M. Delaporte e A. de la Patellière. Le Prénom

11 Luglio 2012

Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière hanno sbancato i botteghini in Francia, con il loro film ma, prima ancora, con l’omonima pièce teatrale da cui è tratto.  Ma va subito fatta una brutta nota alla distribuzione che ha stravolto immagine e titolo del film. La scelta caduta su un titolo come Cena tra amici vuole chiaramente evocare il successo, ormai datato, di La cena dei cretini di Francis Veber, anch’esso tratto da una nota pièce teatrale e anch’esso film “tutto in una stanza”. Ma la strategia distributiva, supportata anche da un manifesto ammiccante tutto corna e code da diavoletto, è sbagliata e mortificante per un film che, senza averne minimamente l’autorialità, si avvicina molto più a Carnage che non alla vecchia – e ampiamente sopravvalutata… – commediola di Veber. Questo Le PrénomIl nome, non sarebbe stato un titolo fedele ed azzeccato? Si tratta infatti di una satira divertente e a tratti caustica della borghesia francese, dei rapporti personali e famigliari.

 


 

 

Il film parte da un assunto opposto a Carnage: lì due coppie che non si sono mai viste né conosciute si incontrano e si scontrano nelle quattro mura di una casa dell’Upper East Side newyorchese finendo per massacrarsi vicendevolmente nonostante un ecumenico assunto iniziale, qui i partecipanti alla cena si conoscono fin troppo bene, sono marito e moglie, fratello e sorella, amici da più di trent’anni eppure finiscono in identica misura a rovesciarsi addosso piatti e tavolini insieme ad “orribili verità”.

L’intento di Polanski e prima di lui di Yasmina Reza – autrice del testo teatrale di origine Il dio della carneficina – era chiaramente alto e metaforico, l’isolamento dei personaggi era propedeutico all’emersione del male nonché del malessere sociale, dell’impossibile ambizione alla democrazia, dell’irragionevolezza dell’uomo, essere umano autoreferenziale e cieco, della potenza dell’odio. Polanski e la Reza hanno messo in scena la parabola dell’homo homini lupus, spazzato via ogni illusione o aspirazione al buon senso o alla buona umanità. In questo Prénom si vola molto più bassi, estremamente più bassi. L’intento è quello di realizzare una buona commedia, l’ennesima francese dell’anno, con attori brillanti e quel briciolo di intelligenza che non guasta, che riattiva la circolazione cerebrale tra una risata e l’altra. Lo spunto è molto furbo e universalmente giusto: la scelta del nome di un prossimo nascituro. La coppia “di destra” rivela il nome che vuole dare al figlio che nascerà di lì a poco e la coppia “di sinistra” – rispettivamente sorella e cognato - erompe in un “non si può”, testimone uno storico amico di famiglia che solo per poco potrà mantenere un ruolo di neutralità molto svizzero…

Uno spunto semplice quanto brillante che scatenerà una serie di situazioni che poco a poco degenereranno in una cena delle beffe più che dei cretini. Ma il finale è di conciliazione, ruffiano come gran parte del film e lontano da ogni amarezza.

 

 

Un’ottima commedia da pubblico, insomma: ben scritta, ben recitata (e va detto anche ben doppiata per una volta, seppur si perde l’amabile musicalità della querelle francese…), non stupida seppur non originale (e sull’originalità c’è proprio una “simpatica” riflessione nel film…), leggera di una leggerezza piacevole, mai volgare. La critica – soprattutto quella ad un forzato “snobismo alternativo”, al presunto monopolio della sensibilità e della cultura, tipici di una certa sinistra - c’è ed è a tratti sapida, certamente ben scandita da dialoghi brillanti e scattanti come un treno in corsa.
Questo è in Francia il cinema di largo consumo, quello che in teoria dovrebbe, produttivamente ed economicamente, aiutare il Cinema, è il cinema popolare ma intelligente e mai volgare, non ambizioso o supponente, ben fatto, non sciatto, certamente non autoriale o “da festival” – se c’è ancora una dignità della selezione festivaliera nell’era delle logiche economiche, di potere e di favore – che noi non sappiamo più fare se non per alcune rare eccezioni.

 

Nella calura di un pomeriggio d’estate è una visione che, accompagnata dal rassicurante e soprattutto fresco buio della sala cinematografica, stempera pensieri e stanchezze, fa sorridere e più spesso ridere, non irrita e non turba. Non avrete visto un capolavoro, ma vi pare poco?

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