Speciale

Tavoli | Antonio Alberto Semi

14 Aprile 2014

Millepiani di carte, stratificarsi di cartellette, fogli sparsi, appunti e alcuni libri nel tentativo di dominarli: scivolano, sfuggono all'ordine geometrico cercando il loro equilibrio a margine, sull'angolo di un lungo tavolo di legno biondo che espone i propri nodi e venature, come una tela distesa. Se non fosse per il peso specifico delle parole, il vento che da un momento all'altro potrebbe entrare dalla finestra, sottrarrebbe il senso a un familiare disordine. Da questo centro, nello studio si irradia la luce di una composta palette di colori: bianco su bianco, ocra ramato, sfumature miele o senape, il tessuto granata del tappeto che risponde a un tondo sgabello blu klein.

Due volumi suggeriscono una vita, una geografia dell'anima. Esiste qualcosa più autobiografico di una bibliografia? Le storie della Venezia di Antonio Alberto Semi, si accompagnano al suo lavoro, quello dell'ascolto e dell'analisi. Al vertice opposto, una lampada e due computer dominano lo spazio, si direbbe, lo ingombrano. Solo un calcolatore è acceso, nell'attesa il pulsare del salvaschermo crea figure spirografiche.

Come a percorrere l'asse mediana di questo albero da lavoro, sono disseminati oggetti da tasca: portafoglio, chiavi, telefono cellulare resistente, di quelli che – ricordi? – non basta toccare e sfiorare, poi gli occhiali dalla montatura esile, a riposo. Nel suo centro, con noncurante naturalezza si dispone la cancelleria in un'esuberanza contenuta di penne, evidenziatori, scotch ed elastici distrattamente raccolti. Un moltiplicarsi di oggetti, intraducibili a prima vista, si confondono e nascondono. Il fermacarte di vetro disobbedisce alla sua funzione. Semplicemente sta, accanto alle sigarette e, poco più in là, quel che resta delle sigarette, del fuoco, nel piccolo posacenere.

Tutto questo sembra raccontare una vocazione al 'ricercare' infaticabile dell'uomo, dell'analista, un 'sapere' che prende le misure del mondo nella sua quotidiana e ostinata frequentazione.
Così anche le sedute: la sua, angolare, pronta a ritrarsi, a farsi da parte come a uscire dalla cornice, per far spazio al silenzio; ad accogliere l'altro, due poltrone gemelle di velluto, viavai di corpi e ancora parole.

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