad esempio, sono divenuti nel tempo dei veri e propri social network dedicati alla ricerca. È con risultati simili che si è sviluppata CiteULike, una piattaforma per lo scambio ed il commento di bibliografie specializzate.
Ad un livello più semplice, è divenuta una prassi comune tra ricercatori e lettori scambiarsi note, suggerimenti, recensioni, bibliografie, dati e report attraverso i blog ed i social network, cambiando il modo di concepire e realizzare il lavoro intellettuale: il testo non è più chiuso in sé stesso, ma è interconnesso, arricchito, espanso, documentato tramite piattaforme diverse. La ricerca, le discussioni, la scrittura di note e appunti sono sempre più esperienze di condivisione tramite le nuove tecnologie. Ed è sempre più probabile che un autore abbia dei profili sui social network, dei blog o dei siti: se ci interessa il suo lavoro, possiamo seguirlo in tempo reale ed interagire con lui.
In gennaio Apple ha lanciato la propria collana di libri di testo “aumentati” per iPad, con i quali è possibile navigare interattivamente i contenuti, visualizzare immagini e grafici tridimensionali, annotare il testo. Certo, realizzare libri aumentati implica conoscenze che vanno ben oltre quelle tradizionalmente necessarie per la scrittura di un saggio; ma le competenze di produzione multimediale sono sempre più diffuse, così come il lavoro in gruppi interdisciplinari e le piattaforme che rendono possibile assemblare applicazioni anche per chi non ha conoscenze informatiche. Con ogni probabilità, è su prodotti di questo tipo che si formeranno le nuove generazioni di lettori. Ed è con questi strumenti che deve iniziare a confrontarsi chi i saggi li scrive.
Non importa veramente se le nostre esperienze di lettura e scrittura del futuro saranno solo in e-book o se riguarderanno ibridi cartaceo/digitali. Quello che conta è come gli autori e gli editori saranno in grado di pensare a testi che superino i confini delle pagine, trovando il loro posto in ecosistemi culturali più ampi, più complessi e più vivi.
Bertram Niessen
http://b3rtramni3ss3n.wordpress.com/
doppiozero sarà al Salone del Libro di Torino con un dibattito sull’editoria e la gratuità dei libri, giovedi 10 maggio alle 18.00.
Con questo articolo di Bertram Niessen, continua il nostro speciale dedicato al futuro del libro, inaugurato nei giorni scorsi da Roberto Casati.