Lì dentro. Gli italiani nei social

27 Giugno 2022

Inteso propriamente come quest il giornalismo di inchiesta si rifà a due modelli apparentemente simili, ma in realtà opposti e quindi da tenere ben distinti. 

Il primo modello è siccitoso. Il giornalista è il rabdomante che si muove in un mondo roccioso, spigoloso e arido e deve penetrare grotte e pertugi sperando di scovare la desiderata e magari minima vena d’acqua. Il secondo modello è alluvionale: il giornalista deve evitare di soccombere nel flusso di dati di mugghiante e frastornante impetuosità in cui è immerso e setacciarlo per isolare i frammenti preziosi, come con le pepite fa il cercatore d’oro (che in portoghese porta il bel nome di “garimpeiro”). Il punto di similitudine è che in entrambi i casi si cerca il poco che è nascosto. Il fondamentale punto di divaricazione è che nel primo caso a nasconderlo è l’assenza, nel secondo caso è l’eccesso di presenza. 

In un’onorata carriera di “garimpeiro” politico-parlamentare per Panorama, poi per La Stampa e infine per Repubblica, Filippo Ceccarelli ha accumulato un archivio di proporzioni leggendarie. Setacciate per anni dalle agenzie, dai giornali, dalle proprie fonti le sue pepite sono state dichiarazioni e aneddoti, battute e “frame” isolati dalla circostanza spicciola che li aveva generati. Ognuna di tali pepite è depositaria di un riverbero del potere italiano, per rappresentatività. Per quantità, sono tante da riempire il deposito di zio Paperone ed è proprio come lo "zione" disneyano che Ceccarelli, si può dire quotidianamente o quasi, si tuffava a estrarre gli esemplari più utili a inquadrare ciò che emergeva giorno per giorno dall’attualità. A Mario Monti veniva regalato un cagnolino in diretta televisiva? Ceccarelli sguazzava e prontamente confezionava e recapitava al giornale un articolo che incastonava precedenti circostanziati e davvero parlanti a proposito di politica e animali domestici. E così per anni, nel tripudio di lettori affezionati e nel sostanziale rispetto con cui i protagonisti hanno sempre accolto le garbate, ma tutt'altro che indulgenti, ironie del ricercatore. 

Il quale ricercatore giunse alla pensione nel 2015. Ben a suo agio non solo con sintassi e semantica della parola ma anche con l’eloquenza del gesto, Ceccarelli donò allora il suo archivio alla biblioteca della Camera, dove un Tir recapitò più di 300 raccoglitori, carichi di quasi 1500 cartelline. Il deposito dei dobloni aveva già alimentato negli anni una discreta produzione di libri sui rapporti tra la politica e la cucina (Lo stomaco della Repubblica, Longanesi 2000), il sesso (Il letto e il potere, Longanesi 1994 e Feltrinelli 2007; La suburra, Feltrinelli 2010), la rappresentazione (Il teatrone della politica, Longanesi 2003), i segni rivelatori (Come un gufo tra le rovine, Feltrinelli 2013). Arrivò quindi la summa: un libro di poco meno di mille pagine che dal corso impetuoso di sette decenni di vita repubblicana ricavava un repertorio certo scelto ma del tutto esauriente sulla politica italiana intesa come totalità. Un reference da compulsare per studio e memoria, ma disponibile anche a fruizioni bibliomantiche ad apertura di pagina o come I Ching, facendo invariabilmente cadere su annotazioni di pregnanza fatale. Nessuna teoria, poche generalizzazioni, collezionismo minuto e sapiente, quindi eloquente, soprattutto nella dispositio dei preziosi frammenti. Il tutto raccolto all’insegna del titolo, enigmatico, di Invano (“In cosa si immedesima un autore? Negli avverbi” sentenziava Umberto Eco) e del sottotitolo, forse addirittura più sconsolato: Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua (Feltrinelli, 2018).

ceccarelli

Liberato con la messa a riposo dal lavoro redazionale, sciolto con la donazione dal mantenimento dell’archivio, licenziato con un implicito scrollo di spalle il suo “Invano” Ceccarelli sembrava poter non chiedere altro alla propria acribia. Continuava certo con rubriche e articoli occasionali a postillare la sua opera e anzi raccoglieva un nuovo successo di plausi e simpatie presso il pubblico dei diversi festival e addirittura, lui così schivo e distinto, presso quello televisivo della band giovanilista di Propaganda live. Ma stava già setacciando pepite da un nuovo territorio alluvionale, anche se neppure tra i suoi più fedeli lettori e seguaci nessuno ha potuto sospettarlo, fino al coming out costituito dalla pubblicazione del suo nuovo libro: Lì dentro. Gli italiani nei social (Feltrinelli, 2022). 

È come se un grande cronista sportivo dopo la pensione continuasse ad andare allo stadio ma ora puntasse il suo strumento ottico non più verso il campo, bensì in direzione degli spalti. La nuova inchiesta prende qualcosa della verifica empirica, della prova del nove, visto che tra i personaggi di Invano e quelli di Lì dentro corre un rapporto di rappresentanza a titolo ufficiale e anzi solennemente sancito nella Costituzione. Webcam e Camere parlamentari: il popolo che si autorappresenta nei social – e soprattutto in quelli a predominanza iconica, come Instagram e TikTok – è idealmente lo stesso che seleziona, preferisce, “fa elezione” dei suoi rappresentanti al potere, scelta compiuta certo con passione e discernimento infinitamente minori di quelli che Ceccarelli mette nel setacciare gli aurei frammenti dalle sue miniere. Qui comincia con “smancerie videoconiugali dei Ferragnez” (con commento: “Uffa”, già al primo reperto), con “il generale Pappalardo, capo dei Forconi in giacca arancione” che dice: “mi occupo di meccanica quantistica e di cosmologia” e con una locandina del Mattino di Napoli: "Bisnonna prega per anni una statuetta del Signore degli Anelli. – Credevo fosse sant’Antonio –". Finisce poco meno di tre centinaia di pagine dopo, con un trafiletto da Ostia: "Dior, il maiale da passeggio che si aggira al guinzaglio di una signora nel quadrante centrosud di Roma, tenta la fuga in spiaggia". Seguono a concludere il gran viaggio pagine di considerazioni molto elevate, anche se come sempre pochissimo teoriche e sempre ancorate a fatti documentati – e nella lettura ermeneutica dei dati il modello non è più quello del cercatore d'oro. Il senso qui è acqua ricavata per faticata rabdomanzia dall’aridità rocciosa e spigolosa, e ottusa, dei fatti. 

Il fatto vero è che Ceccarelli vorrebbe che l’interpretazione scaturisse sempre e soltanto dalla disposizione della materia, secondo la regola del “buon vicino” della biblioteconomia di Aby Warburg o, più modestamente, secondo le tecniche di cut-up dei blobbatori. Il compito di dare senso lo lascia ai lettori, ed è saggio – ma non è da tutti – lasciarlo a loro. Perché enunciare una morale, poi, quando la favola è così suggestiva? 

Diverso è il discorso a proposito dei criteri della ricerca: qui Ceccarelli è sempre contento di mostrarci i suoi setacci e come funzionano. Nove capitoli per altrettanti filoni di ricerca, da “la Curiosità” a “la Salvezza”, vezzose testatine che sembrano parodiare certi occhielli standard sempre molto diffusi sui giornali (“il Caso”, “la Polemica”, “il Lutto”, "il Protagonista"). Affondi monografici su pandemia, propensione ridanciana e inclinazione italiana al barocco, “da Bernini e Borromini ai TikTok”, passando per Tommaso Labranca e le sue precoci intuizioni sul “barocco brianzolo”. Pacchetti di esempi estratti da Instagram e social vari che interrompono flussi di racconto. Giustapposizioni mirate e callidae iuncturae come quella tra il sito Trashendere che ha invitato i follower a indicare un candidato al Quirinale, con voti a Al Bano, Nino Frassica, Rocco Siffredi, Pippo Franco, Orietta Berti, e un montaggio di nomi effettivamente pronunciati dal presidente della Camera Fico in sede di spoglio : Al Bano, Nino Frassica, Rocco Siffredi, Amadeus, Claudio Lotito, Giovanni Rana… È questo un tipico esempio del metodo ceccarelliano: ricerca filologica del prima di ogni dopo, connessione dei microcosmi e dei macrocosmi tramite analogie e “segnature”, per mostrare cosa dell’oggi era già presente nello ieri, cosa è nuovo e cosa si è trasformato per via proprio del barocco, inteso come linguaggio che ripresenta come nuovo il già visto e invita a sorprendersene.

Tutto banale, tutto sorprendente, infatti, “là dentro”. E come già nel sottotitolo di Invano, che rimandava da De Gasperi a “questi qua”, si fa notare il peculiare uso dei deittici, che àncorano l’enunciazione alla situazione, al qui e ora. E all’io. Col tempo Ceccarelli ha preso infatti a darsi dell’io, si è cioè tolto la cravatta del “noi” professionale e con le risorse della sua collaudata pazienza ha accolto, della contemporaneità, il necessario ricorso a un’enunciazione sempre presente e pulsante. La sua inchiesta comprende la storia di chi la compie, riferendosi con frequenza significativa a due gradi della sua genealogia, eletti a altrettanti mentori: il padre Luigi, non più vivente, la cui eredità immateriale è la curiosità accanita nei confronti dell’umanità e quella materiale è un semileggendario “Brogliaccio” – collezione di santini elettorali, opere di poeti romaneschi, fotografie, annunci bizzarri, locandine di maghi; il figlio trentacinquenne (e dedicatario del volume) Giacomo, fornitore di dritte e moniti, contenuti, linee-guida, giudizi senza sconti ed expertise tecnotelematiche. Richiamandosi a una saggezza anteriore e una posteriore Ceccarelli si è sentito così meno solo e meno incerto nell'esplorazione del “là dentro” del presente, trovandoci alla fine persino il presagio di possibili redenzioni. 

Alla fine il suo libro fa ridere, sgomenta, stordisce, persino intenerisce ma non vende alcuna merce se non l’ottimismo della curiosità e il pessimismo della dubbiosità. Rabdomante di spiegazioni, “garimpeiro” di casistiche luminose, Ceccarelli è quanto di più lontano si possa immaginare da un terzo modello di inchiesta: quello degenerativo, che si ispira al “I feel lucky” o “Mi sento fortunato”, il pulsante presente già nella preistorica prima home page di Google. Quest'ultima sarebbe la ricerca che trova soltanto ciò che era già stato trovato da qualcun altro e si accontenta della prima soluzione che l’algoritmo gli fa uscire, sapendo già benissimo quale ermeneutica si arriverà a predicare. La ricerca di Ceccarelli è invece uno "starci dentro" – ai social, ma anche all'Italia e in fondo alla vita –, che sa di poter trovare il senso solo nel nesso e convoca le proprie, ed eminenti, risorse di humour, scrittura e tenacia per procedere. Un dono, queste risorse, per lui che ne dispone; un dono, le petite che ne risultano, da lui per noi.

 

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