Museo Laboratorio della Mente
L’aria è leggera, appena profumata di resina, nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, a Monte Mario. I manicomi, del resto, sorgevano sempre lontani dal rumore e dai troppi sguardi della città, in luoghi appartati e spesso ameni, garanzia certa di salubre segregazione e di facile omertà. Così, aspettare seduti su una panchina ombreggiata l’apertura del Padiglione sei, che dal 2008 accoglie il Museo Laboratorio della Mente, non è un tempo perduto e neppure un educato esercizio di pazienza in risposta alla cortesia persino imbarazzante degli operatori dell’UOS-Centro Studi e Ricerche Asl Roma E che, tra mille e più difficoltà, ostinatamente aprono il museo a quanti, e sono tanti, ne fanno richiesta (“Sì è mai visto il direttore di un museo che fa le visite guidate alle scolaresche?” mi aveva domandato il giorno prima al telefono il professore Pompeo Martelli, psichiatra di ferma militanza, furibondo per i fatali tagli al budget del “suo” museo). L’attesa all’esterno dell’edificio chiuso, sulla cui facciata rimessa a nuovo una piccola targa invita al rispetto, è, piuttosto, un doveroso rituale di silenzio, un intervallo necessario che dà modo di misurare in tutta la sua forza, non soltanto simbolica, il passaggio tra il fuori e il dentro dell’istituzione totale, del manicomio, in primis, e quindi del museo.
Del resto, “entrare fuori uscire dentro” è l’indicazione basagliana, quasi un mantra di irresistibile eversione, attorno a cui si è via via andata definendo l’identità sempre mutante di questo singolare museo di storie, spazio della memoria e, almeno nei progetti purtroppo non ancora pienamente realizzati, della partecipazione. Un archivio, e dunque il luogo speciale (l’eterotopia) in cui i documenti vengono processati e risignificati, che è per sua stessa natura una inarrestabile “fabbrica del cambiamento”, un laboratorio della mente, appunto, nato dalla collaborazione fra i custodi delle cronache secolari dell’ex ospedale “dei forestieri e dei pazzerelli” e della storia della psichiatria in Italia, e gli artisti di Studio Azzurro, autori negli ultimi anni di importanti progetti espositivi temporanei o permanenti, musei dialoganti concepiti, come accaduto per il Museo Audiovisivo della Resistenza a Fosdinovo, innanzitutto come spazi di libertà e di un ascolto selettivo. E infatti, una volta aperte le porte del Museo Laboratorio della Mente, al pubblico si presenta non un repertorio di cimeli e di sinistre memorabilia ma un soggettivo itinerario di conoscenza, un percorso di individuale, sinestetica esperienza. Un’esperienza intellettuale quanto emotiva, perché è nell’empatia che il visitatore, mai occasionale, affronta l’immersione in un museo che non chiede di essere visto ma vissuto, in un sentire che si riflette e che riflette, che osa la vertigine dell’alterità, di una follia che è creatrice di mondi e di visioni, capace di produrre suoni e segni ambigui, spaventosi ed incantevoli, impertinenti, mai davvero estranei. Attraversare le stanze del Museo Laboratorio della Mente, i corridoi e le celle trasformate dalla tecnologia interattiva e accogliente di Studio Azzurro come pure dai passi indisciplinati, dalle voci e dalle parole diverse di chi ora nel padiglione si muove senza disperazione, significa alla fine compiere un viaggio che non conduce, però, ad una rassicurante redenzione ma alla durezza della coscienza, a un pensiero complesso e lucido che non è distanza dalla malattia ma responsabilità e partecipazione alla cura.
Gli oggetti personali, relitti terribili e commoventi, i macchinari e gli strumenti agghiaccianti che testimoniano di una medicina crudelmente fiduciosa, i volti senza pace ritratti in lapidaria fotografia o in pittura pietosa, le testimonianze digitali, le interviste e i racconti di chi nel manicomio ha vissuto, infermiere o paziente, recluso, che si manifestano sui tavoli narranti attraverso il tocco delle mani, più che essere i contenuti del museo, la sua collezione da esporre e mostrare, sono le tracce attraverso le quali ciascuno può ricostruire il senso di un passato che ci riguarda (ci guarda di nuovo e ci concerne). Di un presente che è fatto anche e ancora di contestazione, di rifiuto di ogni facile, strumentale omologazione perché il Museo Laboratorio della Mente in fondo “aspira a essere ‘un portatore sano’ della qualità della diversità”.