Il Re è Fuso / Velli macchiati, villi titillati. Il refuso e i suoi sensi

2 Agosto 2019

«[Anziché Machiavelli] La mia macchina da scrivere aveva scritto Pacchiavelli, e l'inaspettato accadimento della romanesca voce “pacchia”, così eloquente ed espressiva nel cognome del Segretario fiorentino, non me la sento di considerarlo fortuito. Il machiavellismo è la teoria del comodismo messa in buon toscano». 

Fra macchia, pacchia e macchina, Alberto Savinio non solo teneva conto delle produzioni involontarie della sua dattilografia, non solo si proponeva di interessarne la psicoanalisi ma ne traeva anche alcune conseguenze logiche. Le trattava cioè come dati, premesse di ragionamento fra le altre. I loro lettori sanno che qui e là le opere di Savinio offrono sempre spunti del genere, per esempio nel saggio sulla Città del Sole di Tommaso Campanella dove l'autore menziona un «deificio» e decide che il neologismo è assai più adeguato del termine corretto che aveva in animo di scrivere (ovviamente, «edificio»).

È probabile che Savinio non conoscesse la leggenda medioevale del diavolo Titivillus, altrimenti forse ne avrebbe messo il nome in congetturale relazione etimologica con quello dell'autore di Belfagor arcidiavolo: velli e villi dall'uno macchiati, dall'altro titillati. L'errore non macchia forse il foglio? La leggenda vuole che il diavolo Titivillus avesse l'ingrato compito di portare all'Inferno, ogni giorno, un sacco colmo degli errori commessi dagli amanuensi. Sviluppò così l'arte di indurre in errore i copisti e questi, scaltri, anziché prenderlo a nemico se ne fecero un patrono. Non sono stato io, a sbagliare, è colpa di Titivillus!

 

A proposito di demoni, Giorgio Manganelli non è riuscito a sciogliere del tutto il mistero per cui una certa «nottataccia» di Pinocchio risulta «d'inverno» o «d'inferno» a seconda delle edizioni consultate. Questo càpita all'inizio del sesto capitolo del suo Pinocchio: un libro parallelo (Rizzoli, 1977), che corrisponde con scrupolosa esattezza parallelistica al sesto capitolo del capolavoro di Collodi. Non che Manganelli dubiti: Collodi ha certamente scritto «inverno». Ma il fatto è che anche «inferno» non ci sarebbe stato assolutamente male, visto che si era intrufolato nell'esordio di un capitolo in cui sarà questione di fuoco e membra incendiate, membra di precoce malfattore colpito da contrappasso. Un errore sapiente, dunque, che offre a Manganelli l'occasione per stendere in tre pagine un manifesto della letteratura per errore. Comincia così: «Non v'è dubbio che l'uso di un refuso come indizio interpretativo sia, dal punto di vista della corretta filologia, assolutamente mostruoso, ma, nuovamente, che è mai un libro, un testo, un autore?». Termina così: «Infine, le parole non conoscono errore. Se una parola “sbaglia” l'universo si adegua immediatamente. Ho scritto per la seconda volta “universo”, è ora che smetta».

L'«universo», ciò che è vólto all'Uno, non può occupare troppo spazio in un libro «parallelo» e in un capitolo dedicato all’errore, essendo i paralleli così come gli errori vólti perlomeno al Due (ossia al Di/verso).

 

Solo l’enigma pareggia la capacità detenuta dall’errore di dire due cose o nessuna, senza mai infilare il filo logico del discorso nella cruna dell'intenzione univoca e quindi senza mai consentire che ci vengano attaccati bottoni. Ci sarebbe anche la poesia, certo, ma a differenza di enigmatici e erratici, i poetici tendono a inebriarsi dello sregolamento dei loro sensi e rischiano così di fare brutte figure. È il caso di John Shade, il tragicomico eroe nabokoviano di Fuoco pallido, poeta che a un certo punto del suo straziato, ed equivocato, poemetto esclama: «La Vita Eterna basata su un refuso». Non si pretenda che in questa sede io spieghi come una certa «white fountain» si riveli essere una «white mountain». Dirò solo che fonte e monte sono protagonisti di due distinte esperienze pre-morte, una delle quali trascritta con l'errore fatale. Chi lo ha commesso, un vacuo giornalista, se ne compiace e lo chiama «the majestic touch», un tocco di maestà.

 

 

«Non il fragile nonsenso, ma una rete di senso», conclude il poeta, a riscattare l'opera di Titivillus dai suoi esiti più volgari. Si sa che non solo la Vita Eterna si basa su un refuso, essendo oltretutto la «scatologia» un prezioso refuso di «escatologia». Per più anni l'accurata e raffinata casa editrice F.M.R. per l'elenco telefonico di Milano ha avuto sede in via «Culo del Duca» anziché «Cino» («ul» risultava dal rovesciamento dei due caratteri «in»). Nella prima tiratura di Fondamenta degli Incurabili di Iosif  Brodskij una maliziosa macchia bianca di stampa riusciva a trasformare un «cielo» veneziano in un meno lirico «culo» (la sostituzione accade, ma per gioco e non per errore, anche in una riunione conviviale dei personaggi di Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino), mentre a proposito di russi un articolo di giornale sosteneva che lo zar Alessandro II era così appassionato dello champagne Roederer da averne, un certo anno, «orinato l’intera produzione». Questo è il genere di refusi che macchia i testi e titilla i lettori di animo fanciullo, ispirando loro cachinni vendicativi nei confronti di autori ed editori: «il Re è Fuso!». 

 

Non bisogna però lasciarsi distrarre dalla facile latenza dell'osceno o dalla tentazione nichilista del nonsenso. Le vie che Savinio e Manganelli ci indicano sono distinte e convergenti e portano al refuso che non sconcia né abroga ma aggiunge. Qualcuno lo ha infine detto: l'inclusione di un po' di «gioco», di uno spazio di manovra è l'apporto che il genere umano ha dato all'Universo. In quello spazio si dà la possibilità, ubiqua, di sbagliare e quindi di renderlo Diverso. 

 

 

Nota di Anna Foà e Marco Sodano

Il testo di Stefano Bartezzaghi è estratto da Banda Larga, Acquario, Acquario, Torino, 2019. Edizione fuori commercio.

Nasce tra Torino, Milano, e una cloud, una nuova impresa editoriale: Acquario. Libri piccoli, belli alla vista e al tatto, con uno sguardo preciso. Acquario può essere una firma a più mani, Banda Larga, e avrà un  Web Side; per presentarlo Anna Foà e Marco Sodano hanno chiesto a Stefano Bartezzaghi, Marco Belpoliti, Edoardo Camurri, Roberto Carretta, Francesco M. Cataluccio, Manuela La Ferla, Giulia Vola, di parlare del libro e altre storie. Con un omaggio a Manuzio, Fruttero&Lucentini, Rodari, Formìggini e al viandante di Bobi Bazlen. La grafica è di Paola Lenarduzzi.

A settembre uscirà il primo libro: Il poeta delle pantegane. Federico Tavan di Alessandro Mezzena Lona. 

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