Speciale
I Neri
Quello che è successo a Roma sabato ha sorpreso molti, non solo gli ottimisti. Conosco alcuni organizzatori che si sono spesi per mesi in vista di quello che pensavano sarebbe stato un pacifico riproporsi delle manifestazioni spagnole e statunitensi. E non sono certo degli ingenui. Per capire davvero cosa è accaduto ci vorrà del tempo.
Per il momento ci sono le analisi a caldo dai social network e dei media.
Mi sono preparato alla manifestazione seguendo, tra le altre, la lista creata da Wu Ming con 35 giornalisti e mediattivisti affidabili, che vale ancora la pena di consultare per le analisi su ciò che è accaduto. E di tweet a Roma in quelle ore ce ne sono stati tantissimi, come dimostra l'analisi di 20000 messaggi fatta dal collettivo Art Is Open Source.
Quando la manifestazione è partita ho ricevuto più o meno in simultanea due post. Il primo era un solare “Revolution will be twitterized. Inizia il corteo. Buon #15ott a tutti”. Il secondo, dalla testa del corteo, recitava “Abbasso il testosterone”. Questa dicotomia di percezioni si è amplificata per le ore successive, fino ad uno strappo vissuto da centinaia di migliaia di persone.
Le posizioni espresse sui media tradizionali sono semplici: i manifestanti buoni sono stati presi prigionieri dai manifestanti cattivi, i neri. E' successo? Si, è successo anche questo. Un'amica mi scrive “sono stata in balia di gruppi di adolescenti. E' stato OSCENO”. E' lo stesso quadro che viene fuori da questo racconto su I Segreti della Casta: "E mi dissocio, mi dissocio da tutto quello che ho visto, quella gente, quella gente non eravamo NOI”. E pure la Repubblica tira fuori una bella intervista a un black block, che spiega la preparazione militare degli scontri. Altrettanto semplice la lettura di una parte radicale dei movimenti, che argomenta, esattamente come a Genova, che la vera violenza è quella perpetrata quotidianamente dal capitale con le morti sul lavoro, il precariato, la demolizione del welfare. E quindi la violenza di piazza è legittima, ed è solo una piccola restituzione.
In questo modo i bianchi/buoni e i neri/cattivi sono noti a tutti, e i social network pullulano di appelli alla delazione degli incappucciati via foto e video.
Semplicissimo, no? Forse. O forse ci sono letture più articolate, e più difficili.
Alcuni osservatori, come Milano X, cercano di stabilire una distanza tra quello che è successo in Via Labicana e quello che è accaduto in piazza San Giovanni. Sfogo adolescenziale il primo, represso dalla maggior parte degli stessi manifestanti, genuina rabbia della piazza la seconda. E qui le cose iniziano a farsi più difficili. Perché si parla di parti del Black Block che se la prendono con i ragazzini con la smania da protagonismo e che si dissociano dall'incendio di “macchine di precari”, come nella lettera anonima riportata da LetteraViola.
Ed arrivano le letture più complesse, che chiedono un ripensamento dell'uso della violenza nei processi di trasformazione politica e sociale come nell'articolo di Marco Mancuso, e la fine del Grande Rituale Nazionale per tornare alle manifestazioni sui territori, come Wu Ming 1.
Forse l'analisi più lucida è quella di Aldo Giannulli, che in un lungo articolo si chiede quale forma di legalità si possa pretendere in un paese nel quale il Presidente del Consiglio utilizza esplicitamente il parlamento come uno strumento per evitare i propri guai giudiziari.
A parte questi pochi casi, quello che sorprende è la povertà di elaborazione di molte posizioni. Come se dieci anni fa non ci fosse stata Genova. Come se questi anni non fossero segnati da una sostanziale corrosione delle fondamenta democratiche della vita del paese. Come se non ci fossero stati anni di conflitti ancora più radicali in Grecia. Come se chi ha venti, trent'anni in Italia oggi non contempli il futuro come un baratro, il nulla che avanza.
Questo 15 Ottobre ci lascia con un'eredità pesante. Maroni, e con lui Di Pietro, chiedono il ripristino delle leggi speciali. Alemanno vieta le prossime manifestazioni a Roma. L'unica cosa chiara è che c'è bisogno di nuove forme di partecipazione democratica. Che tutto quello che è successo, è che probabilmente succederà ancora, è il risultato di un'anomia strutturale che affligge il paese da decenni. E che le risposte vanno trovate in nuovi strumenti agili e veloci di civismo. In visioni che mettano l'innovazione sociale al centro della discussione e delle azioni. In una trasparenza dell'informazione e della cultura praticata quotidianamente e consapevolmente da tutti.
Mala tempora currunt. Ed è il momento di usare l'intelligenza.