Speciale

Sciascia Trenta / La nuova casa della Nuci

8 Aprile 2019

Sono trascorsi 30 anni da quel giorno di novembre in cui Leonardo Sciascia ci ha lasciati, trent'anni in cui il paese, che lui ha così bene descritto, è profondamente cambiato, eppure nel profondo è sempre lo stesso: conformismo, mafie, divisione tra Nord e Sud, arroganza del potere, l'eterno fascismo italiano. Possibile? Per ricordare Sciascia abbiamo pensato di farlo raccontare da uno dei suoi amici, il fotografo Ferdinando Scianna, con le sue immagini e le sue parole, e di rivisitare i suoi libri con l'aiuto dei collaboratori di doppiozero, libri che continuano a essere letti, che tuttavia ancora molti non conoscono, libri che raccontano il nostro paese e la sua storia. Una scoperta per chi non li ha ancora letti e una riscoperta e un suggerimento a rileggerli per chi lo ha già fatto. La letteratura come fonte di conoscenza del mondo intorno a noi e di noi stessi. De te fabula narratur.

 

A un certo punto la vecchia mitica casa della Nuci cominciò a cadere a pezzi, non fu più possibile passarci le estati.  Solo dopo alcuni anni, anche a causa della insistenza nostalgica delle figlie per le vacanze alla Nuci, decise di fare costruire una casa nuova a pochi metri dalla vecchia.

Il modo in cui lo fece fu davvero singolare. Il genero del suo vicino e amico Carmelino Rizzo era ingegnere. Gli commissionò la casa.

 

A Racalmuto con il suo vicino e amico Carmelino Rizzo.

 

Come sarà questa casa? Gli chiedevamo. Non lo so, rispondeva: una casa.

Credo che di fatto non se ne sia mai occupato, e nemmeno Maria, fino a quando, nel 1973, non fu finita. 

Una volta mi aveva raccontato con divertimento che Pirandello, dovendo metter su casa a Roma, aveva telefonato a un negozio di mobili e aveva ordinato un letto, un tavolo, delle sedie, un armadio. Il negoziante gli chiese se non li voleva prima vedere. Pare che Pirandello abbia risposto: le sedie sono sedie, un tavolo è un tavolo, un letto un letto, un armadio un armadio.

 

Sciascia con Rizzo.


Il tramonto sulla campagna dalla terrazza della casa nuova alla Nuci.

 

In  Il volto sulla maschera, a descrivere il senso dei quarantacinque anni intercorsi tra la prima visione del film di Le Herbier Mattia Pascal e la seconda Leonardo scrive: “È passata quasi una vita: un orizzonte di libri letti, di cose viste, di fatti vissuti, di amore, di dolore, si apre intorno a me sempre più vasto ma ormai in quella luce,  perfetta nella sua sospensione e precarietà, che la campagna assume nei tramonti dell’estate: quando per un momento, quasi che l’incombere della notte desse al giorno un estremo vigore e splendore, tutto appare come dentro una propria sorgente di luce, come in se stesso specchiato; e struggentemente”.

Non è possibile, per chi insieme a lui ne ha vissuti, non riconoscere – e struggentemente – certi tramonti della Noce. Entelechia di paesaggio. Autoritratto di scrittore in forma di paesaggio. 

 

Una sera, mi apprestavo a partire, dovevo prendere a Palermo un aereo per rientrare a Milano.

Leonardo andò al grande gelsomino e raccolse un bel pugno di fiori, poi li avvolse delicatamente in un paio di fazzoletti di carta e me li diede.

Portali a Paola, con l’aereo faranno a tempo a fargliene godere il profumo.

Mia moglie non ha mai dimenticato il profumo di quei gelsomini.

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