Speciale

Poesia. Un affetto e la vita

31 Ottobre 2015

Ho un affetto più grande di qualsiasi amore

su cui esporre inutilizzabili deduzioni –
Tutte le esperienze dell'amore
sono infatti rese misteriose da quell'affetto
in cui si ripetono identiche.
Sono legato ad esso
perché me ne impedisce altri.
Ma sono libero perché sono un po' più libero da me stesso.
La vita perde interesse perché si è ridotta a un teatro
in cui le fasi di questo affetto si svolgono:
e così ho perso l'ebbrezza di avere strade sconosciute
da prendere ogni sera
(al vecchio vento che annuncia cambiamenti di ore e stagioni).
Ma che ebbrezza nel poter dire: "Io non viaggio più".
Tutto è monotono perché in tutto non c'è altro
che un certo luccichio di occhi,
un certo modo di correre un po' buffo,
un certo modo di dire "Paolo", e un certo modo
di straziare a causa della rassegnazione.
Ma tutto è messo in forse dal terrore che qualcosa cambi.
In ogni amore c'è una fusione tra la persona che si ama
e qualcun altro: ma ciò è naturale. Nell'affetto
ciò sembra invece così innaturale:
la fusione avviene a tali profondità
che non è possibile darne spiegazioni, trarne motivi
per congratularsi, comunque essa sia, della propria sorte.
La tenerezza che tale affetto impone
al profondo, non conduce a fecondare
né a essere fecondati, anche se per gioco;
eppure si soccombe ad esso
con lo stesso senso di precipitare nel vuoto
che si prova gettando il seme, quando si muore
e si diventa padri. Infine (ma quante altre
cose si potrebbero ancora dire!),
benché sembri assurdo, per un simile affetto,
si potrebbe anche dare la vita. Anzi, io credo
che questo affetto altro non sia che un pretesto
per sapere di avere una possibilità – l'unica –
di disfarsi senza dolore di se stessi.

 

Maria Callas sul set di Medea, 1969

 

 

Nella sua penultima raccolta di poesie, Trasumanar e organizzar, Pasolini decide con determinazione di accentuare la distanza ma anche la compresenza tra poesia pubblica e poesia su episodi privati, a volte intimi. Qui, nella sfera privata, compaiono due figure predominanti, Maria Callas e Ninetto Davoli, due presenze fondamentali nella vita dell’autore tra il 1968 e il ‘71. Non è casuale che, insieme, formino una specie di triangolo famigliare, anche se poi il sistema dei rapporti sconfessa qualsiasi immagine di famiglia tradizionale. Pier Paolo, Maria, Ninetto: Pasolini si muove intorno a questi tre nomi, li assume come oggetti di meditazione, si rivela a loro e a se stesso a volte senza nessun filtro letterario (come avviene in questo testo). Eppure spesso, a fianco di strutture discorsive semplicissime, convivono stilemi e immagini criptiche, con altro tasso di letterarietà (soprattutto nelle composizioni per la Callas). Pasolini esce ed entra dal codice poetico, lo infrange e lo riabilita, senza adottare nessun tipo di stabilità riconoscibile.

 

Nel rapporto con Maria, Pasolini si dichiara un figlio che non ha mai conosciuto, o voluto conoscere, il ruolo paterno. Maria, che è stata abbandonata da Onassis, è una donna adulta ma anche una bambina spaventata dal presente. E proprio perché ha perso un marito-padre adesso cerca in Pasolini, che la ha trasformata nella madre più sanguinosa del mondo antico (Medea), un uomo adulto con cui ricostruire un rapporto (la Callas era nata nel ’23, Pasolini nel ’22, erano coetanei, e anche la loro morte avviene in tempi ravvicinati, il ’75 per lui, il ’77 per lei). Il poeta, che ammira questa donna come una vera Regina, una creatura capace di vivere grandi passioni senza mai abbassare il capo, spiega a Maria che lui non può diventare un vero oggetto d’amore, dal momento che la sua condizione gli impedisce di sapere come si diventa un Padre, cioè come si consuma un rapporto erotico con una donna. Pasolini mette in luce la parte che gli manca, la maturità che gli consentirebbe di poter abitare, insieme a Maria, la Città fondata dal Padre. La città santa è il titolo della sezione del libro dove si trovano quasi tutte le poesie per la Callas. In una di queste, Pasolini le dice «La tua cultura è paterna; e dunque credi che lo siano tutte». Mentre lui, omosessuale, ha conosciuto il mondo con gli occhi della madre, e come tale lo vede. Se Maria pensa che la legge del Padre sia quella a cui bisogna obbedire, Pier Paolo invece sa (per via materna) che «chi obbedisce è destinato a disobbedire». Nell’ultima poesia, la Presenza, Pasolini utilizza un’idea dell’antropologo Ernesto de Martino per spiegare le paure con cui Maria si muove nel mondo: lei vive quelle “crisi della presenza” tipiche del mondo primitivo, quando gli individui di fronte al dolore insostenibile pensano di perdere la coscienza del proprio sé. Maria, «atterrita dal sospetto di non essere più», riesce a recitare da Madre e da Regina, anche se sa di essere una bambina e come tale ha bisogno di un uomo che le faccia da fratello.

 

La presenza di Ninetto bilancia, nell’insieme del libro, quella della Callas. I testi dedicati a lui fanno parte di una sezione dal titolo Piccoli poemi politici e personali, dove Pasolini scherza con le iniziali del suo nome: P.P.P. Di fronte a Ninetto, che è entrato nella sua vita nel ’64, quando girava Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini deve ancora una volta fare i conti con l’idea di virilità e di paternità. Anche in questo caso non vuole assumere una posizione da uomo adulto, non vuole essere Padre, cerca di uscire dalle strettoie di uno stereotipo. Il sentimento di “affetto” viene caricato di valore in contrasto con quello più generico di “amore”. Pasolini ridefinisce i contorni e i rapporti dei due sentimenti: l’amore viene messo a un livello inferiore rispetto all’affetto, ed è l’affetto ad acquisire le caratteristiche attribuite solitamente all’amore: «tutte le esperienze dell’amore/ sono infatti rese misteriose da quell’affetto/ in cui si ripetono identiche».

 

L’intero componimento diventa così un ragionamento a voce alta con cui l’autore cerca di chiarire- innanzitutto a se stesso – perché l’affetto è superiore a qualsiasi altra forma di amore. E come questo affetto ha modificato radicalmente la condotta di vita di chi sta parlando. Potremmo pensare anche qui, come nei componimenti per Maria, alla ripresa di un tema dalla filosofia di Spinoza (Pasolini fa comparire Spinoza in una scena di Porcile, dove avviene un dialogo tra il filosofo olandese e il giovane Jullian). Deleuze spiega che in Spinoza affectus è la variazione continua della forza di esistere, prodotta sul soggetto dalla sua percezione del mondo e delle idee prodotte dagli aspetti del mondo che incessantemente si modificano. Qui Pasolini rivela come il suo comportamento sia stato modificato dalla presenza di questo affetto, e lo fa attraverso la forma retorica del paradosso: “affetto” lega all’altro ma anche libera, “affetto” rende tutto monotono ma la monotonia diventa un piacere nuovo, “affetto” non fonde le individualità ma crea un legame inspiegabile, e – soprattutto – “affetto” non significa né possedere né essere posseduti, ma anzi può spingere fino al desiderio di liberarsi di ogni cosa materiale, anche della vita.

 

Pasolini dichiara di sentirsi “legato”, ma il legame comporta in realtà la condizione nuova di essere «un po’ più libero da me stesso». La liberazione consiste in un cambiamento delle abitudini erotiche: Pasolini aveva più volte reso esplicite le modalità con cui avveniva la ricerca di corpi giovani per soddisfare un desiderio che non riesce mai a trovare requie. Adesso, all’ebbrezza della ricerca continua, si sostituisce l’ebbrezza del poter dichiarare la fine della ricerca: «Io non viaggio più», cioè il piacere si è ricondotto a un’unica strada, quella che si conosce, e che sta al posto di tutte le strade possibili che non si conoscono. L’immagine della unicità che ha preso il posto della molteplicità porta con sé quella della monotonia, e anche in questo caso una passione triste rivela il volto di una passione nuova, da cui è permeato ogni aspetto del mondo. È il volto di Ninetto, caratterizzato dai particolari che rimandano alla libera circolazione di energia vitale, gli stessi che Ninetto si porta dietro nel cinema: la luce degli occhi, il movimento irrefrenabile («un po’ buffo»), e soprattutto la virtù popolare della «rassegnazione».

 

«In ogni amore c’è una fusione tra la persona che si ama / e qualcun altro»: il verso sconfessa, attraverso la forma anomala, la reciprocità dell’amore. Cosa significa «e qualcun altro»? La fusione dovrebbe essere tra la persona che si ama e se stesso. Invece Pasolini sembra insinuare il dubbio che colui che ama, il soggetto che ama, perda la propria identità e diventi, anonimamente «qualcun altro», cioè un sé che si perde nella fusione amorosa, un sé che resta sconosciuto a sé. E poi, per rendere ancora più anomala la sua coscienza dell’affetto, Pasolini dice che nell’affetto, al contrario di quanto avviene nella fusione amorosa, il fenomeno è addirittura «innaturale», si muove in strati così profondi della personalità «che non è possibile darne spiegazioni».

 

A differenza di chi tenta di condurre l’amore omosessuale nell’ambito della normalità, Pasolini sposta il discorso dell’affetto nell’ambito dell’innaturale e dell’inspiegabile. Il ragionamento, come sempre, non segue la logica che imporrebbe il senso comune, cioè di ricondurre l’anomalo nei limiti della norma. Per Pasolini la norma (la Legge, che è sempre Legge paterna) va conosciuta e consumata fino in fondo, ed è dall’interno della conoscenza che si può aprire una prospettiva di scardinamento della Legge. Ora si tratta di affrontare l’erotismo in sé, l’aspetto concreto del desiderio. Foucault insegnava, quasi negli stessi anni, che l’attenzione per l’amore omosessuale aveva prodotto in Grecia una forma particolare di cura di sé, un sistema molto rigido di comportamenti secondo i quali colui che amava doveva (in quanto uomo adulto) trasmettere forme di sapere al giovane amato, che poteva essere posseduto solo fino a un certo momento della sua maturazione. Pasolini non ha mai rispettato le regole dell’eros classico, pur guardando con attenzione alla figura di Socrate. La sua scelta omosessuale si dirige verso soggetti che non richiedono un investimento culturale, o perlomeno non lo richiedono come condizione preliminare.

E qui, per scoprire fino in fondo le carte, Pasolini elimina qualsiasi opposizione tra colui che possiede e colui che viene posseduto, elimina anche l’ombra di un gioco di ruoli: «La tenerezza che tale affetto impone / al profondo, non conduce né a fecondare / né a essere fecondati, anche se per gioco». Anche questo è un paradosso, un ossimoro che si estende dal linguaggio alle pratiche. Né attivo né passivo, il soggetto di questo affetto resta scoperto proprio perché viene eliminato il concetto di “fecondazione”, cioè l’idea del coito con finalità procreative.

 

Dentro questo rapporto non c’è (finta) naturalezza, non c’è ipotesi di procreazione. Se il mondo ormai vuole liberare energie sessuali con il fine di creare coppie che producono e che consumano, Pasolini si rifiuta di entrare nel gioco. “Affetto” si muove su un altro piano, cerca altre forme di piacere. «Eppure si soccombe ad esso», corregge Pasolini, utilizzando per la seconda volta il pronome che non si usa per un essere umano ma per oggetti. Un «esso» che, in fine di verso, in realtà nobilita l’oggetto amato, mima le cadenze di un dialetto meridionale (Ninetto era calabrese). Si soccombe dunque anche all’affetto, dal momento che l’affetto non è sublimazione di impulsi erotici. Il verbo risuona da lontano nella memoria di Pasolini, dalle sue traduzioni giovanili di Saffo. Questa caduta nel desiderio erotico viene descritta come un precipitare nel vuoto. Ancora una volta, come nei poemi per Maria, Pasolini utilizza l’immagine del vuoto per indicare una condizione di inadeguatezza: di fronte a una donna che lo desidera, Pasolini dice che lei abita in un vuoto dominato dal Padre, che lui non conosce, ora, per descrivere il piacere che lo spinge verso Ninetto, Pasolini descrive la sensazione di precipitare nel vuoto che accompagna l’atto di gettare il proprio seme, morendo per diventare padri. «Quando si muore e si diventa padri»: così viene descritta la condizione di chi feconda col suo seme e trasmette la vita. Anche se occultato qui, in un angolo, il termine “padre” rispunta fuori, non viene del tutto censurato nel sistema simbolico del componimento. Amare un ragazzo può significare provare affetto? E l’affetto contempla l’erotismo? E se si tratta di erotismo, l’affetto contiene una componente “paterna”?

 

Sembra che Pasolini si muova senza requie tra questi dubbi, che diventano affermazioni intorno a una nuova forma di vita del soggetto che definisce i contorni di un desiderio fuori dalle regole.

L’erotismo si può ribaltare in morte. Diventar padre significa, metaforicamente, rinunciare a se stessi. E allora l’ultimo passaggio del ragionamento porta alla luce l’esito di questo desiderio: l’affetto è in realtà un pretesto che implica la coscienza di poter scegliere una morte che non prevede il dolore. L’affetto conduce alla liberazione di quel peso ineliminabile che coincide con il proprio sé. «Disfarsi senza dolore di se stessi», questo è l’esito finale del ragionamento intorno all’affetto. Non “morire”, ma mettere un altro al centro del mondo, rinunciare al proprio piacere per un altro. Ecco perché, fin dal titolo, “affetto” è una condizione che sta al pari di “vita”. “Affetto” (questo affetto) ha lo stesso peso di un’intera vita. Pasolini vuole che il componimento arrivi a porre in posizione perfettamente parallela le due idee. Ninetto, che nei film assume spesso la figura di Angelo, Angiolino, il Nunzio, è realmente l’annunciatore di una nuova vita, di una nuova pratica di vita. Come Hermes Mercurio, Ninetto è una divinità dei passaggi. Come il duende di cui parlava Garcia Lorca, è capace di far scaturire una imprevista energia che ridona vita al corpo.

 

Marco Antonio Bazzocchi

 

Questo testo fa parte del contributo che doppiozero ha scelto di realizzare, articolato in tre parti - interviste, poesie, lettere - in occasione delle celebrazioni promosse dal Comune di Bologna, dalla Fondazione Cineteca di Bologna, e all’interno del progetto speciale per il quarantennale della morte, che si articola in un vasto e ricco programma d’iniziative nella città dove Pasolini è nato e ha studiato.

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