Materializzazioni

23 Marzo 2012

Dopo il 2011 la portata del cambiamento introdotto dal Web 2.0 e dai social network è ormai accettata dall’opinione pubblica. Per non farsi trovare impreparati da quello che verrà dopo occorre confrontarsi con un dato di fatto: la rivoluzione industriale basata sull’informazione non è al suo punto di massima espansione. Anzi, è appena cominciata. Quando si parla di informatica si pensa soprattutto all’impalpabile, a nubi di dati che si spostano per il mondo comparendo sugli schermi. L’e-book è l’alfiere di questa visione, perché porta con sé immagini di scaffali dai quali scompaiono i libri e di hard-disk nei quali si moltiplicano i file. In effetti, dobbiamo prepararci alla scomparsa, o almeno alla riduzione, di supporti che abbiamo sempre dato per scontati. Questo non deve però farci sottovalutare una tendenza di natura opposta che si sta già realizzando: la materializzazione delle informazioni nel mondo fisico.

 

Qualcuno forse avrà già sentito parlare di stampanti 3D, una tecnologia disponibile da tempo che recentemente è divenuta accessibile, a costi contenuti, anche per il mercato domestico. Quelle economiche sono ancora strumenti molto grezzi, che stratificano un filamento di plastica riscaldata fino ad ottenere oggetti tridimensionali: ciò che viene prodotto è un prototipo, spesso troppo fragile o rudimentale per trovare un posto nelle nostre case. Al di là della loro utilità immediata, tuttavia, è importante considerare le stampanti 3D come la testa di ponte nella vita quotidiana della fabbricazione digitale, un modo radicalmente nuovo di intendere la progettazione, la manifattura e l’utilizzo degli oggetti. Sempre di più, le sedie, le lampade e molti beni di consumo saranno informazioni che si spostano attraverso il Web sotto forma di file, divenendo poi oggetti grazie a piccoli macchinari in officine delocalizzate nelle quali lavoreranno fianco a fianco i nuovi artigiani tecnologici – ingegneri, designer, programmatori e lavoratori manuali.

 

In architettura sta prendendo piede il computational design, la progettazione tramite algoritmi che sono in grado di tenere in considerazione enormi moli di dati sull’ambiente, sui consumi energetici, sulle condizioni climatiche; in questo modo, gli edifici hanno la possibilità di integrarsi con le ecologie ed i processi di produzione di cui fanno parte. Cosa altrettanto importante, la standardizzazione degli elementi di costruzione sembra volgere al termine, perché la fabbricazione digitale è in grado produrre ogni parte di una struttura come un unico che si relaziona con la totalità: è anche da questo che nascono le futuribili architetture “free form” tanto di moda negli ultimi anni, nelle quali ogni singolo pezzo è diverso dagli altri, eppure rientra nel progetto complessivo.
 

Se ancora non ci si è abituati ad Internet, pensare all’Internet delle Cose può essere penoso: eppure anche in questo caso si tratta di qualcosa che sta già crescendo attorno a noi. Ne sono un esempio due dispositivi ormai familiari: l’RFID- la targhetta che viene inserita nei vestiti come antifurto - ed il QRCode- il mosaico di quadratini bianchi e neri che compare sempre più spesso su copertine di quotidiani e manifesti, che inquadrato con uno smartphone fornisce sullo schermo alcune informazioni aggiuntive. Entrambe queste tecnologie rendono possibile la Internet of Things, l’assegnazione di un identificativo unico agli oggetti, tracciandone gli spostamenti e le relazioni con luoghi e persone. Nell’immediato futuro sempre più cose comunicheranno con l’esterno, permettendo di sapere molto della loro storia (qual è la filiera di questo cibo?), del loro smaltimento (che fine farà la mia spazzatura?) e dei loro proprietari (chi lo sta usando, e perché?).

Su una scala ancora più grande, forti interessi si stanno muovendo attorno alle smart cities – le città intelligenti: spazi nei quali grandi archivi dati sui flussi urbani, sul traffico dei privati e delle merci, sulla pubblica amministrazione saranno disponibili in tempo reale su qualsiasi telefono cellulare.

 

Guardare a queste trasformazioni come puri fatti tecnologici non ci porterà da nessuna parte. Al contrario, si tratta di cambiamenti che rivoluzioneranno alla base tutto il nostro mondo. La cultura non è solo nei libri, ma è anche negli oggetti e nel rapporto che stabiliamo con essi. Gli edifici, gli oggetti e le città degli anni a venire saranno degli ibridi di immateriale e materiale, fatti di informazioni che prenderanno corpo nello spazio fisico. Saranno cose che parlano con noi, e di noi.

 

Le nostre città sono state modellate dall’industrializzazione del ‘900. Come cambieranno con i mutamenti della logistica di un mondo basato (anche) sulla manifattura distribuita? Come si trasformeranno i nostri lavori, le nostre vite? Quali nuovi diritti saranno il campo di battaglia? La guerra del copyright si inasprirà ulteriormente? Quali saranno le conseguenze per la sostenibilità economica ed ambientale? Gli spazi per la fabbricazione digitale diventeranno diffusi come le biblioteche?

 

È il momento di iniziare a pensarci, per non farsi cogliere di sorpresa da un futuro che è già quasi presente.

 

 

Bertram Niessen

twitter: @bertramniessen

http://b3rtrtamni3ss3n.wordpress.com

 


 

Questo articolo era stato scritto per uscire in concomitanza con l’evento World Wide Rome del 9 Marzo 2012, il primo grande evento pubblico italiano centrato sulle pratiche dei Makers, dei Fablab e dei DIY Tecnologico. Per una serie di vicissitudini il pezzo non è uscito in tempo, ma crediamo che valga la pena di riproporlo qui. In seguito di WWR sono usciti alcuni articoli molto interessanti che potete leggere se volete approfondire, come quello di Riccardo Luna su Repubblica e quello di Massimo Menichinelli su Domus. In Italia (e in italiano) il tema è ancora poco trattato, ma per fortuna le cose iniziano a muoversi. Tra gli altri approfondimenti possibili: qua un’intervista realizzata con Marco Mancuso a Marc Grimes di Maker Faire Africa nel 2010; qua un’intervista del 2010 a Michel Bauwens, realizzata con Zoe Romano; e, per chi legge l’inglese, il fantastico libro di Cory Doctorow Makers, liberamente scaricabile in Creative Commons.

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