Lorraine de Sagazan: una boccata d’ossigeno  

4 Agosto 2023

Se una sorta di speciale ‘atmosfera interiore’ è ciò che resta nell’animo degli spettatori dopo una rappresentazione o una performance, ciò che mi ha accompagnata all’uscita dopo aver assistito alle opere della regista francese Lorraine de Sagazan è stata una sensazione di rinnovata possibilità. Una ventata d’ossigeno. Nel contesto incantato di Villa Medici a Roma ho potuto assistere allo spettacolo La vie invisible, creato nel 2020, e all’installazione-performance Monte di Pietà, presentata nell’ambito della mostra collettiva dei 16 borsisti di quest’anno dell’Accademia di Francia di Roma, Una linea storta tesa (ancora visitabile fino al 6 agosto).

Borsista presso l’Accademia di Francia di Roma nell’edizione 2022-2023 del prestigioso programma di residenza, Lorraine de Sagazan è una regista che interroga la realtà, la percezione, il linguaggio e il modo, o per meglio dire, i diversi modi attraverso cui questi si fanno spazio, si presentano e circolano nel mondo. Formatasi come attrice, ha collaborato con registi come Thomas Ostermeier e Romeo Castellucci prima di debuttare alla regia. Il suo repertorio, costruito con la sua compagnia La Brèche, fondata nel 2015 in occasione della creazione dello spettacolo Démons, adattamento del testo di Lars Noren, mantiene un legame forte con il reale, le persone e le loro storie, interrogando allo stesso tempo profondamente la spettatorialità, il suo potere e le sue prospettive.

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La Vie invisible, Ph. Christophe Raynaud de Lage.

Lorraine de Sagazan non rinuncia a esplorare il contatto diretto con il reale inteso come risorsa nemmeno quando si confronta con l’adattamento di testi del repertorio teatrale – oltre a Lars Noren, Henrik Ibsen e Anton Čechov. Più recentemente, invece, ha creato Un sacre, uno spettacolo in cui utilizza anche la coreografia, intessendo le testimonianze di 365 persone riguardanti un loro ‘assente’, ovvero una persona deceduta. E anche in questo caso, forse, si potrebbe considerare il suo lavoro come una proposta in risonanza col grande repertorio coreografico. Ciò che risulta osservando l’insieme delle sue produzioni è come il repertorio scelto e adattato dalla regista non sia chiamato in causa solo per fare da pretesto e per portare in scena narrazioni e dinamiche della realtà. La fusione tra teatro e vita sembrerebbe essere molto più profonda, e probabilmente non ci sarebbe alcun repertorio teatrale da considerare, secondo la linea tracciata da de Sagazan, se non fosse intriso di contemporaneità, e così viceversa. 

Dalla sua fondazione, dopo Démon la compagnia ha prodotto altri cinque spettacoli di cui La vie invisible è il penultimo. Presentato in prima italiana in lingua francese, lo spettacolo è stato scritto dalla regista insieme allo scrittore Guillaume Poix. Il testo è nato a partire da testimonianze di soggetti ipovedenti o ciechi raccolte per osservare come in queste persone la memoria si interfacci con la finzione.

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La Vie invisible, ph. Christophe Raynaud de Lage.

“F. è cieco da vent’anni a causa di un incidente d’auto. È un attore amatoriale e avventurandosi sul cammino tortuoso della sua memoria senza immagini, ogni sera sul palcoscenico egli ricostruisce, con degli attori professionisti, il ricordo di uno spettacolo che lo ha sconvolto, del quale però non ricorda né il titolo, né il nome dei personaggi”, scrive Lorraine de Sagazan nella presentazione del suo lavoro. Presentato a Roma con una scenografia essenziale nello spazio non teatrale del Grand Salon di Villa Medici, lo spettacolo mette in scena tre attori tra cui Thierry Sabatier, cieco da quasi 40 anni. La sua voce, la sua presenza e la storia narrata evidenziano tutte le domande affrontate nel processo di creazione di questo spettacolo ovvero il ruolo delle immagini nella creazione della nostra relazione con il mondo e con gli altri. Condividendo la scena insieme agli attori Romain Cottard e Chloé Olivères, l’esperienza di Thierry Sabatier elaborata nel testo mette in luce tutte le sfumature di un approccio altro alla realtà e al visibile. La memoria e l’immaginazione sono convocate nello spettacolo come ambiti in cui è possibile anche esprimere un funzionamento diverso della sensibilità umana. Secondo de Sagazan, se la vista non può validare e registrare la realtà, allora l’immaginazione è, di fatto, ascrivibile alla finzione. Ma non solo. Se, come accade per le persone cieche o ipovedenti, la finzione – fatta di memorie fragili e scivolose combinate e ricomposte – è utilizzata per colmare un vuoto o un’alterazione percettiva, forse il teatro di de Sagazan punta ad avere lo stesso tipo di presa sui propri spettatori. Da qui, probabilmente, giunge allora quel senso di espansione degli orizzonti interiori, della sensibilità e del pensiero provata alla fine dello spettacolo che è stata come una vera e propria boccata d’ossigeno.

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Una linea storta tesa, ph. Daniele Molajoli. 

Monte di Pietà, invece, è un’installazione performativa allestita all’interno della mostra collettiva dei borsisti di Villa Medici del periodo 2022-2023. In una stanza chiara col pavimento ricoperto di ghiaia fine, come in un piccolo museo sono esposti e catalogati oggetti di ogni tipo. Ogni oggetto, di cui i possessori hanno deciso di liberarsi, è connesso a un fatto, un evento oppure un torto subito. Dietro a questa collezione ci sono più di duecento testimonianze d’ingiustizia. La giustizia è, infatti, il tema cardine della residenza romana di Lorraine de Sagazan che nella sua ricerca esplora, sfruttando una metodologia compatibile con quella del suo teatro, l’impossibilità di considerare come unica e singolare ogni verità a favore dell’emersione di ogni possibile realtà attorno a ciascun oggetto. Entrando nello spazio, ogni spettatore attiva il ricordo di un’ingiustizia attraverso la propria presenza e può fare esperienza diretta di un materiale-reliquia il cui abbandono si auspica che sia stato, per il proprietario, un vero e proprio rituale di liberazione. Anche qui, la spettatorialità non è passiva ma engagée e in dialogo con l’opera. Tra museo, performance e rituale, Monte di pietà è un’ulteriore prospettiva sul teatro e sulla performance come spazio di relazione che connette il piano individuale a quello collettivo. 

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Una linea storta tesa, ph. Daniele Molajoli.

Nell’ambito ampio e multidisciplinare della teatralità contemporanea ci sono esperienze che più di altre sembrano ritrarre avvenimenti, pensieri, memorie ed esperienze con una grazia dotata di una forza tutta particolare. Di fronte alle due opere di Lorraine de Sagazan questa è stata la mia prima impressione. Vi ho trovato un’energia creativa articolata e profonda sia nella forma sia nel contenuto, libera da preconcetti o modelli relativi all’essenza stessa della performatività, alla sua ontologia. Dalle sue opere emerge una domanda fondamentale, che si interroga su ciò che il teatro e la performance oggi possano o addirittura debbano essere, e a che tipo di bisogni collettivi e individuali siano chiamati a rispondere. Si tratta di una domanda viva più che mai. Vissuto, creato e distribuito come strumento sociale oppure politico, estetico, rivoluzionario, eclettico, d’intrattenimento, di ricerca, di repertorio o altro ancora – a volte giudicato troppo scontato, altrettante volte troppo elevato – il teatro di questi tempi sembra avere una spiccata tendenza verso una marcata complessità che provo crudamente a definire ‘d’utilizzo’. È possibile concordare sul fatto che gli usi del teatro sono oggi più numerosi, difficili da inquadrare e misteriosi dei suoi stessi linguaggi? 

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Una linea storta tesa, ph. Daniele Molajoli.

Di fronte alla crisi climatica, a guerre ingiuste, discriminazioni, sfruttamento e povertà di ogni genere è opportuno e saggio chiedersi: a che cosa serve il teatro? O meglio, che cosa ce ne facciamo realmente? Per coloro che di teatro vivono la maggior parte della propria vita o hanno avuto l’opportunità di incontrarlo, la risposta a queste domande è positiva. Ecco una buona notizia: il teatro, in qualche modo, ‘serve’, fornendo a questa contemporaneità dolente strumenti utili e potenti. Ma tutti gli altri? Non sono pochi. Qui, la risposta, purtroppo, rischia di essere dolorosa, e chi si trova nell’altro gruppo non ha ragione di pensare di essere parte di una maggioranza. C’è, tuttavia, una certa speranza cui fare appello. In mezzo a un disorientamento che forse, per sua stessa natura, non è possibile né conoscere né risolvere fino in fondo, alcune proposte artistiche, come quelle di Lorraine de Sagazan, sembrano restituire risposte inattese e improvvisi allargamenti di campo, generando così nuove intuizioni. Il teatro trova ossigeno nella connessione col mondo, il mondo, si spera, possa continuare a fare lo stesso.  

L’ultima immagine, di Daniele Molajoli, ritrae la regista Lorraine de Sagazan.

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