La sesta volta
Per entrare si doveva scostare la tenda di plastica bianca che faceva da porta. Lo facemmo, e ci trovammo nell’unico bar del paese. L’intero locale era una tenda di plastica bianca al centro del villaggio. Saranno state le nove di sera, e la strada che portava dalla casa dove alloggiavamo al locale era totalmente buia. L’illuminazione interna consisteva in una serie di neon schierati su una griglia agganciata alla struttura di sostegno della tenda.
Il locale era un karaoke bar fornito, oltre all’impianto per il karaoke, di un frigorifero e di uno spillatore per le birre, senza bancone.
Eravamo con un ragazzo basco, Miguel, che stava viaggiando lungo la transiberiana da solo. Era partito da San Sebastian in treno, arrivato a Mosca aveva preso la transiberiana con la quale sarebbe arrivato a Vladivostok, dopodiché avrebbe fatto ritorno a San Sebastian, sempre in treno. Tutto questo esclusivamente in Platzkart.
Un vero eroe dell’esplorazione ferroviaria post sovietica.
A darci il benvenuto della popolazione locale questa volta ci pensarono due intraprendenti ragazze. Vestite in tuta acetata, si avvicinarono con aria torva sbattendo sul tavolo due birre e due aringhe affumicate, per poi sedersi al tavolo. Era il loro modo per iniziare una conversazione con degli sconosciuti. Ci raccontarono di essere in vacanza là. A noi fino a quel punto l’Isola Olkhon non era sembrata l’ideale per la villeggiatura, ma loro ci assicurarono che molti siberiani passavano là le loro vacanze.
In Siberia, a nord della Mongolia, c'è un grande lago. La guida dice che il lago Baikal è la riserva d'acqua dolce più grande del mondo, contiene il venti per cento di tutta l'acqua dolce non ghiacciata della terra. É profondo più di 1600 metri, e dunque è anche la riserva d'acqua dolce più profonda del mondo. È probabilmente anche il più antico lago del mondo, si è formato 25 milioni di anni fa.
Leggevo tutto questo mentre un traghetto ci portava da Irkutsk, sulle rive del lago, all’isola Olkhon, la più grande del lago nonché luogo sacro per lo sciamanesimo.
Lo sciamano è un saggio, un guaritore, una figura a metà strada tra la magia e la religione, ed è una figura transculturale che si trova praticamente in ogni luogo del mondo ed ha ovunque caratteristiche molto simili. Lo sciamanesimo siberiano è considerato uno dei meno contaminati da altre culture, e l’isola Olkhon è uno dei suoi luoghi simbolo.
Quel giorno avevamo fatto una lunga camminata fino alla roccia dello sciamano, un promontorio sul lago che secondo una leggenda buriata era una pietra lanciata dal Lago Baikal a una delle sue 330 figlie, l’unica che voleva andare via, mentre tentava di fuggire. La roccia non riuscì a fermarla, ed è ancora lì.
Per arrivare alla roccia si percorrono dei sentieri dove ci sono dei totem sciamanici, assi di legno conficcate nel terreno coperte da centinaia di stracci colorati.
L’intera isola sembra abbandonata, i villaggi deserti, eppure è un luogo dove la cultura sciamanica è viva e praticata, e dove non solo buriati ma anche russi vengono a trascorrere le loro vacanze.
Intanto al nostro tavolo le ragazze si erano date il cambio con un russo, Boris. La comunicazione con Boris non era semplice, non parlava una parola di inglese e non faceva nient’altro che ridere, bere birra, ed indicare il simbolo dell’Adidas che un mio amico aveva sulla felpa. Doveva essere anche lui in vacanza sull’isola, conosceva le ragazze che si erano sedute al nostro tavolo e sembrava essere arrivato alla conclusione che bere era il miglior modo di passare il tempo sull’isola. Era parecchio ubriaco insomma.
Ad un certo punto fu chiaro che lui, la felpa che continuava ad indicare ridendo, la voleva proprio. Stava in realtà proponendo uno scambio tra il suo maglione e la felpa.
Benché a Boris la proposta potesse sembrare sinceramente allettante per entrambi, il mio amico non era della stessa opinione.
Quando Boris capì che lo scambio non si sarebbe fatto, sempre ridendo e brindando all’eterna amicizia tra i nostri popoli, tirò fuori dalla tasca un coltello a serramanico, e lo aprì. Lo guardammo tutti senza muoverci, con reazioni interiori che variavano dalla sorpresa per il gesto al terrore di ritrovarci in una rissa accoltellati da un russo ubriaco. Nonostante questo nessuno si mosse. A quel punto Miguel entrò in azione, esibendosi in una specie di mossa di arte marziale con la quale abbassò la mano di Boris che teneva il coltello sul tavolo, mentre con l’altra mano gli puntava il dito verso il volto.
Li guardavo e non riuscivo a capacitarmi di chi fosse il più pazzo. Ci fu un momento di sospensione, rimanemmo tutti in silenzio per una decina di secondi almeno, e subito dopo qualcuno suggerì che sarebbe stato meglio andare via subito, e visto che Boris non aveva reagito in alcun modo al gesto di Miguel, ne approfittammo per alzarci ed andare via. Fino a quel momento la situazione si era mantenuta su di un livello di calma accettabile, considerando le circostanze. Quando scostammo di nuovo la tenda di plastica bianca per uscire, ci sentimmo chiamare. Cioè sentimmo una serie di parole urlate ad alta voce, chiaramente rivolte a noi. Erano quel tipo di parole pronunciate in maniera perentoria, non una minaccia, ma un invito che non conviene ignorare. In quel momento ci fu una scossa di paura vera. Ecco gli amici di Boris che si facevano avanti per strappare la felpa e darci una lezione, armati di coltelli da cucina. Questo pensavo mentre valutavo se girarmi o scappare. Decidemmo di voltarci ed affrontare il nostro destino.
Era il gestore del bar che ci chiamava, un enorme buriato. La sua mole si stagliava in controluce rispetto al neon sul fondo del frigorifero con le bibite.
Aveva in mano qualcosa.
Una macchina fotografica.
Voleva fare una foto con noi, gli esotici viaggiatori occidentali.