Palermo: morte annunciata di un museo
Se la ormai globale Biennale fever non sembra dare segni di remissione – solo per rimanere in Europa, dopo quelle di Venezia e di Salonicco si è appena chiusa la Biennale di Lione mentre monta l’attesa attorno a quella di Berlino – a mostrare preoccupanti segnali di fragilità, se non addirittura di clamoroso cedimento è, in Italia, il sistema dei musei, dei musei d’arte contemporanea, specialmente. Il caso recentissimo del museo Riso di Palermo, della cui chiusura per mancanza di fondi si discute da qualche giorno sulla stampa e soprattutto in rete, non senza toni aspri e fra molte ambiguità (ma che fine hanno fatto gli ingenti stanziamenti attribuiti dall’Unione Europea alla Regione Sicilia per la ristrutturazione e le attività del museo regionale di arte contemporanea? Perché il direttore Sergio Alessandro dichiara di essere impossibilitato a proseguire nella programmazione mentre l’assessore Missineo nega qualsiasi difficoltà? E in tutto questo che c’entra l'onorevole Micciché?) non è che l’ennesima conferma della condizione di incertezza in cui, ed è veramente un paradosso, vivono i musei nel nostro paese. Come purtroppo insegna l’interminabile agonia del Madre, il museo, istituzione per sua stessa natura votata anzitutto (ma non solamente) alla conservazione e quindi necessariamente stabile, non sembra infatti riuscire a rimanere indenne dai turbamenti della politica, dalle trasformazioni degli assetti amministrativi, rappresentando un facile bersaglio di appetiti particolari o, ed è lo stesso, di superficiali liquidazioni: del resto, cosa c’è di più semplice, in tempi di crisi, che accusare l’arte contemporanea e le sue case non ancora abbastanza frequentate di essere soltanto un dispendioso ornamento?
Così, smentendo clamorosamente quanti oppongono all’effimera luccicanza delle tante e persino troppo mostre l’affidabilità del museo e delle sue collezioni, frutto di un lavoro che dura e si mantiene il più possibile indipendente dalle mischie espositive, è proprio il museo ad apparire l’anello più debole del sistema, vittima in fondo della sua stessa, innegabile quanto dimenticata, qualità di spazio pubblico, di luogo di confronto e di educazione. Il museo moderno è, come ricordava Bataille, nato con la ghigliottina, e forse è proprio quella lontana origine rivoluzionaria che ancora, almeno dalle nostre parti, non gli si perdona.