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Scarabocchi con Altan (2). In principio fu Trino
In principio fu Trino.
È da lì che tutto nasce: non solo la lunga carriera di Altan ma anche, in senso proprio, l’origine del mondo. In queste strisce geniali si raccontano infatti i rapporti tra un piccolo dio un po' maldestro, impegnato nella creazione, ed un suo superiore, o più precisamente il suo committente, che lo incalza chiedendo continuamente informazioni sull'andamento dei lavori (al duo si aggiungerà poi Ippo, l’occhiuto ippopotamo spia del committente). Uscito nel 1974, Trino è una piccola perla di ironia e situazioni esilaranti, che tutti gli amanti del fumetto dovrebbero conoscere.
Il pretesto narrativo ricorda un racconto surreale di Primo Levi, compreso in Storie Naturali se non erro, dove Levi immagina le dispute tra alcuni dèi annoiati e competitivi, come solo i colleghi di lavoro possono essere, nel confrontarsi a tavolino sul nuovo progetto di creazione chiamato Uomo; ma la cosa in Altan assume i contorni e la comicità del migliore Woody Allen.
Così lo descrive Oreste del Buono, che di fumetti se ne intendeva, e al quale si deve, tra le altre cose, il merito di aver portato Altan sulle pagine di Linus, proprio con Trino.
"Un nasone glabro diceva a un nasone più piccolo e candidamente barbuto: 'Faccia la creazione del mondo'. 'Oggi?' domandava il barbuto. 'Le do sei giorni' diceva il Committente, molto milanesemente commendatorizio. 'Sarà un lavoraccio' bofonchiava l'incaricato. Il Commendatore, che aveva i capelli un poco lunghetti, appena traboccanti sul collo, si accendeva la sigaretta con lo zippo e diceva all'altro ammutolito: 'Il settimo giorno si riposerà'. Poi però l'incaricato si decideva a chiedere spiegazioni sulla comanda. 'Come lo vuole questo mondo?' domandava, disturbando palesemente il Committente, che accesa la sigaretta, aveva preso a leggere e diceva distratto e impaziente: 'Ci metta delle galassie, dei pianeti...’.
L'incaricato esagerava nella richiesta di informazioni: 'Ci posso mettere dei vulcani, scorpioni, bacilli e cacca?'. 'Metta quello che ci vuole, tanto lo amministrerà lei' era la risposta. 'Allora posso incominciare?' chiedeva ancora esitante l'incaricato. 'Vada, vada e si metta il cappello' era il comando e l'incoraggiamento. Il bianco barbuto si metteva in testa il gran triangolo radioso e segnaletico. "Hasta la vista' diceva, ma non combinava evidentemente granché perché, durante il successivo rapporto, al padronale: 'Allora, come va la creazione?, rispondeva 'Male'. 'Ma come! Guardi che io spendo dei soldi!’ era la reazione furiosa del Committente. L'incaricato pigolava sotto il suo triangolo: 'Ma è buio, non si vede un tubo'. 'Ma si arrangi!' protestava il Committente. 'Cosa crede, che sia italiano?' Protestava a sua volta l'incaricato."
Non si può non partire da Trino per parlare di Altan, perché è l’opera che a mio parere tiene insieme le tre anime solo all’apparenza scisse del nostro amato disegnatore: l’anima candida della Pimpa e di tante storie per bambini, l’anima disincantata dei suoi romanzi a fumetti, intrisi fino al midollo di spietatezza e cinismo, l’anima rabdomante del vignettista e battutista unico e inimitabile, che con i suoi editoriali disegnati, da oltre quarant’anni commenta e spesso anticipa la altrettanto unica e ahinoi inimitabile realtà italiana.
La satira, si sa, invecchia in fretta, figlia dell'attualità rimane incapsulata nel tempo e nel luogo dove è nata, diventando in poco tempo materia buona per gli storici. È come la carta dei giornali sui cui esce: il giorno dopo va bene per incartarci il pesce. Con Altan invece vale la legge inversa, quella del buon vino: la sua opera, a partire dalle vignette quotidiane, col tempo diventa ancora più intensa. Non solo perché politici e personaggi pubblici non vi compaiono quasi mai, ma perché la natura unica e quasi divinatoria della satira di Altan è aderente non allo spirito dei tempi ma al carattere profondo degli italiani (un po’ come Leopardi, potremmo dire). Con Altan infatti può capitare, e capita spesso nei molti gruppi facebook che ripropongono a random le sue vignette, di leggere battute di decenni fa pensando che siano appena state disegnate.
Introducendo l’edizione cartonata degli spietati ritratti dedicati dal fumettista trevigiano ad alcuni italiani straordinari, Luca Raffaelli si chiede: “Ma come si fa a far convivere due concezioni del mondo così differenti in una sola persona? In una sola coerenza? Come si fa a dire da una parte che il mondo è orrendo perché tutti si vogliono male e sono vuoti, pensano solo a sé stessi, e dall’altra dire [nella Pimpa e nei racconti per l’infanzia ndr] che il mondo è bellissimo perché ognuno ha bisogno della pienezza dell’altro?”. La risposta a mio parere risiede in Trino, che tenendo insieme i vertici all’apparenza opposti della levità e della profondità può essere letto con eguale spasso sia da grandi che da piccini (la mia piccola, ad esempio, dall’alto dei suoi nove anni lo ha letteralmente divorato).
I romanzi a fumetti di Altan, invece, diciamolo pure, non li abbandonerei distrattamente sul comodino di un bambino. Non per intenti censori, ma perché bisogna essere adulti e vaccinati (se si usa ancora questa espressione in epoca pandemica) per apprezzare la spietata rappresentazione della realtà che si compone dalle storie lunghe di Altan.
Ci riferiamo al trittico realizzato negli anni Settanta e composto da Friz Melone – variazione allucinata di Mr Magoo, dove la cecità porta il protagonista a confondere, tra le altre cose, una viscida mortadella per un bebè abbandonato – lo squassante e morboso Colombo – che senza arte né parte si fissa che deve scoprire l’America – e infine alla bellissima e cinica Ada, persa nella giungla africana tra turpi inglesi e nazisti improbabili. A questi tre fondamentali lavori andrebbe aggiunto anche Cuori Pazzi, una parodia allucinata delle atmosfere e dei drammi famigliari del cinema svedese a la Bergman.
L’insieme delle storie disegna un mondo così corrotto, ferale e hobbessiano da essere tragicamente comico, con gli stessi effetti che in quegli stessi anni un altro immenso camaleonte creativo, Ettore Scola, adottava in uno dei suoi film più insoliti e spiazzanti: Brutti sporchi e cattivi.
"Mi era venuta l'idea di creare una trilogia: il Navigatore, il Santo e il Poeta, i caratteri tipici della cosiddetta tradizione del carattere italiano” racconta Altan nel libro intervista a cura di Roberto Moisio. “Ho cominciato dal Navigatore, perché avevo letto un brano del diario del primo viaggio di Colombo dove si racconta che, appena partiti da Palos, la ciurma di pirati che la regina obbligava a fare uno o due viaggi all'anno in cambio della libertà, voleva tornare indietro. Colombo raccontava loro, alla fine della giornata, che avevano fatto tre miglia marine, quando in realtà ne avevano percorse trenta, per evitare che si spaventassero chiedendo di tornare subito in Spagna.
Lui diceva che andavano pianissimo per tenere a bada i suoi ardimentosi marinai; la storia l'avevo trovata bellissima. La vicenda si apre nelle Americhe, tra gli indios ignari del cupo futuro che li aspetta, con la nascita di un bimbo. Contemporaneamente a Genova nasce Cristoforo. I due destini si incroceranno al momento della scoperta, il 12 ottobre 1492. E una storia piena di flashback e di divagazioni: avevo una scaletta di massima, ma molti sviluppi li scoprivo in corso d'opera. È stata la prima storia lunga: dieci capitoli di dieci-dodici pagine ognuno. Provavo un gran piacere a fare questo lavoro; disegnavo fino alle cinque del mattino, senza sentire fatica.”
Lo stile grafico in queste storie è quello che conosciamo bene dalle vignette di Altan: linee spesse che compongono personaggi semplici ed espressivi. Con la differenza che abbiamo qui, quasi in ogni scorcio, una moltitudine di dettagli di contorno, non iperbolici come in Jacovitti ma sempre aderenti alla realtà, a rappresentare il perenne disfacimento del mondo: insetti brulicanti (scarafaggi, pidocchi, pulci), rifiuti e pezzi di carne marcia, lische ed ossa, e poi materia vomitata che non si riesce mai a trattenere.
Ai personaggi maschili nasuti e con palpebre calanti, volti da testuggine che si animano improvvisamente, fanno da contraltare le bellissime donne di Altan, seni prominenti e fianchi prosperosi, libere, altere e incontenibili. Ada naturalmente, ma anche la madre di Colombo e la regina Isabella, oppure comprimarie tragiche che non riescono a liberarsi dei ricatti meschini degli uomini, come Ulla che aspetta invano Puddu, il cuoco sardo, per ricadere nelle braccia di Lars.
Il bianco e nero la fa da padrone, con contrasti che richiamano l’espressionismo di Muñoz e Sampayo, ma con minore nervosismo, piuttosto con una morbidezza che rende più inquietante l’orrore.
Colombo inizia però con bellissime tavole a colori, sgargianti e pennarellosi, sull’indios Gino, che non possono non far pensare a Kamillo Kromo, la storia del piccolo camaleonte incapace di trasformarsi ma in grado di colorare il mondo, in un tripudio di sfumature e capricci cromatici che non smette di incantare grandi e piccini. Fa quindi capolino anche una natura lussureggiante in contrasto alla decadenza della città, la giungla africana o la foresta amazzonica, con animali di ogni genere che si sbranano l’un l’altro e indigeni saggi e disincantati, che rompono lo schema frusto del buon selvaggio e che sono certamente il portato di esperienze dirette del nostro in Brasile ma forse anche indirette derivanti dall’ambiente famigliare, ad esempio dai racconti del padre grande antropologo culturale.
Un originale elemento grafico unisce queste storie: una sorta di sottotitoli che trovano posto nella striscia bianca sotto le vignette. Un doppio registro che rompe la quarta parete dello spazio bianco, quello nel quale si insinua l’immaginazione del lettore per ricreare la fluidità della sequenza dalla fissità delle singole vignette. Con questo espediente Altan si comporta come se il fumetto che ci presenta fosse proiettato sullo schermo di un cinema parrocchiale, di fronte a un pubblico sagace e mai quieto, che dalla platea commenta in presa diretta ogni ingresso e ogni battuta.
Come notava Carlos Sampayo in occasione della prima raccolta di Friz Melone, “ci sono due livelli di malignità nell’opera di questo artista: quello dei suoi personaggi, ipocriti senza riscatto, e il suo proprio, che al piede di ogni vignetta rivela i meccanismi di quell’ipocrisia che egli stesso ha contribuito a creare”. Trovano così posto in questa striscia al piede delle vignette commenti ironici alle azioni dei personaggi, il nome degli stessi seguito da aggettivi sarcastici, onomatopee, traduzioni, ma anche improbabili riferimenti musicali (tra i migliori, T. Mann & his enchanted mountaneers), fino a semplici punti esclamatici con freccina verso l’alto per sottolineare un particolare del disegno.
Sono questi elementi grafico-verbali che moltiplicano vertiginosamente i punti di vista e che farebbero andare in solluchero gli studiosi di semiotica del fumetto o i sedicenti ideologi del graphic novel. Ma a noi, che non siamo né accademici né teorici, ci sembra solo l’ennesima conferma della genialità di Altan, di cui essergli perennemente grati.
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Il Festival Scarabocchi si aprirà con Francesco Tullio Altan in dialogo con Michele Serra, ore 18 al Teatro Coccia. Sabato 17 settembre h 11.30 al Cortile del Broletto Altan incontra i lettori, grandi e piccoli, firmando le copie delle sue opere.