Speciale
Il fallimento della curiosità
È proprio della curiosità essere destinata al fallimento. Lo aveva compreso come pochi altri Georges Perec, coinvolto da tutto ciò che è sotto gli occhi, così ovvio che non lo si nota, ma esiste per un attimo e poi sarà perduto per sempre. In che modo descrivere quel che accade ogni giorno è la sua domanda a cui cerca di rispondere, tra l’altro, in L’infra-ordinario [Quodlibet, Macerata 2023]. Ci vuole orecchio, avrebbe cantato Enzo Jannacci, bisogna averlo tutto, anzi parecchio. Per i più curiosi è bene chiarire subito di quale fallimento si tratta qui.
La curiosità muove verso la rivelazione; la spinta che la distingue è a rivelare. Gesto quanto mai impegnativo e intrigante quello di levare il velo, scostare una tenda, scrutare attraverso. Gesto oltremodo pericoloso, inaudito, carico di rischi. Gesto tuttavia caratterizzato da una fenomenologia impossibile. Persino frustrante. Talmente ambiguo che nella lingua italiana è detto dallo stesso verbo: rivelare è allo stesso tempo togliere e mettere di nuovo un velo. Non per questo la curiosità smetterà di spingere e di indurre a cercare di rivelare quello che ineluttabilmente attrae. Associata al sistema emozionale di base della ricerca, la curiosità è un processo pre-intenzionale e pre-volontario. Per esseri in grado di seguire fino al travolgimento l’attrazione di un odore, come accade con il tartufo per il cane, o per l’accanimento degli umani che compulsano un gratta e vinci o una slot machine alla ricerca ossessiva dell’esito della prossima mossa, la curiosità muove il mondo. Se poi a quell’essere l’evoluzione ha fornito il comportamento simbolico, il fatto stesso di saper concepire quello che ancora non c’è o che non ci sarà mai se non nell’immaginazione spinge oltre l’esistente nel regno formidabile della finzione. Non intesa come inganno, ma come disposizione a fare “come se”, nella finzione la curiosità incontra uno dei tratti distintivi dell’umano.
Ne nascono mondi emergenti che non solo violano la separazione tra vero e immaginario, ma popolano l’esperienza, la informano di sé e la arricchiscono di incanto e meraviglia, da Biancaneve a Caravaggio, da Snoopy a Bill Viola, da Sherlock Holmes a Don Chisciotte della Mancia. La curiosità crea mondi e lo fa rivelando e ri-velando. Per ogni cosa che evidenzia cela tutte le altre fino a creare un ostacolo epistemologico a guardare il mondo in un altro modo. Quando, nel sesto capitolo della prima parte, il prete e il barbiere ripuliscono la biblioteca di Don Chisciotte, e trovano accanto al Cancionero di Lopez Maldonado, l’incompiuta Galatea di Miguel de Cervantes, abbiamo un primo esempio di questo gioco vertiginoso. Cervantes esiste perché don Chisciotte lo ha letto e la Galatea si salva dalle fiamme perché il prete dice di essere grande amico dell’autore da molti anni.
Qui il lettore si trova di fronte al primo esempio di questo gioco vertiginoso: se le pagine che sta leggendo sono finzione, allora anche l’autore di quelle pagine appartiene all’universo della finzione e chi le sta leggendo – il lettore che prende parte alla storia – non si colloca più nel tempo convenzionale ma in un tempo di esistenze immaginarie, il cui corso dipende unicamente dalla finzione e da un atto di fede nella realtà di quella narrazione. Le avventure della curiosità e delle sue invenzioni che rivelano e velano di nuovo sono appena cominciate. La finzione di Cervantes assorbe a tal punto la realtà allo scopo di apparire “più vera” che finisce per cannibalizzare sé stessa, come opportunamente segnala Alberto Manguel in Don Chisciotte e i suoi fantasmi [Sellerio, Palermo 2023].
Nel secondo capitolo della seconda parte, Sansone Carrasco fa sapere a Sancio che le sue avventure sono narrate in un libro – Carrasco lo ha letto a Salamanca, il luogo è garanzia di serietà – “Intitolato L'ingegnoso gentiluomo Don Chisciotte della Mancia”. A questa notizia, Sancio si fa il segno della croce per lo spavento, come dovrebbe fare anche il lettore, perché se la prima parte del libro che ha tra le mani è stata letta da un personaggio della parte che sta leggendo ora, vuol dire che anche lui, lettore in carne e ossa, fa parte di quella finzione, di quel mondo immaginario, e anche lui, fantasma tra i fantasmi, non è padrone delle proprie azioni, ma dipende dai sogni di un altro che oggi è polvere e cenere e un tempo si chiamò Miguel de Cervantes Saavedra. Questo meccanismo che emerge al punto di incontro tra curiosità e finzione è un processo di autoreferenzialità o di gioco di specchi – che Gide, ispirandosi a un termine dell'araldica, chiamò mise en abyme – e che si ripresenta più volte nel corso del romanzo.
Sono anni, quelli della pubblicazione del Don Chisciotte (1605, 1615), in cui Diego Velasquez dipinge Las Meninas (1656). Il lettore e l’osservatore sono stati assorbiti del tutto nel sistema letto o osservato e non ne usciranno mai più. Nonostante i tentativi di guardare il mondo da fuori, quella posizione sarà per sempre una pretesa, un “as if”, sfidante come nella costruzione della scienza classica – che in quegli stessi anni consolida i propri apparati – e della sua ricerca dello sguardo oggettivo, per finire col pretendere di guardare il mondo senza occhi. O come sosterrà Ludwig Wittgenstein, per raschiare il fondo del secchio fino a sfondarlo a furia di cercare il fondamento primo e la verità. Sono persino crudeli gli scherzi della curiosità che ci induce a ritenere fallacemente di poter rivelare senza ri-velare, perdendo nel frattempo la parte migliore del gioco del conoscere e dell’esistere, quel senso della verità che così acutamente ci ha indicato Aldo Giorgio Gargani.
Laddove, infatti, la curiosità raggiunge il suo acme e allo stesso tempo il suo canto del cigno, è probabilmente nel campo della ricerca scientifica. Il sistema emozionale della ricerca, sistematizzato e canalizzato in comunità ricomprese in un’impresa dimostrativa di spiegazione del mondo, coinvolge novelli Faust fino all’ossessione rivelatrice. Mossi da un’ipotesi, da una relazione supposta vera tra due o più fenomeni, essi sono ipervedenti e accecati allo stesso tempo. Vedono fino alla vertigine, ma non vedono che quello che credono. Prova ne sia la provvisorietà di quello che stanno vedendo, fosse anche la teoria della relatività generale.
Il destino di ciò che rilevano è di finire per popolare la lunga catena di funerali che è la storia dell’impresa scientifica, dove i killer sono gli stessi scienziati, impegnati a mandare al cimitero le teorie precedenti, mentre travolti dalla curiosità e rivelando quello che ritengono definitivo, spesso non si accorgono che stanno solo velando di nuovo qualcosa che sfugge tuttavia, soprattutto perché essi stessi sono parte del sistema che cercano di conoscere. Vedono, ma allo stesso tempo quello che vedono ri-vela quel che vedono e cela quello che non vedono e che non vedono di non vedere. La curiosità ancora una volta ha usato per il proprio divertimento coloro che credono di usarla.