Ada d’Adamo, la danza, la scrittura 

7 Aprile 2023

Per ricordare, per celebrare la vita di Ada d’Adamo (1° settembre 1967- 1° aprile 2023) non ci sono parole più potenti ed esatte di quelle che lei stessa ci ha lasciato. Nel corso della sua vita, Ada, che mi permetto di chiamare confidenzialmente col suo nome in virtù del rapporto di amicizia che ci ha legate, ha scritto e si è occupata di danza, soprattutto. Tuttavia, dallo scorso mese di gennaio, ovvero dall’uscita del suo romanzo Come d’aria, edito da Elliot Edizioni e attualmente in corsa per il Premio Strega, è come se non solo la sua preziosa scrittura, ma tutta la sua persona, e di conseguenza la sua vita, avessero iniziato ad andare incontro a una nuova dimensione. Non mi riferisco di certo a quella della morte, prematura e dolorosa, che crudelmente ci priva di una donna straordinaria, ma a una nuova luce, un’altra ancora, che Ada d’Adamo ha saputo emanare da sé, dalla propria vita intensamente intrisa di difficoltà quotidiane e sofferenza. 

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Di Ada oggi ricordiamo un universo intero, fatto di tanti diversi elementi, fronti di impegno e di interesse, che per dominatore comune hanno la scrittura. Ci sono i suoi scritti specialistici di danza tra cui il saggio dedicato a La Sagra della primavera dal titolo Danzare il rito. Le Sacre du Printemps attraverso il Novecento (1999), e molti altri in cui si è concentrata sulle opere di artisti della danza tra cui il coreografo Mats Ek – da lei recentemente intervistato nell’ambito di un convegno su Giselle che si è tenuto a Roma lo scorso mese di dicembre – Silvia Rampelli, Emio Greco, Adriana Borriello. Il suo sguardo continuerà a vivere anche in decine di libri per l’infanzia da lei curati per Gallucci Editore, con cui ha collaborato per 15 anni. Il suo sguardo ha incontrato quello di numerosissimi artisti e professionisti del mondo della cultura teatrale e coreografica. Ha collaborato con Teatro di Roma, in modo particolare durante la direzione artistica di Mario Martone, Fondazione Romaeuropa, Pav, Ente Teatrale Italiano, MAXXI – Museo per le arti del XXI secolo, Associazione Cadmo, Teatro Mercadante – Teatro Stabile di Napoli, Associazione Campania dei Festival. Nel mondo della ricerca universitaria, Ada ha collaborato con le università di Roma (La Sapienza, dove si è laureata in discipline dello spettacolo, e Roma Tre), Venezia (Ca’ Foscari), Bologna (DAMS), l’Accademia di Belle Arti di Macerata e, naturalmente, l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, dove si è diplomata.  

Durante i funerali di lunedì 3 aprile è stato più volte ricordato il suo sorriso, dolce e gentile, capace di articolarsi, come il suo corpo leggero ed elegante, in una danza sempre accogliente, affabile e raffinata, senza ombra di alterigia. 

È come se per Ada, o meglio, in Ada, la danza avesse impregnato ogni particella del suo spirito, oltre che del suo corpo. Culturalmente siamo soliti associare la figura della danzatrice, quale Ada è stata, a immagini di romantica, eterea leggiadria: è vero, chi danza di certo si eleva, sapendo sospendere il peso del proprio corpo nello spazio e nel tempo, sapendo gestire il respiro, lo sforzo, e controllando con precisione ogni dettaglio del movimento corporeo. Credo però che questo sia solo una faccia della medaglia. Chi danza, quasi sempre, impara a soffrire sorridendo. Il refrain del no pain no gain, per quanto lo si voglia definire tossico e démodé, è una realtà per la maggior parte dei danzatori. Ma, una cosa è la danza come lavoro, un’altra è la danza come forma di vita, e Ada sicuramente è stata capace di sostenere questa equazione approfondendone, nel corso del tempo, ogni sfumatura.

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Ricordo con chiarezza la commossa, disarmante meraviglia – da me malamente dissimulata cercando un appiglio nel paesaggio che scorreva fuori dal treno – mentre eravamo dirette a Reggio Emilia per assistere allo spettacolo Gli Anni del coreografo Marco D’Agostin. Novembre 2022. Una fuga di un giorno tra amiche, andata e ritorno in giornata, una misurata manciata di ore sottratte alle preoccupazioni, a quel ‘tutto’ che in Come d’aria trafigge il lettore per la sua esatta complessità, geografia dolorosamente vitale di cui Ada conosceva e gestiva ogni anfratto. Mentre eravamo in treno, dunque, col cellulare tenuto sempre sottomano, come lei stessa ha raccontato nel suo romanzo, quasi d’un fiato mi disse che il libro stava dunque per essere pubblicato. Era felice in un modo inedito. Potrei dire quasi di aver percepito, in quel momento, la possibilità di una felicità essenziale, che si posizionava vicinissimo a ciò che l’ha sempre resa vitale. Nelle sue parole, l’entusiasmo di un progetto potente, giunto finalmente a compimento, del quale aveva maturato, credo, piena coscienza. Sapeva di avere tra le mani materia incandescente, non una storia da raccontare ma la storia, la sua, vissuta con un coraggio che difficilmente si riesce a inquadrare entro comuni aggettivi. I temi del suo romanzo – la maternità, l’aborto, la disabilità grave della figlia, la malattia e, più in generale, il corpo e la sua arte – conducono a territori dove si annida feroce, a volte, il giudizio, la divergenza, la controversia. Esporsi su questi argomenti può avere un prezzo. La condizione umana è molteplice nella sua unicità, ma su questi temi etici spesso vi è la pretesa di una ricetta migliore di un’altra. Eppure, in Come d’aria Ada si eleva al di sopra di tutto questo. Ada danza la sua vita, e noi con lei, leggendo, seguiamo la sua coreografia fatta di impegnativi virtuosismi, gesti quotidiani, salti, sospensioni, accelerazioni, immobilità, cadute e risalite. Ciò che le si riconosce, oggi, non è un memoir letterario riuscito, ma molto di più. La sua scrittura si situa un passo oltre la scrittura autobiografica e, alla stregua di grandi autrici come Annie Ernaux e Siri Hustvedt, compone spontaneamente il proprio oggetto letterario, scrivendo, in una prima persona cristallina e dialogica – mai richiusa su sé stessa. Ada ha scritto a partire da una condizione ascrivibile a una lunga, faticosa notte fonda, dalla quale ha raccontato la forma del buio ma anche la nascita, ripetuta e inarrestabile, di un sole interiore. Ada ha scritto di sé come si può scrivere di danza, cercando – prima – di incorporare il vissuto coreografico e ritmico del corpo in stato di danza, per restituirlo poi – il più possibile leggibile e maneggiabile, materia leggera – al lettore. 

Il libro, scritto nel corso di molti anni, dischiude le porte di un mondo, quello di Ada, della sua magica figlia Daria e della sua famiglia, dove la sofferenza e il dolore non sono mai riusciti a occupare tutto lo spazio. Ada ha messo a disposizione la propria vitalità nella relazione col mondo, con l’arte, il teatro, i libri. A ognuna di queste cose si è dedicata con un amore tale per cui a lungo, ne sono certa, si continueranno a ricordare e scoprire ramificazioni della sua presenza sofisticata e preziosa. Gli abbracci che come armature sono state il luogo dove si è ricentrata e rigenerata – quelli con Daria, in primis – ci raccontano ancora una volta come tutto, in lei, iniziasse e finisse nel corpo. Il libro, la vita di Ada d’Adamo, ora che purtroppo non è più tra noi, ci parlano della possibilità di unire in un punto preciso, due forme di conoscenza che fino a qui sono sempre state considerate come estranee o solo aleatoriamente vicine tra loro: il sapere dei corpi, al plurale, e il pensiero. Sapere emotivo e discorsivo fluiscono uno accanto all’altro, in ciò che Ada ci ha trasmesso nei suoi scritti, nel suo romanzo e attraverso la sua presenza, per chi ha avuto l’onore di incontrarla e condividere con lei una parte del cammino. È della danza la possibilità di assaggiare quella forma di esperienza, normalmente definita mistica, come esperienza interiore. Ada d’Adamo, nel suo percorso artistico e di vita, ha messo in pratica questa possibilità e, facendola, ce la ha offerta e messa, con la sua indimenticabile grazia, a disposizione. 

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