La quinta volta
Salimmo in treno a Yekaterinburg, con i biglietti comprati qualche giorno prima. Se viaggi in Transiberiana devi avere una certa passione per i paesaggi monotoni, per il mondo post sovietico, e per i treni. Quelli della Transiberiana non sono male, molto simili agli Intercity che tutti usavamo in Italia prima dell'alta velocità, ma rigorosamente in versione treno notturno. Nell'ex Unione Sovietica, e in particolare in Siberia, tutti i tragitti sono lunghissimi, e tutti i vagoni sono attrezzati con i sedili ribaltabili, le cuccette. La prima classe ha dei vagoni con cabine a due letti mentre la seconda, quella che usavamo noi, degli scompartimenti con 6 cuccette.
Capimmo abbastanza presto che alle biglietterie tendevano a riservare un vagone agli stranieri, ed infatti ci trovammo nello scompartimento con una coppia di ragazzi, lui italo-russo, lei francese. Noi eravamo in tre, il che lasciava un letto vuoto sul quale appoggiare i bagagli che altrimenti sarebbe stato impossibile infilare nel risicatissimo spazio al di sopra della porta d'ingresso. Ci aspettava una coabitazione lunga 3 giorni, in uno spazio più piccolo di 3 metri quadri.
72 ore nello stesso treno, da Yekaterinburg ad Irkutsk.
Ogni vagone era gestito dalle provodnitsa, guardiane e padrone assolute della carrozza: controllano i biglietti all'ingresso, gestiscono il samovar, il tradizionale bollitore in dotazione in ogni carrozza del treno, consegnano gli accessori in dotazione ai viaggiatori (cuscini, coperte, lenzuola), tengono in ordine e puliscono la carrozza. Generalmente le provodnitsa hanno un età apparente che oscilla tra i 50 e i 60 anni, che spesso in Siberia corrisponde ad un'età reale molto più bassa, ma su questo treno una parte delle persone che ci lavoravano erano giovanissime.
Nel nostro vagone una delle due provodnitsa era Anastasia, che aveva 18 anni, e ci raccontò che studiava in una scuola superiore che nell'estate del loro ultimo anno mandava i suoi studenti a fare esperienza di lavoro sul treno, come provodnitsa e assistenti macchinisti; veniva da un villaggio dell'est della Siberia, al confine con la Mongolia, era diventata una star locale dopo la sua partecipazione ad una gara canora su una televisione regionale, e nel suo villaggio molte bambine erano state chiamate con il suo nome negli ultimi anni. La sua vita sul treno era un'alternanza di pulizie del vagone, gestione del samovar, organizzazione delle soste alle fermate, il tutto sotto l'occhio vigile della sua istruttrice, l'altra provodnitsa della carrozza.
Fuori dal treno, sempre e solo steppa. Non c'é panorama più monotono al mondo, non abbiamo visto niente altro che steppa per 3 giorni di fila. Ogni tanto si vedeva qualche villaggio di case in legno, e poi di nuovo steppa.
In uno dei giri esplorativi alla scoperta del treno post sovietico ci rendemmo conto che una delle porte di comunicazione tra due vagoni era bloccata, non si apriva. Eppure c'era un altro vagone dall'altra parte, il treno non era finito. Dal finestrino vedemmo che in realtà c'erano altri tre vagoni, e ci iniziammo a chiedere per quale ragione non vi si potesse accedere. Immagini di testate nucleari trasportate in segreto in coda al treno affollavano le nostre menti, e in giro stranamente non si vedeva l'addetta al vagone, che comunque più che darci spiegazioni ci avrebbe probabilmente ricacciato nelle nostre cuccette.
Ogni tanto c'erano delle soste. Il treno si fermava in alcune stazioni per 15 minuti, durante i quali si poteva scendere dai vagoni. Le provodnitsa scendevano e si posizionavano in corrispondenza delle due porte d'accesso al vagone, controllando l'orologio ed avvisando i viaggiatori sulla banchina dell'imminente partenza.
Una volta scesi in piena notte, da solo. La banchina notturna era molto più animata di quanti mi aspettassi, in particolare c'erano molte signore anziane che vendevano cibo cucinato da loro, e trasportato in scatole di cartone.
Mi fermai a pensare alla situazione. Ero solo, su una banchina di una stazione in Siberia della quale non conoscevo nemmeno il nome. Non avevo documenti né telefono con me, solo pochi rubli in tasca, fra l'altro già parzialmente convertiti in piroghi, degli involtini di pasta ripieni di verdure o di carne. L'ipotesi di far ripartire il treno mi sembrò il possibile inizio di una grande avventura. Avrei solo dovuto nascondermi dallo sguardo vigile delle guardiane, magari scendere le scale del sottopassaggio ed aspettare la partenza. Come me la sarei cavata? Ero ad un passo dalla migliore storia da raccontare che mi fosse mai capitata? Forse si.
Ma ci pensai solo per pochi minuti, e poi risalii sul treno, non prima di aver comprato anche dei gamberi di fiume.
Mentre cenavamo come ogni sera nello scompartimento, chiedemmo ad Anastasia, che stava pulendo per l'ennesima volta il tappeto del corridoio al di fuori degli scompartimenti, la ragione della porta bloccata verso la fine del treno. Fu allora che venimmo a conoscenza dell'esistenza della Platzkart, la terza classe. Erano dei vagoni uguali a quelli dove eravamo noi, con degli scompartimenti da 6 letti, ma senza divisione tra gli scompartimenti. Un'unica grande camerata per più di 50 persone, che fra l'altro non comunicava col resto del treno. Alle biglietterie non la proponevano nemmeno agli stranieri.
Impossibile anche andarla a visitare durante una delle soste, visto che ai vagoni accedevano solo viaggiatori muniti di biglietto, o già conosciuti dalle provodnitsa come appartenenti al vagone. Ci sembrò subito un'occasione persa, i nostri tre giorni di viaggio fatti nella borghese seconda classe, mentre il popolo viveva e pianificava rivoluzioni nella Platzkart.
Quando mancavano pochi minuti all'arrivo ad Irkutsk, dopo aver preparato i bagagli, andammo a salutare Anastasia, che era nel suo scompartimento, molto più piccolo del nostro, con un solo lettino, per alternarsi con l'altra provodnitsa con i turni, e non lasciare mai il vagone incustodito. Lei prese la sua borsa dal ripiano sopra al letto, la aprì e tirò fuori un rossetto. Lo mise sul tavolo a ribalta di fianco al finestrino ed iniziò a scrivere su un foglietto il suo autografo, poi aprì il rossetto, lo passò sulle labbra e diede un bacio al foglietto. Completò questo rituale 5 volte, per tutti i presenti, e poi ci consegnò i foglietti.
La cura che aveva messo nell'esecuzione, unita all'evidente assurdità del gesto, ci lasciò senza parole. Non sapevamo cosa dire e intanto il treno si era fermato, le persone iniziavano a scendere e Anastasia si affrettò ad andare verso l'uscita. Ci salutò con un sorriso mentre scendevamo, dopo 3 giorni, dal treno. Eravamo ancora in Siberia.