Tutti su Marte
“Il Problema non è se l’uomo andrà su Marte, ma quando”. Il perché lo si può capire leggendo l’ultimo libro di Maria Giulia Andretta, Dalla Terra a Marte (Carocci, 2022), ed è lo stesso perché dell’ispirato, visionario (o retorico, dipende dai punti di vista) discorso di J.F. Kennedy alla Rice University del 1962, “not because it’s easy but because it’s hard”, o il perché poetico (da tutti i punti di vista) dell’immortale terzina dell’Alighieri: “Considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza.”
Molto più prosaico si legge l’invito, “Get Your Ass to Mars” sulla T-shirt di maggior successo della Aldrin Family Foundation, voluta da Edwin “Buzz” Aldrin, l’indimenticabile pilota del LEM-Eagle, il modulo lunare di Apollo 11, più che seccato con quella parte della comunità scientifica e tecnologica che avrebbe smesso di misurarsi con la soluzione dei grandi problemi, quelli “hard” di JFK: “Mi avevate promesso le colonie su Marte, invece mi ritrovo con Facebook!”.
Già nel 2019, insieme a Marco Ciardi, per il cinquantesimo del primo uomo sulla Luna, Maria Giulia Andretta aveva pubblicato un informatissimo Stregati dalla Luna. Il sogno del volo spaziale da Jules Verne all’Apollo 11. Con lo stesso spirito e il medesimo pregevole risultato l’autrice accompagna oggi il lettore nell’“affascinante avventura del Pianeta Rosso”, con quella consapevolezza (e necessaria avvertenza) di cui su queste pagine abbiamo parlato recensendo lo straordinario Quando la Terra aveva due Lune di Erik Aushpag: come della Luna, infatti, di Marte non possiamo parlare, né riusciamo a pensare, anche scientificamente, prescindendo da tutto il significato prescientifico sedimentato nei millenni e che affiora nello spirito e nell’anima di ciascuno di noi.
Fino, almeno, dal tempo dei Sumeri. Che il pianeta appaia rosso al nostro sguardo, dipende dalla ricchezza di ferro di molte delle sue rocce le quali, come accade sulla Terra, esposte all’aria si ossidano e diventano rossastre. Ma questa è conoscenza di oggi. Qualche migliaio di anni fa, quando i Sumeri prima, e poi i Babilonesi in maniera più dettagliata, puntando il naso verso il cielo videro a occhio nudo quel punto rossastro, un’osservazione che non sfuggì nemmeno agli indiani, agli antichi egizi, ai persiani e agli arabi, che è presente nel pensiero religioso islamico di orientamento sciita come nella Kabbalah ebraica e nelle culture precolombiane, quel colore rosso non poteva non legarsi al sangue e, conseguentemente, all’associazione con qualsiasi divinità della guerra, per chiunque e per ogni dove.
Ed è proprio nella Commedia dantesca che si può trovare il compendio di tutte le conoscenze simboliche del mondo antico, nel canto del Paradiso dove l’Alighieri realizza di essere entrato nel Cielo di Marte per il suo colore rosso: la quinta Sfera, governata dall’intelligenza angelica della virtù, dove sono ospitati gli spiriti guerrieri, “le cui anime formano una gigantesca croce di luce a simboleggiare la gloria di Cristo e la vittoria della Fede”.
Da sempre, in moltissimi hanno puntato gli occhi su Marte, ognuno e ogni volta vedendoci più quello che si aspettavano di vederci che lasciandosi sorprendere da un’osservazione vergine, spesso rivestendolo di convinzioni preconcette, confondendo i piani della descrizione, magari arricchendo l’esperienza con illazioni o interessanti proiezioni, come quella di Peter Anderson, che insegna Letteratura tedesca a Strasburgo, discendente di Hans Christian, i cui studi lo hanno portato a non escludere che il profilo di Claudio, l’usurpatore che nell’Amleto shakesperieano avvelena il vecchio re e ne sposa la vedova, somigli parecchio a quello di Tycho Brahe: c’era del marcio in Danimarca!
A quel tempo, nel novembre del 1600, quando le ceneri di Giordano Bruno erano disperse già da nove mesi, Brahe lascia la Danimarca per la corte di Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano, trasferendosi a Praga dove arriva un giovane e promettente assistente, Johannes Kepler. E sarà Keplero a risolvere il problema della “risoluzione” del pianeta, l’incompatibilità di quello che appariva il suo moto retrogrado con il sistema aristotelico-tolemaico. Con le tre leggi di Keplero, Marte smette di essere eccezione alla regola e diventa così possibile calcolare il suo periodo orbitale: 697 giorni, in luogo dei nostri 365. Segnala così Andretta che “la prima disputa marziana della storia era ufficialmente terminata”.
Perché di dispute si tratta, fin dai Sumeri appunto, di convinzioni suggestive quanto non dimostrate che si fanno largo tra gli stessi scienziati. Le osservazioni di Huygens, lo scopritore degli anelli di Saturno, gli permisero di calcolare il diametro del pianeta, ma realizzando per primo un disegno nel quale si vedevano le calotte polari: da qui il via alle teorie che vedevano la presenza dell’acqua su Marte, che però nel 1672 nessuno poteva “vedere”. Oggi, invece, dal 23 Gennaio 2004, le immagini della sonda Mars Express ci hanno fornito la prova diretta della presenza di un mare congelato sotto l’equatore del pianeta.
Ma torniamo a ieri. William Herschel, lo scopritore di Urano, inizialmente Giorgium Sidus, la Stella di Giorgio, in onore di Giorgio III di Inghilterra, nel 1784 pubblica un articolo dal titolo On the Reamarkable Appearance at the Polar Regions on the Planet Mars, dove erroneamente suppone che le aree scure fossero oceani e quelle più chiare terre emerse. Di qui il passo, suggestivo a dir poco, di vita su Marte fu brevissimo e come ebbe a dichiarare alla Royal Society: “… queste alterazioni difficilmente possiamo attribuirle ad altra causa se non alla disposizione variabile di nuvole e vapori che fluttuano nell’atmosfera di quel pianeta. I suoi abitanti probabilmente godono di una situazione per molti aspetti simile alla nostra”.
Dove quel “probabile” si riferisce alla “situazione molto simile alla nostra”: la presenza di abitanti, invece, si legge come evidente. E visto che i marziani ci sono, come non immaginare la necessità di mettersi in contatto? Oggi li penseremmo facili condizionamenti per il popolo credulone. Ma all’inizio dell’800 fu niente meno che Carl Friederich Gauss, il principe dei matematici, l’autore del teorema egregio, a suggerire di tracciare giganteschi segni geometrici nella tundra siberiana per mandare messaggi ai marziani.
E come lui, in quegli stessi anni, l’astronomo australiano Joseph von Littrow propose di appiccare un gigantesco incendio nelle distese sahariane in grado di bruciare kerosene per sei ore di fila durante la notte, nella speranza che il fuoco potesse essere visto dallo spazio, mentre Charles Cros, poeta e inventore francese, suggeriva di costruire un grandissimo specchio per convogliare i raggi solari e scrivere così un messaggio direttamente sulla superficie di Marte.
Il primo a parlare dei “canali” è stato il gesuita Angelo Secchi, astronomo presso la Specola Vaticana, anche se la speculazione sui canali e sulla loro origine sono legate più chiaramente ai nomi del nostro Giovanni Virginio Schiaparelli, grazie alle osservazioni del quale, dal 1879, esplode un vero e proprio Mars affaire (curiosamente legato a un equivoco linguistico, aver tradotto in inglese “canali” con canals, che è usato per le costruzioni artificiali, in luogo di chanels che indica una struttura di origine naturale: le parole contano!) e a quello di Percival Lowell che teorizzò, tra l’altro come quelle strutture fossero state costruite da civiltà avanzate e oramai prossime all’estinzione, come ultima risorsa per attingere alle riserve idriche.
Sempre alla fine ‘800 sarà Camille Flammarion, astronomo francese a pubblicare un poco ambiguo, La planète Mars et ses conditions d’habitabilité, dove non solo sostiene che vi siano forme di vita extraterrestre ma che queste ubbidiscano alle stesse leggi dell’evoluzione teorizzate da Darwin.
La tentazione sarebbe quella di riassumere tutte le altre, molte storie che l’autrice racconta, in ciò, in parte, dissuadendo il potenziale lettore dall’acquisto e dalla personale lettura, che è invece assai piacevolmente raccomandata. È un volume in cui si ritrovano le ragioni per cui Marte è diventato il luogo ideale della presenza di vita extraterrestre, un tormentone che transita di continuo fra scienza e fantascienza, mutualmente alimentate, e che ha permesso anche l’affermazione di testi che a giusto titolo appartengono alla storia della letteratura e della cultura, primo fra tutti il formidabile La Guerra dei Mondi di Herbert-George Wells, tra le righe del quale non è difficile leggere la denuncia del fenomeno del colonialismo e dell’imperialismo.
E che a sua volta è alla base di uno dei cortocircuiti comunicativi più iconici del XX secolo, il binomio Wells-Welles che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro tra gli studiosi delle comunicazioni di massa, la radio cronaca sulle frequenze della CBS del 30 Ottobre 1938, durante la quale il regista Orson Welles, leggendo passi di un adattamento radiofonico del romanzo di Wells all’interno della trasmissione serale The Mercury Theatre on the Air – alla vigilia di Hallowen, vale al pena sottolineare – scatenò il panico tra gli ascoltatori, effettivamente convinti che i marziani fossero atterrati nel New Jersey (episodio che, spiega Andretta, va inquadrato anche nella contesa di quegli anni tra carta stampata e nuovi media… e se l’argomento suona familiare anche oggi, è perché nessuno inventa mai la ruota).
Senza riassumere e anticipare, quindi, ma informando: c’è un corposo capitolo sul cinema, uno sulla letteratura cui abbiamo già accennato, dove compare anche una sorprendente Aelita di Lev Nicolaevic Tolstoj, oltre il prevedibile Ray Bradbury delle poetiche Cronache marziane; c’e quello dedicato a tutti gli altri “mass-mars-media”: come dimenticare David Bowie ma anche la moda? E c’è il capitolo sulle inevitabili e numerosissime bufale, prima tra le quali la controversia sul Volto di Cydonia, e quello sulla sfida a “stelle rosse e stelle a strisce” che Andretta aveva già raccontato con riferimento alle missioni sulla Luna e che in questo libro ripercorre con destinazione Marte.
Ci sono ritratti dei maggiori protagonisti di questa lunghissima storia, tra i quali il Percival Lowell già ricordato e l’onnipresente, quando si parla di “spazio”, Carl Sagan. In chiusura la cronaca più recente di tutte le missioni che abbiamo seguito di recente, alcune delle quali ancora attive, e con le quali ci si può collegare (per i link… al libro della Andretta), nonché l’irruzione di altre potenze missilistiche, Cina, India, Emirati Arabi ma anche dei privati, Richard Branson e Elon Musk su tutti.
C’è tutto questo, raccontato anche in maniera più che accessibile e spesso anche divertente ma, su tutto, quella consapevolezza e necessaria avvertenza cui accennavamo all’inizio: ripercorrere l’affascinante avventura del Pianeta Rosso, come recita il sottotitolo, è un esercizio di storia culturale “in quanto Marte è costantemente presente nella revisione di miti e racconti provenienti dall’antichità, letti e riletti nei contesti storici dell’epoca in cui vengono generati, ma costantemente adattati sulla base dell’avanzamento delle scoperte tecnico-scientifiche da parte dei contemporanei”.
Per tornare all’inizio: andremo su Marte perché è difficile, perché ci piacciono le sfide, da quando siamo usciti dalla savana, perché “fatti non fummo a viver come bruti”, perché siamo animati da curiosità e abbiamo perseveranza (non a caso, Curiosity e Perseverance, i nomi di alcuni degli ultimi rover che siamo riusciti a depositare sul pianeta rosso ). E vi troveremo noi stessi: “C’è vita su Marte – come esclamò entusiasta Ray Bradbury nel 1976, osservando l’inesistenza di vita intelligente dalle immagini del Viking I – Guardaci. Siamo noi i marziani!”.
I marziani fanno parte del nostro destino da quando popolano il nostro immaginario. Ora sappiamo, come Ray Bardbury aveva genialmente anticipato, che non saranno popolazioni autoctone, tanto meno gli antichi astronauti che avrebbero visitato la Terra nel lontano passato (tra l’altro costruendo piramidi e sfingi, va da sé): “saranno invece quei terrestri che, generazione dopo generazione, faranno di Marte la loro casa, diventando a tutti gli effetti, i marziani”.