Woody Allen, Irrational Man

11 Dicembre 2015

In fondo Irrational Man non è altro che il film (uno dei film) che Woody Allen sta girando da tutta la vita. È la storia dentro la quale stanno tutte le altre storie, e che di tutte le altre storie ci parla. Al centro c’è un omicidio, tutt’intorno un gioco di seduzioni e tradimenti che ricorda molto del suo cinema del passato più e meno recente – come Crimini e Misfatti, Misterioso omicidio a Manhattan, Match Point, ma anche Scoop e Sogni e delitti – e che ricorda più di tutti Magic in the Moonlight, di cui è l’ideale continuazione, aggiornata e raffinata. E non solo per la presenza, in entrambi, della nuova musa Emma Stone. L’equilibrio e la limpidezza su cui si regge Irrational Man, però, paiono davvero unici e ci restituiscono uno dei migliori film alleniani di sempre. Nell’immutabilità delle tematiche e delle situazioni narrative, emerge infatti una sorta di nuova attenzione per il racconto del particolare, non solo quello che si nasconde nelle pieghe della natura umana, come il tema del "filosofico", in maniera esplicita, vorrebbe far credere. La riflessione va a scavare al di là della forma narrativa e arriva al livello delle scelte stilistiche e formali.

 

La storia è quella di un professore universitario di filosofia, Abe (Joaquin Phoenix), dannato e un po’ blasé, che seduce, quasi suo malgrado, la bella e giovane studentessa Jill (Emma Stone) la quale, sebbene felicemente fidanzata, non resiste al suo fascino tenebroso e autodistruttivo. La liaison dangereuse che ne nasce viene messa in crisi dal bisogno atavico di provare sensazioni forti di Abe e che lo spinge fino a progettare l’omicidio di uno sconosciuto. Benché lo spunto non sia esattamente originalissimo, ciò che fa eccezione rispetto al canone alleniano è la costruzione dei due personaggi principali. Abe – diversamente dai suoi epigoni protagonisti dei film sopraccitati – nell’intraprendere l’idea di compiere un assassinio, non cede né all’ossessione molto luterana e senz’altro smaccatamente borghese dell’utilitarismo (vedi Match Point), né all’irrimediabile bisogno di essere salvato e redento (Magic in the Moonlight). Mentre Jill, che inizialmente appare come il personaggio femminile capace di liberare quello maschile dai suoi demoni, col passare del tempo finisce per divenire l’ostacolo più ingombrante tanto ai diabolici piani del professore, quanto al suo percorso di liberazione intellettuale. Più la ragazza si rende desiderabile e assume atteggiamenti seduttivi nei confronti del maestro, più si trasforma lentamente nella nemesi dell’uomo. E questo perché Allen le assegna una parte mutevole e cangiante e ne ridisegna continuamente il ruolo con l’evolversi della storia. Dapprima allieva brillante e intraprendente che si caratterizza per la mente aperta e priva di preconcetti, pian piano diventa un personaggio distinguibile non tanto per il proprio spirito ma piuttosto per il proprio corpo. E che fa breccia nel cuore di lui per il proprio agire carico di carnalità e di erotismo invece che – come apparirebbe più logico, seguendo lo svolgimento del film – per il proprio ingegno o raziocinio. E questo perché Allen costruisce un racconto che si regge sugli opposti, che spinge lo spettatore a pensare e a ragionare sul contrario di quello che vede e che mette continuamente in discussione tanto le psicologie dei protagonisti, quanto i giudizi morali che gli spettatori sono portati ad assegnare loro.

 

E se il regista non fa altro che disseminare tracce per l’inquadramento teorico del film, citando in maniera un po’ ingenua frasi sul senso della vita, della morte e del libero arbitrio prese a prestito da filosofi come Kant, Kierkegaard, Sartre e Husserl, lo fa in definitiva per dirci che la pellicola parla di tutt’altro. E che la vera chiave di lettura è la lotta fra la pragmatica e la speculazione. Atteggiamenti dei quali i due protagonisti sono l’evidente personificazione: lui per l’incapacità di guardare le cose per quelle che sono davvero e per quello che significano e lei per la concretezza che si nasconde dietro a ognuno dei suoi gesti (il fatto che sia anche un’eccellente pianista e che scelga di esercitare la più “matematica” fra tutte le arti, la dice lunga in questo senso). In fondo Irrational Man è un film sul coito interrotto, un film che pone la carnalità al centro della medi(t)azione. Un film in cui la vera contrapposizione sta fra il bisogno di un approdo alla sessualità come vero e proprio dispositivo ontologico attraverso cui l’individuo ha l’opportunità di affermarsi, e l’impossibilità di ottenerne i benefici. Abe è allo stesso tempo oggetto del desiderio (non solo di Jill ma anche di Rita, la docente di chimica) e, almeno in un primo tempo, impotente, mentre Jill sulla cui perfezione fisica Allen indugia in maniera ripetuta, è soprattutto un corpo seducente ammantato di una glacialità pudica e inaccessibile (gli abiti color carne e dalle tinte neutre che indossa la Stone non fanno che ribadire insistentemente questo concetto). Perché Irrational Man è un film fatto soprattutto di corpi, un film nel quale ad attrarre l’attenzione sono le figure corporee dei personaggi, degli attori. Phoenix che da un lato è plasmato per essere l’antonomasia fisica della dissoluzione e della tensione autodistruttiva, grasso, sfatto e fuori forma è un uomo che insieme ai tratti virili ha smarrito anche la passione. Emma Stone invece, il cui corpo è, come detto, l’incarnazione stessa del desiderio – il più elementare dei desideri – deve rassegnarsi a non trovare un corrispettivo nel quale trovare appagamento. E il regista ce lo ripete in continuazione che sono i corpi, più del pensiero, a governare la storia. Inquadrando per quasi tutto il film i protagonisti a figura intera, spesso invitandoli a riempire lentamente lo spazio e a fondersi con esso. E se in Magic in the Moonlight affermava che niente è come sembra e l’illusione domina ogni tentativo di governare la realtà, con Irrational Man ci dice che allora, in un tale universo di senso, anche le passioni più elementari, come il sesso e la morte, finiscono per somigliarsi a tal punto da confondersi l’uno nell’altra.

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