Le lezioni di McEwan 

6 Aprile 2023

A un certo punto del suo ultimo romanzo Lezioni (tradotto da Susanna Basso, Einaudi 2023) Ian McEwan fa dire al suo protagonista, Roland Baines, di avere un'idea poco lusinghiera degli scrittori britannici, verso la metà degli anni '70. In questo libro dove la letteratura è il linguaggio artistico per eccellenza, che si intreccia all'etica dei personaggi, tanto da coincidere con la loro stessa vita, e che rappresenta la possibilità di conoscere l'esistenza nel più profondo dei modi, McEwan veste Roland Baines con i panni dell'ingenuo, immune da qualsiasi ombra di cinismo, un uomo che fa della propria serietà una condizione di ribellione passiva: un'educazione sentimentale all'antica in un romanzo di formazione nel quale, da giovane allievo pianista, il protagonista si ritrova aspirante poeta, con una moglie e una suocera scrittrici e infine autore fallito, mentre attizza il fuoco nel braciere dove getterà i suoi diari. "Nessuno, uomo o donna che fosse, si prendeva la briga nei suoi scritti, o così la pensava Roland allora, di farsi domande sul mistero dell'esistenza o sulla paura di quel che lo avrebbe seguito. Nei loro racconti di immane leggerezza, il massimo della tragedia era una storia d'amore burrascosa, o un divorzio".

Gli scrittori, pensava Roland Baines, si conoscevano tutti tra di loro, indossavano giacche di tweed, fumavano la pipa e sognavano un cavalierato. "Delle donne, troppe portavano giri di perle e utilizzavano parlando il tono energico degli annunciatori radiofonici in tempo di guerra". Qualche decennio dopo era diventato più generoso, meno stupido: "una giacca di tweed non ha mai impedito a nessuno di scrivere bene (...). Al momento passava al vaglio una sorta di canone casalingo fatto di autori appena fuori dei grandi accampamenti del modernismo letterario. Henry Green, Antonia White, Barbara Pym, Ford Madox Ford, Ivy Compton Burnett, Patrick Hamilton". 

Quest'ultimo, prodigioso romanzo di Ian McEwan sembra scritto per un pubblico di lettori scaltri, talmente tanti sono i riferimenti colti, lasciati cadere tuttavia con sapiente leggerezza in una trama da serie televisiva: Baines sarà convinto per un bel po' di tempo che gli scrittori dovessero essere "non proprio dei barboni con le pezze al culo, ma almeno gente senza radici né legami, che conducevano una vita vagabonda ai margini, disposta a puntare lo sguardo dentro l'abisso per poi dire al mondo cosa c'era, laggiù".

McEwan costringe il lettore ad affacciarsi su alcune inquietanti voragini esistenziali: quelle della famiglia di Baines, in primo luogo. La moglie anglo-tedesca Alissa sparisce dalla sua vita un giorno, avevano appena avuto un bambino, lasciandolo solo con il figlioletto, Lawrence. In una digressione sul poeta Robert Lowell, che aveva saccheggiato, plagiato e riformulato in una sua raccolta poetica le lettere della moglie Elizabeth Hardwick che lui stava lasciando per un'altra donna, McEwan introduce il tema della disumanità degli artisti: "Tendiamo a perdonare la loro risolutezza o crudeltà in virtù del loro talento? La nostra indulgenza aumenta in proporzione alla grandezza artistica?". Tutto il romanzo gira intorno a queste domande perché il vulnus qui è rappresentato da una donna che riesce a sacrificare la famiglia sull'altare della propria arte (non accade quasi mai) ma soltanto fuggendo, facendo perdere le sue tracce, pur se è vero che "esistono scrittrici che hanno figli", come ragiona Lawrence nei suoi sforzi di comprendere perché la madre lo aveva abbandonato. 

L'elefante nella stanza di Lezioni, la cui presenza ingombrante è rimossa, sono gli uomini, intesi come maschi, che accampano da sempre diritti acquisiti sulle mogli, ancora di più se ci sono di mezzo forme d'arte. Gli uomini vogliono sempre tutto: figli, successo, abnegazione femminile dedicata alla loro creatività. Alissa paga il prezzo di due amori, un figlio e un marito, per una decina di libri: un successo mondiale che la porta alle soglie del Nobel, "paragonata a Nabokov, al di sopra di Günther Grass, grande quasi quanto Mann". Non fa tuttavia differenza stabilire se un comportamento crudele generi, come nel caso di Lowell e di Alissa, un capolavoro oppure un'opera mediocre. La crudeltà di un abbandono resta crudeltà, a prescindere dalla bellezza di ciò che scaturirà da quel gesto. Ma "bisogna passarci, per sapere com'è: la qualità dell'opera ha un peso enorme" è il pensiero di Roland Baines, che perdona la moglie di averlo tradito, per così dire, con la letteratura, solo perché "essere lasciati per un'opera mediocre sarebbe stato l'oltraggio definitivo". Ma non sembra quello di McEwan, che sceglie di raccontare questa storia appassionante apparentemente dalla parte di Roland.

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Alissa è praticamente assente dalla narrazione che è invece incentrata tutta su di lui. McEwan lo segue fin dalla sua infanzia in Libia (il padre di Roland fa parte del contingente dell'esercito britannico in Nord Africa), al suo ritorno in Gran Bretagna, agli anni del college dove incontra la sua maestra di musica Miriam Cornell, che inizierà il ragazzino undicenne ai primi turbamenti sessuali, lei nove anni più di lui. Le "lezioni" di Roland cominciano dagli esercizi al pianoforte fino a una proposta di matrimonio che lo farà, sedicenne, fuggire per sempre dal college e da Miriam, un gesto crudele di cui patirà il contrappasso. In una scena cruciale è Alissa che rinfaccia a Roland quello che lui avrebbe potuto diventare, la sua "sofisticata sensazione di fallimento", il vittimismo per quello che la vita gli aveva portato via: "il pianista concertista, il poeta, il campione di Wimbledon.

Quei tre eroi fuori della tua portata occupavano un mucchio di spazio in una casa tanto piccola. Come avrei fatto, io, a respirare? (...) Per liberarmi ho pagato il prezzo più alto in assoluto, vale a dire Lawrence. Saresti stato un soggetto grandioso, Roland. Avrei potuto raccontare al mondo alcune cose a proposito degli uomini. Ma non l'ho fatto!". Baines, che leggeva ogni romanzo che la moglie pubblicava, era sconcertato perché in nessuno si parlava di lui.

Nell'assenza fisica di Alissa e di Miriam per gran parte del romanzo, McEwan manovra Roland Baines in modo da far attribuire un potere spropositato a questi due personaggi femminili che aleggiano come le streghe nelle fiabe, portatrici di pulsioni distruttive. Roland si interroga su chi sia lui: un idiota che ha sposato un genio senza accorgersene? si avviava ad essere un criminale che imprigionava una mente superiore? era alla fine quel mediocre che aveva sempre sospettato di essere? McEwan si impegna a far detestare Miriam ("una pazza") e Alissa (fumatrice accanita, alcolizzata, respingente senza appello con il figlio che affronta un viaggio per conoscerla) mentre, al contrario, si prodiga per convogliare su Roland le simpatie del lettore (amorevole con Lawrence, figlio premuroso con la madre preoccupata di nascondere una vicenda segreta, poi affetta da demenza senile, marito modello di Daphne, la seconda moglie). Alla fine sembra che raccontare la sua storia sia più difficile per Roland che per Alissa viverla, con tutte le conseguenze del caso. 

Lezioni è forse il libro più autobiografico di McEwan, con il fratello germano ritrovato, identico nella finzione a quello vero, e con un ritratto della sua generazione (McEwan è del 1948): sullo sfondo la Storia, dalla crisi dei missili a Cuba del 1962 alla caduta del muro di Berlino, 1989, fino agli ultimi anni della pandemia da Covid (il romanzo finisce nel 2021) che si rifrange sulle vite minuscole di Roland e della sua famiglia allargata: la politica è la passione di Roland, insieme alla letteratura e qui Margaret Thatcher, Tony Blair, Nigel Farage, la Brexit sono tutti promemoria per farci credere che le vicende che ci appassionano siano vere. "Secondo te questa storia vuole dirci qualcosa sulle persone?" chiede alla fine Roland a sua nipote Stefanie dopo averle letto Flix di Tomi Ungerer, un apologo sulla parità dei diritti e la fine della segregazione razziale tra cani e gatti. "Non essere assurdo nonno – gli risponde lei – Parla di cani e gatti". "Roland afferrò il punto: è un peccato rovinare una bella storia trasformandola in una lezione". Il profumo novecentesco che aleggia in questo romanzo, che sembra credere nell'educazione sentimentale degli uomini attraverso la letteratura, viene aggiornato dallo stesso autore che non si risparmia: nel corso della storia insegna magistralmente come si scrive e anche come si deve leggere un romanzo ("Alissa gli aveva elargito una lezione chiara e forte su come si legge un libro"); il piacere di leggere è tutt'uno con un atto conoscitivo che non è separabile da esso ma l'impressione a lungo coltivata di godere di un primato culturale ed estetico è ormai incrinata da un universo tecnologico – "la nuova era di insensatezze da social media" – che rappresenta un incubo per Roland, spaventato dall'ipotesi che la libertà d'espressione, un privilegio in progressiva contrazione, potesse svanire tra un migliaio di anni.

Si chiude con questa dichiarazione sull'impossibilità di comprendere la complessità della vita e tanto meno trarne delle "lezioni" morali il meraviglioso romanzo di McEwan: abbiamo soltanto letto la storia di un uomo, della sua presunta innocenza nel guardare la sua vita e il suo passato, e dei suoi debiti "formativi" nei confronti di due donne, una dalla personalità dominante e una che fa pesare la sua assenza, dalle quali Roland cerca invano di trovare risposte per tirare avanti ogni giorno.

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