Il partito della terza Fiamma

25 Aprile 2023

Chiedersi che cosa sia Fratelli d’Italia, che fisionomia abbia, che tratti distinguano questa formazione politica rispetto alle realtà di estrema destra tra XX e XXI secolo è un tema su cui la ricerca di scienza politica è tornata periodicamente a riflettere e a scavare negli ultimi quarant’anni.

Piero Ignazi, a metà anni ’90 con il suo  L'estrema destra in Europa (il Mulino) distingueva tra l’estrema destra tradizionale, di quei partiti che soddisfano un criterio di appartenenza storico-ideologico (essenzialmente un legame con l’esperienza fascista) e l’estrema destra post-industriale che evidenzia certi caratteri di opposizione anti-sistema. Realtà politiche che, a partire dagli anni’90, accolgono la protesta presente in vari gruppi sociali che non si sentono più tutelati dal campo politico, culturale, programmatico delle sinistre, estreme, radicali e riformiste. Ovvero, raccolgono consensi trasversali, esercitando una forte attrazione fra i ceti popolari, perché danno risposte in termini di valori e di identità più che di interessi.

Il saggio di Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati Fratelli di Giorgia (il Mulino),  in un qualche modo riprende le fila di questo laboratorio.

«La nostra tesi – scrivono gli autori nella premessa al libro – è che quello costruito dalla cosiddetta generazione Atreju sia a tutti gli effetti, non solo nel simbolo, e in palese contrasto con le enunciazioni della fase fondativa, il terzo partito della Fiamma. E che esso rappresenti, al tempo stesso, la prima compiuta realizzazione, dentro la dinamica bipolare del progetto tentato più volte senza successo nella storia precedente della destra italiana, di dare vita a un partito nazional-conservatore, inserito a pieno titolo nel sistema democratico, capace di rappresentare un elettorato molto più ampio rispetto alla comunità degli sconfitti e ai custodi della nostalgia che avevano fondato il Msi».

E poi proseguono:

«Questi due tratti per un verso giustificano gli interrogativi presenti nel dibattito pubblico riguardo agli elementi di continuità con il passato, per un altro rendono l’evocazione polemica di legami con il fascismo inconsistente, tanto più se la si volesse prendere sul serio come l’allerta di un pericolo per la stabilità delle istituzioni democratiche o per la tenuta dello stato di diritto.

La nostra analisi ci induce semmai, da questo punto di vista, a considerare possibile un effetto opposto e, comunque, a escludere/sconsigliare con riguardo a Fratelli d’Italia, l’uso dei termini come neofascista, postfascista e derivati che dovrebbero essere maneggiati con particolare cautela da parte di chi ha a cuore i principi, le forme e le regole della democrazia liberale.

Questo non preclude, anzi rende più corretto e credibile, l’esercizio critico che abbiamo svolto secondo canoni condivisi della letteratura scientifica. Abbiamo piuttosto cercato di identificare e circoscrivere in maniera analitica, come si potrebbe fare per qualsiasi partito, specifici elementi della comunicazione, della cultura e delle proposte di politica pubblica di Fratelli d’Italia che includono potenziali deviazioni da principi, forme e regole della democrazia liberale: elementi che una parte della letteratura categorizza come populisti e nativisti». [pp.9-10].

A partire da questa premessa il libro di Vassallo e Vignati lavora essenzialmente su tre chiavi di lettura.

La prima chiave insiste sul tema della formazione culturale di una generazione politica (quella che i due autori indicano come «generazione Atreju»). In questo senso è importante l’insistenza sul «partito della terza fiamma» (Fratelli d’Italia), distinto tanto dal «partito della prima fiamma» (Movimento sociale italiano) dalla fondazione (1945 ai primi anni ’80, ovvero il partito di Arturo Michelini e poi di Giorgio Almirante) quanto dal «partito della seconda fiamma» (Alleanza nazionale, ovvero l’esperimento di modernizzazione nel periodo della segreteria e poi presidenza di Gianfranco Fini).

Dunque il primo tema riguarda più che una storia del singolo leader, la dimensione della storia culturale e del processo di formazione del gruppo dirigente. In questo caso, e questo è un tratto molto importante, la definizione dei contorni (per classe di età, esperienze di socializzazione politica, letture di identificazione, luoghi di formazione) di una generazione politica la cui data di nascita si colloca lungo gli anni ’70. Una generazione che, allo stesso tempo avverte il fascino di alcune letture di formazione degli intellettuali della destra radicale che si formano nella seconda metà degli anni ’70 sulle pagine di «Diorama Letterario» di Marco Tarchi, «Elementi» di Tarchi Solinas, Visani, “L’uomo Libero” di Marco Consoli, che in parte risentono ancora del fascino di Tolkien, ma che si propone come senza una filiazione diretta. E del resto l’indicazione «Atreju», ispirandosi al profilo alla storia del protagonista di La storia infinita di Michael Ende esattamente a questa condizione si riferisce. 

La seconda chiave riguarda l’obiettivo di Fratelli d’Italia: costruire un’identità nazional-conservatrice.

Progetto che differenzia Fdi sia dal Msi sia da An. Nel partito di Almirante infatti il termine “conservatore” non era ben visto e non compare nelle Tesi di Fiuggi del 1995. Ha più legami con la storia della destra invece il termine nazione che il partito di Meloni privilegia al posto del termine “Paese” e del termine “Stato”. Su questo un profilo di riflessione a cui è probabile che Fratelli d’Italia guardi se non con simpatia certo con attenzione è il laboratorio avviato da Alessandro Campi, sia con il suo Il fantasma della nazione, saggio sulla debolezza dell’idea di nazione nella coscienza pubblica italiana uscito alcune settimane per Marsilio, sia con la giornata Pensare l’immaginario italiano, lo scorso 6 aprile 2023, che molti hanno visto come l’avvio del cantiere pubblico per affermare l’egemonia culturale della destra in Italia.

In quel tratto ciò che è interessante è l’elemento del conservatorismo radicalizzato, come ha indicato recentemente Natasha Strobl nel suo Le nuove destre

Che cosa lo distingue dal conservatorismo tradizionale? Il proposito di voler superare l’ordine politico esistente.

b

A questa prima caratteristica Strobl ne accompagna una seconda, ovvero che il fenomeno che stiamo analizzando ha luoghi di formazione culturale e coesiste con la parallela crisi del conservatorismo tradizionale, come ha richiamato di recente, per esempio, Steven Forti nel suo Extrema derecha 2.0 – Qué es y cómo combatirla, Siglo XXI, 2021.

Un aspetto che certamente raduna famiglie politiche di vario genere, che attraversano realtà politiche le più diverse, dalla Francia, al Regno Unito di Boris Johnson, agli Stati Uniti di Donald Trump soprattutto, di ciò che resta nel profondo culturale, ma anche nel lungo periodo delle istituzioni USA (una fra tutte la composizione della Corte suprema), ma anche in un contesto centro-europeo che non vuol dire solo Slovacchia, Ungheria, Polonia, ma anche l’Austria di Sebastian Kurz.

Ma soprattutto un tratto come ha indicato politologo olandese Cas Mudde riflettendo sul populismo come un’ideologia «sottile» che considera la società divisa in due gruppi omogenei e antagonisti, ossia le «élite corrotte» e il «popolo puro», che in Italia è particolarmente evidente nelle retoriche che connotano il linguaggio e il lessico di Fratelli d’Italia, come ha richiamato la politologa Sofia Ventura [nel suo Conservatori cercansi, leggibile qui].

La terza chiave riguarda ciò che Vassallo e Vignati indicano come le sfide aperte dall’ascesa e dal successo elettorale di Fratelli d’Italia non solo come progetto di futuro, ma anche in relazione alla cultura politica di partenza di destra estrema o alla sua metamorfosi.

I temi sono tutti dirimenti non solo in relazione all’idea di società che Fratelli d’Italia persegue, ma anche alla tradizione culturale e politica della destra novecentesca, al netto delle rotture o forse più correttamente delle discontinuità che marcano il suo profilo identitario attuale.

Vassallo e Vignati ne elencano cinque diverse.

La prima questione riguarda dove e con quale profilo e con quale cultura si delinea, si mantiene o viceversa sarà abbandonato l’intervento dello Stato in economia.

La seconda questione riguarda il tema della democrazia politica all’interno del partito. Non riguarda tanto se e in che forma siano ammesse dissidenze interne, quanto se si danno spazi veri e non formali per individuare pratiche di discussione, e di confronto interno al di là della dimensione di leadership esercitata da Giorgia Meloni.

Tema che apre a una terza questione: quali i tempi, le modalità, i percorsi attraverso cui definire e rendere vedibile l’allargamento, la formazione di una nuova classe politica? Al netto della durata e del successo della generazione Atreju, la questione è: in che forme, attraverso quali strutture, con quali percorsi culturali, concettuali, lessicali, in breve con quali altre fonti è definibile la costruzione di una nuova classe dirigente?

Aspetto tutt’altro che formale. Riguarda come si è formato un gruppo dirigente, ma anche il profilo non solo dei percorsi, ma anche delle simpatie, delle «nostalgie», delle sensibilità presenti e radicate dentro Fratelli d’Italia. Su questo aspetto, per esempio, insiste Andrea Palladino nel suo Meloni segreta (Ponte alle Grazie), saggio uscito in questi giorni in libreria.

Sono domande che aprono a una quarta questione. Vassallo e Vignat si chiedono infatti quali siano – e se ci siano – percorsi culturali e politici che rendano concreta la fuoriuscita dalle ipotesi cospirazioniste, o comunque che segnino l’abbandono del codice complottista. Codice e fascino diffusi, né marginali, né residuali dentro Fratelli d’Italia.

Si tratta di un tema di grande rilievo e che ha aspetto di lunga durata, in particolare nell’area della destra italiana. Per esempio questo è ciò che emerge da una ricerca che Sebastiano Vassallo ha realizzato nel 2016, laddove il dato di identificazione con spiegazioni complottiste era maggiore fra le persone meno istruite, più religiose, più politicamente orientate a destra, soprattutto verso le estreme. Lo stesso dato si accentua in una successiva ricerca che ripete quel percorso quattro anni dopo, nel 2020.

Il dato è confermato dal 55 Rapporto Censis 2021, per il quale, come si legge nel capitolo La società irrazionale, «La variante cospirazionistica, tendente alla paranoia, ispirata alla teoria del “gran rimpiazzamento” ha contagiato il 39,9% degli italiani convinti del pericolo reale della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste».

Un tema che adombra o che comunque allude a una politicizzazione della demografia che nella storia culturale italiana ha connessione con visioni politiche, parole, mentalità mai del tutto superate e che costituiscono un tratto rilevante e specifico del codice culturale fascista.

Infine, c’è la questione della piattaforma delle riforme proposte.

Una delle riforme auspicate è l’adozione di una riforma di tipo presidenzialista dell’ordinamento politico. Ma sottolineano Vassallo e Vignati, affrontata con una mentalità che ha più il carattere del voler piegare le istituzioni al proprio profilo che non pensare con un reale spirito costituente, il che significa dismettendo una pratica politica «pigliatutto».

Uno schema, sottolineano Vassallo e Vignati, che dimostra di non aver compreso la lezione del referendum del dicembre 2016, quando Matteo Renzi, convinto di andare a «imporre il suo gioco», si ritrovò «all’angolo».

Il testo di Vassallo e Vignati si arresta qui.

È facile prevedere che a breve, magari dopo le prossime europee, si imporrà un novo momento di bilancio e di verifica.

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