Tom Waits e il trombonepescespada

1 Settembre 2023

Nel primo dei Nove racconti di J.D. Salinger, Un giorno ideale per i pescibanana, il protagonista, Seymour Glass, invita Sybil Carpenter, una bambina conosciuta in spiaggia, a entrare in acqua con la promessa che insieme proveranno ad acchiappare un pescebanana. Lei chiede stupita: un pescebanana? Siccome non vuole passare per una sprovveduta, e siccome ha un’infatuazione per Seymour (lui ha lasciato sedere l’amica di Sybil, Sharon Lipschutz, sullo sgabello del pianoforte accanto a sé, e la cosa le rode il fegato; a sentir lei avrebbe semplicemente dovuto spingerla via), evita di indagare oltre. Quando l’acqua è all’altezza della vita di Sybil, Seymour la invita a salire sul materassino a pancia in giù. Al sopraggiungere di un’onda, per un attimo, la testa di Sybil finisce sott’acqua. La prima cosa che dice non appena riemerge è:

Ne ho visto uno.

Ne nasce questo scambio fra i due:

Cos’hai visto, amor mio?

Un pescebanana.

Santo cielo, no! Aveva delle banane in bocca?

Sì. Sei.

Nel mondo di Salinger soltanto i bambini hanno facoltà di vedere i pescibanana. A noi, gli adulti, resta la consolazione del surrealismo o, come nel caso di Seymour Glass, la sventura di essere considerati gente che fa delle stranezze (tipo suicidarsi, a fine racconto). Allo stesso ordine tassonomico del pescebanana andrebbe associata un’altra creatura degli abissi come il trombonepescespada. Nel mondo di colui che l’ha immaginato, Tom Waits, il trombonepescespada equivale a una brutale messa in scacco del reale, un tuffo che non rappresenta solo una drastica reinvenzione poetica e musicale, ma un vero e proprio atto di ricreazione del mondo. Il trombonepescespada è uno strumento che non esiste (forse), ma che Tom Waits fa imperiosamente emergere dalla buca dell’orchestra chiedendo a noi ascoltatori: aveva forse una spada sul naso?

Swordfishtrombones compie quarant’anni. Fu infatti pubblicato il 1° settembre del 1983, dieci anni dopo l’esordio discografico di Tom Waits, Closing Time, che da par suo spegne dunque cinquanta candeline. È comunemente considerato il primo disco di una trilogia completata da Rain Dogs (1985) e Franks Wild Years (1987), oltre che, appunto, il disco che ci rivelò un nuovo Tom Waits. Nei primi dieci anni di carriera era stato il nottambulo con la Lucky Strike in bocca e il bicchiere di bourbon appoggiato al pianoforte (The piano has been drinking). Cantava di barboni e di puttane, di gente sbandata o perduta in una Los Angeles memore di John Fante, di Charles Bukowski e dei noir ambientati in città. Tom Waits era insomma calato in una realtà fisica e mentale ben precisa, una realtà che tende però facilmente a farsi stereotipo. Per evitare di trasformarsi in una macchietta hipster a un certo punto decise dunque di alzare i tacchi dallo sgabello e di uscire dal bar. Swordfishtrombones fu anche l’ultimo disco che Waits incise a Los Angeles, il primo registrato con la casa discografica Island dopo gli anni passati in casa Asylum, nonché il primo autoprodotto. Prima di questo passaggio chiave a Tom Waits successero però due cose cui è bene accennare.

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La prima è che il regista Francis Ford Coppola lo invitò nella Napa Valley per parlargli di un film che aveva in testa. Coppola negli anni ’70 aveva diretto quattro film che non farebbero una ma quattro carriere: Il padrino (1972), La conversazione (1974), Il padrino – Parte II (1974), e Apocalypse Now (1979). Pensate che effetto deve fare quando Coppola vi chiama dopo un poker del genere. Tom Waits ovviamente va nella Napa Valley per incontrare Francis Ford Coppola. Il film sul quale dovrà mettersi a lavorare è One from the heart (Un sogno lungo un giorno), pellicola che si rivelerà un colossale flop al botteghino ma che meriterebbe di essere recuperata, non fosse che per la colonna sonora e il modo in cui la stessa contribuisce a definire psicologia ed evoluzione dei personaggi. Tom Waits compone infatti delle canzoni che daranno voce ai due protagonisti del film. Scrivere per un carattere femminile è un esercizio per lui nuovo (fa eccezione lo struggente incontro da bar di I never talk to strangers, un duetto con Bette Midler apparso sul disco Foreign Affairs). È un’operazione simile a comporre delle canzoni per un musical, salvo che a cantarle non saranno gli attori sullo schermo ma Tom Waits stesso e la cantante Crystal Gayle. Grazie a quella collaborazione Tom Waits finirà con lo scoprirsi anche attore di talento. In due anni, soltanto con Coppola, e in parallelo col suo mutamento di pelle sul piano musicale, girerà ben tre film: I ragazzi della 56.esima strada (1983), Rusty il selvaggio (1983) e Cotton Club (1984).

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Fotografia di Ed Kashi.

La seconda cosa che succede a Tom Waits è che sul set di Un sogno lungo un giorno incontra Kathleen Brennan, la futura moglie. Kathleen Brennan, stando al marito, è una donna che sa guidare un bulldozer. Prima di conoscerla, sostiene sempre Waits, lei lavorava in un circo, e se l’ha sposata è soltanto perché era in grado di bere una tazza di caffè con un ago da maglia infilato nel labbro. Sostiene anche che è stata la parrucchiera di Yma Sumac, all’anagrafe Zoila Augusta Emperatriz Chávarri del Castillo, la diva peruviana che negli anni ’50 fece furore grazie alle sue quattro o cinque ottave di estensione vocale. Kathleen Brennan, quanto meno dal punto di vista del marito, ha insomma statuto di entità mitologica, un’entità dalla natura mutevole e imprendibile. Di meno fuorviante possiamo dire questo, che Kathleen Brennan ha avuto un ruolo centrale nella reinvenzione artistica di Tom Waits. Fu anzitutto lei a sottoporgli Trout Mask Replica di Captain Beefheart, disco folle e allucinato inciso a fine anni ‘60, nave da traino del Tom Waits seconda maniera (sulla copertina del disco, per restare in ambito di fauna ittica, Captain Beefheart si presenta sotto forma di uomocarpa), il cui magma di blues sgangherato è quanto avremmo poi sentito diversamente declinato in tanti dischi di Waits, una virata che accanto all’ammirazione suscitò anche delle perplessità, si pensi soltanto a quella del critico Robert Christgau, il quale rimproverò alla scrittura del secondo Waits di presentarsi come, cito, una sopravvalutata espressione del grottesco americano.

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Fotografia di Guido Harari.

L’uomocarpa che si affacciava sulla copertina del disco di Captain Beefheart non aveva ancora la taratura mitologica che simili creature avrebbero assunto nelle canzoni di Waits, la cui opera potrebbe in fondo essere inquadrata in termini di una mitologia deforme dei bassifondi, un tentativo di elaborare in chiave fantastica la propria deformità rispetto al mondo. Il trombonepescespada è la mutazione favolosa di uno strumento della tradizione colta e popolare, una necessità e quasi un’urgenza per Tom Waits, proprio perché la realtà degli strumenti in uso non basta più, né più né meno di come la realtà non è mai bastata agli esseri umani. Si è scritto che il mondo sonoro di Tom Waits a un certo punto si trasformò in un’orchestra di rottami. È in parte vero, ma è altrettanto vero che in quell’orchestra di rottami c’era un’intenzione che Tom Waits riuscì a indirizzare con estrema precisione e in modo tutt’altro che residuale o deforme, facendo ricorso a qualunque oggetto gli consentisse di uscire dagli schemi riformulando le regole del gioco (bidoni della spazzatura o ossa animali, poco importava). “Le mani” dichiarò lo stesso Waits, “si comportano come dei cani. Hanno la tendenza a tornare nei posti dove sono già state. Per questo devi stare molto attento quando a suonare non è più la testa, ma le dita. Bisogna rompere con le abitudini, se ciò che ti interessa è esplorare. E io rompo le abitudini suonando strumenti di cui non so assolutamente nulla, come il fagotto o il waterphone”, e cioè uno strano strumento a metà fra il tamburo tibetano ad acqua e la kalimba africana.

Da un punto di vista musicale Swordfishtrombones esplorava un universo inedito, a tratti urticante. Fin dall’attacco di Underground l’ascoltatore è catapultato in un regno sinistro di cui non fu facile prendere le misure, un vero e proprio viaggio al centro della terra: un trombone spaesato che pare uscito a caso da un film di Aki Kaurismäki, la chitarra di Fred Tackett col caratteristico staccato dissonante che diverrà un altro marchio di fabbrica di casa Waits, una marimba e delle percussioni pestate più che suonate (“non sono un percussionista”, ha detto Tom Waits, “mi piace pestare delle cose”). Il disco è un succedersi di bozzetti o di vignette di natura assai diversa per non dire incongrua, il tentativo di disegnare la mappa emotiva di un mondo sotterraneo in tutta la sua estensione. Sul disco Waits impiegò per la prima volta degli strumenti per lui inconsueti come la marimba, i campanelli eolici balinesi, la glassarmonica (o armonica a bicchieri), il chromelodeon (un organo a canne inventato dal compositore americano Harry Parch) o la cornamusa. Per chi aveva amato il primo Tom Waits l’immersione in questo universo sonoro insolito e volutamente fuori fuoco faceva il paio con la copertina del disco: che diamine sta succedendo

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Ideata da Michael A. Russ, la copertina di Swordifishtrombones ci offre un Tom Waits che pare uscito da una pièce di Brecht o da un film di Fellini: trucco pesante, canotta e bretelle, una posa insieme ambigua e sfrontata; con lui due personaggi da circo: il forzuto Lee Kolima, già wrestler e attore (in particolare nella serie tv Viaggio in fondo al mare), e Angelo Rossitto, nano al cinema fin dai tempi di Freaks di Tod Browning, nonché candidato alla carica di sindaco di Los Angeles nel 1941. Dietro di loro, strumento alieno al pop come pochi, un basso tuba. Swordfishtrombones è uno di quei dischi che fa storia a sé e che risulta davvero difficile sistemare dentro un qualsivoglia contesto. Patrick Humphries, uno dei tanti biografi di Tom Waits, ha scritto che “era come un bimbo rapito dalle fate e abbandonato dinanzi all’uscio di casa vostra; solo in età adulta egli rivelerà le sue vere qualità, e da quel momento in poi lo amerete per ciò che egli è, non più per ciò che sostiene di essere”. All’esotismo musicale (i campanelli eolici balinesi eccetera) si sommava un esotismo geografico, o forse meglio uno spaesamento che dalla familiarità di Los Angeles, Minneapolis o St. Louis d’un tratto apriva la finestra su di un sud est asiatico fra l’onirico e il narcotico, si pensi a Hong Kong (Shore Leave) e, più avanti, anche nei dischi successivi della trilogia, a Singapore o Istanbul

Scegliere un brano rappresentativo del disco è difficile, ma la canzone che lo intitola mi sembra un punto d’approdo abbastanza sicuro. Ogni verso racconta una storia di cui Tom Waits si limita a indicare le coordinate, lasciando a noi il compito di unire i punti per creare la sagoma possibile o impossibile del trombonepescespada.

Well, he came home from the war
With a party in his head
And modified Brougham DeVille
And a pair of legs that opened up like butterfly wings
And a mad dog that wouldn't sit still

(Tornò dalla guerra con in mente una festa e una Brougham DeVille modificata. Un paio di gambe che si aprissero come ali di farfalla e un cane pazzo che non volesse saperne di stare fermo).

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Per prima cosa il protagonista si mette con una ragazza della banda dell’esercito della salvezza, una donna che suonava Dirty Water con un trombonepescespada. Anche il protagonista di Un giorno ideale per i pescibanana, Seymour Glass, era reduce dalla guerra. Dopo tanta realtà, una simile realtà, non resta che inventarsi dei pescibanana o cercare conforto fra le braccia di una ragazza dell’esercito della salvezza che suona un trombonepescespada. Seymour Glass finì suicida; Tom Waits lascia in sospeso la sorte del suo protagonista. C’è chi dice stia facendo il mambo del necrologio (che stia cioè rischiando allegramente la pelle), chi dice sia appeso a un muro, altri sostengono che non sia mai stato qui, altri ancora l’hanno visto che dormiva su un vagone merci dalle parti di Birmingham. Ad ogni buon conto:

 

If you think that you can tell a bigger tale

I swear to God you'd have to tell a lie.

 

(Se pensi di poter raccontare una storia più grande, giuro su Dio che dovresti dire una bugia).

 

In uno degli episodi della serie tv Fishing with John, l’attore e musicista John Lurie (protagonista, con lo stesso Tom Waits e Roberto Benigni, di Down by Law di Jim Jarmusch), invita Tom Waits a una battuta di pesca in Giamaica. Prima di uscire al largo i due vengono ospitati da un pescatore amico di Lurie, al quale Waits, forse per dimostrare la sua dimestichezza con la materia, chiede se gli sia mai capitato di pescare un wall-eyed pike, una sorta di luccioperca dagli occhi traslucidi e opachi. No, mai successo. E un chickenfish invece (un pescepollo), l’hai mai visto? Proprio come Sybil nel racconto Un giorno ideale per i pescibanana, il tale casca dalle nuvole: un pescepollo? Tom Waits, da quell’esperto narratore che è, sa di aver preso qualcosa all’amo: “eravamo soliti pescare un sacco di pescipollo su nell’Illinois”. E così, dopo aver determinato che uno stesso pesce può essere chiamato in modo diverso a seconda del luogo di avvistamento, salta fuori che il pescepollo in Francia è chiamato pesceformaggio. Quando poi John Lurie e Tom Waits escono in barca succede quel che doveva succedere, e cioè che a Tom Waits viene il mal di mare e gli tocca tornare sulla terra ferma. Inquadratura successiva: Tom seduto a giocare a carte in una bettola che strilla e fuma come una ciminiera.

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Pescibanana, trombonipescispada, pescipollo, pesciformaggio. Weird fishes, per dirla con i Radiohead. Dai fondali marini ogni tanto sbuca un pesce o una bizzarra creatura che nessuno ha mai visto prima. Il sito web di notizie scientifiche Live Science, fra i tanti, ogni anno pubblica un best of dei pesci più strani avvistati nel corso degli ultimi dodici mesi. Solo nel 2022 la hit parade ci ha regalato lo scoiattolo gommoso (psychropotes longicauda, simile a una banana parzialmente sbucciata), il calamaro fragoloso (histioteuthis heteropsis), la lumaca macchiata (crystallichthys cyclospilus), o un pidocchio del legno subito paragonato a Darth Vader di Guerre Stellari (Bathynomus yucatanensis). Swordfishtrombones è una bizzarra creatura venuta a galla quarant’anni fa che non ha ancora smesso di meravigliare. Allora fu un avvistamento notevole. Che il disco sia riuscito a resistere in superficie tanto a lungo dimostra che al fondo del mare ci sono ancora delle perle che attendono solo di essere avvistate da un sommergibile e portate a galla da un sommozzatore, un palombaro o, meglio ancora, dalla nostra fantasia.

In copertina foto di Mark Seliger.

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