Le prove di lettura di Umberto Fiori
Chi legge da sempre, come me, la poesia di Umberto Fiori, troverà in questo libro, Il metro di Caino (Castelvecchi 2022), la controparte di esperienza letteraria, di conoscenza e di finezza interpretativa che la sua poetica condensa a volte in un fulmineo e sorprendente giro di frase, in un “a capo” spiazzante.
Introducendo il proprio lavoro, Fiori, scrive che preferisce chiamare questi scritti “prove di lettura”, invece che “saggi”, e per meglio definire aggiunge ancora: “ipotesi di interpretazione, tentativi di accostamento a pagine che da tempo mi interpellavano, nati non da un sistematico lavoro critico, ma – più semplicemente – dalla mia personale esperienza di lettore, dal bisogno di spiegare uno scritto; spiegarlo – innanzitutto – a me stesso”.
Mi scuso con il lettore, ma devo ancora prelevare, più avanti, altri due passaggi. Il primo, a proposito dei testi interpretati: “Parafrasando Kafka, potrei dire che li ho letti come li leggerebbe “un uomo di campagna”. Che cosa c’è scritto qui? Che cosa dice? Che cosa vuol dire? Provare a capirlo, per me, significava ricominciare da un non capire di cui raramente, ormai, siamo capaci”. Il secondo passaggio viene dalla conclusione delle pagine introduttive: “Gli aspetti letterari e più in generale estetici dei testi che affronto – come si vedrà – restano quasi sempre in secondo piano: quello che mi interessava era soprattutto far ragionare in me questi autori e queste opere, ripensare i loro pensieri, farmi invadere dalle loro immagini. A emergere nelle letture, credo, è innanzitutto il legame tra il testo e chi gli va incontro. Legame vitale, più forte di ogni nostra incomprensione, di ogni esegesi, di ogni chiarimento”.
Adesso, per prima cosa, teniamo conto che degli “aspetti letterari e più in generale estetici dei testi” in questione, Fiori ne sa a pacchi, e il lettore lo percepisce, se pure l’autore non abbisogna dell’esibizione di credenziali, poiché – con rara precisione – punta ogni volta subito al cuore di ciò che lo interroga. Non si tratta affatto, quindi, di una lettura che affronta spavaldamente un testo con gli strumenti dell’intelligenza e della sincerità, in barba all’armamentario estetico e critico accumulato dalle diverse discipline ufficialmente preposte. Si tratta, invece, di una lettura che cerca e trova la sua dimensione solo adoperando quei necessari strumenti, pure assai cospicui, che egli sa impegnare, per affrontare il nucleo profondo di ogni vero leggere (come di ogni relazione con la parola e la presenza degli altri).
Cosa vuol dire, infatti: “ricominciare da un non capire di cui raramente, ormai, siamo capaci”, se non il fatto che troppo spesso sono gli strumenti interpretativi che parlano per noi, quegli strumenti teorici e procedurali ai quali diamo troppa fiducia. E questo vale anche per chi di questi strumenti ne ha meno di altri, a chi si affida a una delle tante forme di ideologia (avrebbe detto un vecchio filosofo) che gli fornisce una visione addomesticata e coerente del mondo. Com’è difficile “non capire”, oggi! E, ancora, l’Umberto Fiori che è stato, tra le altre sue molte attività, un insegnante, sa bene quanto l’informazione (che cos’altro sono, in fondo, le introduzioni, gli approfondimenti, le note di un testo scolastico?) non sia altro che uno splendido nulla, buono per fare bella figura in società, se non c’è la lettura personale, l’ascolto, l’esposizione a qualcosa che può anche non arrivare, ma che arriverà soltanto se sei attento, se leggi quelle parole disposto, come dice Fiori di sé – e riprendo la citazione già proposta – a: “far ragionare in me questi autori e queste opere, ripensare i loro pensieri, farmi invadere dalle loro immagini”. Insisto, perché è un cardine decisivo sul quale i saggi raccolti in questo libro trovano il loro più vero “gioco”: leggere, ascoltare, stare di fronte all’altro, alla sua presenza, è mettere in gioco il senso che abita chi ascolta, chi sta di fronte e, per l’altro, è la presenza che non sa di essere. Sempre: senza un incontro non c’è testo – Fiori lo dice chiaramente.
Ma non è facile. “A emergere nelle letture – scrive Fiori – è innanzitutto il legame tra il testo e chi gli va incontro”. Ecco qui: bene venga ogni informazione, e ancora e meglio gli strumenti interpretativi più vasti e raffinati, ma senza questo andare incontro al testo, nulla accade. E occorre mettere in conto che, pure andando incontro al testo, a volte quello che accade – al meglio delle ipotesi – è una sospensione del senso, una domanda che resta confitta nella memoria.
Il metro di Caino è diviso in quattro sezioni più un’Appendice nella quale non si parla di uno scritto ma di un film, Citizen Kane, di Orson Welles. Le sezioni sono: I. Morali, II. Intorno a Orfeo, III. Sei letture di Baudelaire, IV Quattro letture di Kafka. Sono scritti che vanno dal 2007 al 2014 (tranne uno di quelli dedicati a Kafka, che è del ’93, e viene unito agli altri per completezza). Troviamo pagine della Bibbia, di Vittorini e Calvino, di Freud, di Caproni, di Sereni e altri (non molti) accanto ai nomi già presenti nei titoli delle sezioni.
Ho scritto in apertura che in questi saggi ritroviamo in altra e non meno significativa veste il poeta. Lo ripeto. Non si tratta però di suonare la stessa musica con un altro strumento, quanto della reciproca illuminazione che i diversi versanti acquisiscono: non v’è dubbio che nell’opera poetica sia in primo piano l’etica; quello che in versi suona come predilezione del paradosso della responsabilità e della difficoltà del riconoscimento, in questo libro viene approfondito in termini propriamente espressivi e linguistici con una meditazione sulla lingua, su quello che può dire per ferire e quello che non può dire per guarire… che cosa?
Questo, è questo ciò che è inguaribile: il ritorno costante della mancata pienezza di reciprocità che affligge l’essere umano. Così come, a diverso livello, la soluzione ritmica e antimelica della poesia di Fiori vien qui illuminata dagli scritti, davvero notevoli, su Mallarmé, Sbarbaro, Kafka e la musica. Difficile riassumere. Provo solo un ballon d’essai per indicare dove tira il vento: la dimensione asemantica della musica sollecita il corpo e inquieta però la mente, che si sente “prigioniera” di un gioco senza significato, che parla al corpo e dalla mente non si fa capire. Eugenio Montale ricordava la “condanna semantica” della poesia, a proposito di troppo facili entusiasmi per “la musique avant toute chose” e da questo punto di osservazione, e ancora oltre, pure Andrea Zanzotto ci invita a considerare che cosa potrebbero essere la vocalità e la corporeità esibite in poesia.
Fiori non fa sconti alla musica, non la idealizza, proponendoci – attraverso i suoi autori – uno sguardo originale e profondo; e neppure fa sconti alla poesia, però. Anzi, la parola – ne emerge – ha la sua musica, come la musica ha un significato, che non è nelle note, ma nella sua presenza. Allora è necessario leggere le considerazioni che Fiori approfondisce di volta in volta per accettare di essere chiamati a nostra volta a confrontarci: la poesia, la musica, certo, però anche l’etica, la relazione con gli altri, hanno forse la loro verità nel persistere proprio di quel non che chiede di tenere aperta l’ipotesi alternativa.
Ciò che annuncia una verità, nell’opera, si avvicina al suo nucleo più profondo quanto più riesce a tenere aperte tutte le realtà dei pensieri e delle esistenze diverse e contrarie, fino all’ultima, irriducibile, che è quella del corpo, del respiro, della postura. Ogni “verità” che si basta, che si completa nel giro delle sue pagine, è una retorica, di fatto, che può anche compiacere il nostro sentire e le nostre opinioni sui fatti del mondo. Ma quello che fa vero l’incontro tra una testo e un lettore è l’ultima porta che non vuole aprirsi né vuole chiudersi sull’ultima domanda che non può essere l’ultima.
Il metro di Caino, già nel titolo dice che il vero e il bene non si misurano, ma accadono, sono qualcosa che ha a che fare con un dare e un prendere che possono formare la gioia della vita, mai però un prontuario con i numeri degli importi che pesano il male e la menzogna. Ma tutto questo viene a evidenza, per merito di Umberto Fiori, dal suo saper fare in modo che le pagine che ha scelto “parlino”, lievitino il loro senso. E così andiamo incontro ai testi anche noi, ci sorprendiamo e – come dice che ha fatto lui molte volte – riprendiamo quelle pagine per leggerle di nuovo.