Speciale
Poesia. Profezia
Sono trascorsi quarant’anni dalla notte tra il 1° e il 2 di novembre in cui Pier Paolo Pasolini è stato assassinato a Ostia, un tempo lungo e insieme breve. La sua figura di scrittore, regista, poeta e intellettuale è rimasta nella memoria degli italiani; anzi, è andata crescendo e continua a essere oggetto di interesse, non solo di critici e studiosi, ma anche di gente comune. Pasolini è uno degli autori italiani più noti nel mondo. In occasione delle celebrazioni promosse dal Comune di Bologna, dalla Fondazione Cineteca di Bologna, e all’interno del progetto speciale per il quarantennale della morte, che si articola in un vasto e ricco programma d’iniziative nella città dove Pasolini è nato e ha studiato, doppiozero, media partner, ha scelto di realizzare uno specifico contributo. Si articola in tre parti. Dopo la pubblicazione d’interviste disperse, di lettere di scrittori e saggisti indirizzate a PPP, oggi inauguriamo la terza e ultima: la ripubblicazione di una serie di testi poetici particolarmente attuali scelti curati e introdotti da Marco A. Bazzocchi
Libro delle croci si chiamava l’ultima sezione di Poesia in forma di rosa. Erano calligrammi, cioè testi che riproducevano, attraverso la lunghezza variata dei versi, la forma della croce: una forma prediletta, se è vero che col segno della croce si chiude Accattone, sulla croce muore Stracci, protagonista della Ricotta, con le braccia legate a croce muore Ettore in Mamma Roma. La croce è il luogo del sacrificio, ma il punto che si trova all’incrocio dei due bracci è un punto messianico: da lì il tempo ricomincia, la Storia riprende il suo corso. Lo aveva detto Walter Benjamin, sovrapponendo marxismo e Talmud. Ora Pasolini pensa che l’umanità si trovi a un nuovo inizio, immagina che (tra il ’63 e il ’64) sia finita un’epoca e se ne annunci un’altra, che lui chiama Nuova Preistoria o anche Dopostoria. E la prima poesia delle croci si intitola La nuova storia. Pasolini si raffigura come un’anima che vola al Nord, fino a Milano, e scorge un panorama di grattacieli, gente nuova che guarda al futuro e che afferma la propria posizione di borghesi, padroni del mondo. L’anima a questo punto si riduce a un pezzo di giornale sbattuto dal vento tra i piedi dei nuovi padroni, gli angeli che attraversano le strade di questa nuova Città. Profezia è il proseguimento e il rovesciamento della Nuova storia. Anche qui c’è un movimento improvviso che dal Sud sale verso il Nord, ma è un movimento di masse, di corpi giovani. All’inizio vediamo un giovane solo, un “figlio” che si trova in Calabria, e vede un mondo arcaico ormai abbandonato. Questo figlio non sa nulla di coltivazioni, di aratura, di case di fango. Ormai lui pensa ai suoi fratelli del Nord, ai ragazzi operai che combattono per altre cose, per i loro diritti lavorativi e salariali: la Storia si è spostata dal Sud al Nord. Ma improvvisamente – e qui inizia la “profezia” – il movimento si inverte: altri giovani arrivano dal Sud del Mediterraneo, si imbarcano ad Algeri guidati da Alì, un arabo con gli occhi azzurri. E questi milioni di giovani sono come i Greci che una volta sbarcarono in Calabria: arrivano a Crotone, a Palmi, e portano con sé il “germe della Storia antica”. Questa massa di umili, di deboli, di sudditi, scende in un mondo dove sta per iniziare la Nuova Storia, sono angeli che portano distruzione. Non assomigliano all’Angelo malinconico di Benjamin che guarda alle macerie del passato e vorrebbe riscattarle, cioè salvarle dall’oblio. Sono giovani distruttori, e vengono a rapinare, a uccidere, a espropriare, cioè vengono per portare ai nuovi borghesi l’ultima speranza di libertà: «distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe / della Storia Antica». Il Papa dal sorriso buono (Giovanni XXIII) li accoglierà e si unirà a loro («nel suo dolce, misterioso sorriso di tartaruga, capirà di dover essere la Guida dei Miserabili»), accompagnandoli verso il Nord e l’Ovest dell’Europa.
Pasolini ha appena letto il libro di Fanon sui Dannati della terra, che esce con la prefazione di Sartre. E Sartre viene esplicitamente citato come colui che ha insegnato all’autore la storia di Alì, il giovane arabo che convive qui con un Papa buono, astuto al punto da sventolare con lui le bandiere rosse di Trotzky. Per l’ultima volta questo colore si depone sui versi di Pasolini. Gli anni cinquanta sono finiti, finito non solo un decennio ma un’intera epoca. E allora si può sognare una rivoluzione, facendola passare nello spazio stretto che separa la storia finita da quella che deve iniziare: sotto la forma violenta dell’invasione, della discesa dalle navi di nuovi barbari coperti di stracci e di pidocchi. Un incubo per l’Europa borghese, Sartre compreso. Una paura anche per i marxisti italiani, che pensano ormai alle sorti della classe operaia e non più ai contadini del Sud. Una paura che si ripete a scadenze regolari, e impedisce di guardare con lucidità ai rivolgimenti della storia. Ma Pasolini sa che la sua profezia ormai non funziona, che bisogna interromperla. Lo scrive in alcuni versi non pubblicati, dove ammette di non poter andare avanti con la profezia, perché ormai la poesia è diventata un ingombro, e lui si rende conto di non conoscere il passato né di possedere realmente il presente. L’unica possibilità che gli è concessa è di denunciare la sua condizione di profeta diseredato, di Cassandra sfiatata. La vitalità dei giovani pirati arabi si capovolge nella disperazione del marxista deluso.
Marco A. Bazzocchi
Profezia
A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri.
Era nel mondo un figlio
e un giorno andò in Calabria
era estate, ed erano
vuote le casupole,
nuove, a pandizucchero,
da fiabe di fate color
delle feci. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne. Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
scuoteva paglia nera
come nei sogni profetici:
e la luna color delle feci
coltivava terreni
che mai l'estate amò.
Ed era nei tempi del figlio
che questo amore poteva
cominciare, e non cominciò.
Il figlio aveva degli occhi
di paglia bruciata, occhi
senza paura, e vide tutto
ciò che era male: nulla
sapeva dell'agricoltura,
delle riforme, della lotta
sindacale, degli Enti Benefattori,
lui. Ma aveva quegli occhi.
La tragica luna del pieno
sole, era là, a coltivare
quei cinquemila, quei ventimila
ettari sparsi di case di fate
del tempo della televisione,
porcili a pandizucchero, per
dignità imitata dal mondo padrone.
Ma non si può vivere là! Ah, per quanto ancora, l'operaio di Milano lotterà; con tanta grandezza per il suo salario? Gli occhi bruciati del figlio, nella luna, tra gli ettari tragici, vedono ciò che non sa il lontano fratello
settentrionale. Era il tempo
quando una nuova cristianità
riduceva a penombra il mondo
del capitale: una storia finiva
in un crepuscolo in cui accadevano
i fatti, nel finire e nel nascere,
noti ed ignoti. Ma il figlio
tremava d'ira nel giorno
della sua storia: nel tempo
quando il contadino calabrese
sapeva tutto, dei concimi chimici,
della lotta sindacale, degli scherzi
degli Enti Benefattori, della
Demagogia dello Stato
e del Partito Comunista...
...e così aveva abbandonato
le sue casupole nuove
come porcili senza porci,
su radure color delle feci,
sotto montagnole rotonde
in vista dello Jonio profetico.
Tre millenni svanirono
non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell'aria malarica 1'attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano, lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
Quasi come un padrone.
Ti porterebbero su
dalla loro antica regione,
frutti e animali, i loro
feticci oscuri, a deporli
con 1'orgoglio del rito
nelle tue stanzette novecento,
tra frigorifero e televisione,
attratti dalla tua divinità,
Tu, delle Commissioni Interne,
tu della CGIL, Divinità alleata,
nel meraviglioso sole del Nord.
Nella loro Terra di razze
diverse, la luna coltiva
una campagna che tu
gli hai procurata inutilmente.
Nella loro Terra di Bestie
Famigliari, la luna
è maestra d'anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall'Africa e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. (Se egli non sorride
è perche la speranza
per lui non fu luce ma razionalità.
E la luce del sentimento
dell'Africa, che d'improvviso
spazza le Calabrie, sia un segno
senza significato, valevole
per i tempi futuri!) Ecco:
tu smetterai di lottare
per il salario e armerai
la mano dei Calabresi.
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camice americane.
Subito i Calabresi diranno,
come malandrini a malandrini :
"Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio !"
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica,
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantarono
ai massacri dei re,
essi che ballarono
alle guerre borghesi,
essi che pregarono
alle lotte operaie...
...deponendo 1'onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l'onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri — usciranno da sotto la terra per rapinare — saliranno dal fondo del mare per uccidere, — scenderanno dall'alto del cielo per espropriare — e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita —
per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà —
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
— distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l'Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento...
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