Nella testa di qualcuno / Alexander Masters, Una vita scartata

8 Febbraio 2019

La premessa di questa storia è semplice e insolita allo stesso tempo. A Cambridge, in un cantiere edile, in una zona che è ormai solo un ricordo di un frutteto, vengono ritrovati in un cassonetto 148 diari, migliaia di pagine di una scrittura fitta e, apparentemente, senza pause. Una sorta di corsa a perdifiato insieme alle parole. Il caso vuole, siamo all’inizio degli anni duemila, che a ritrovarle siano due ricercatori, che sono anche amici cari e collaboratori dello scrittore e biografo Alex Masters (già noto ai lettori italiani per Stuart. Una vita al contrario, Fazi e Un genio nello scantinato, Adelphi). Si tratta di circa duemilacinquecento parole al giorno, scritte tutti i giorni, senza mai che un giorno venga saltato. I diari vanno dal 1952 al 2001, in pratica una vita intera. Duemilacinquecento parole fanno circa cinque milioni di parole in totale. Nessuna di queste parole è il nome di chi ha scritto i diari. Chi è “Io”? È solo la prima delle molte domande alle quali Masters dovrà rispondere, scoprendo man mano che avanzano i suoi studi, a ogni tassello, che non si tratta della domanda più importante cui dare risposta. La risposta da trovare è quanto sia importante ogni singola vita, quanto luminoso e impacciato e intelligente e inconcludente e felice e infelice possa essere e poi sia ogni essere umano.

 

Ammiro da sempre i mestieri del biografo e dello storico. Studiosi che non possono fare a meno della pazienza, del rigore, dell’avvicinarsi alla polvere degli archivi; che non possono privarsi della matematica, del calcolo, dell’approssimazione. Il biografo con i suoi taccuini, con i suoi diagrammi, le mappe, gli schemi. Tutti dovremmo apprezzare la grazia e la modestia del saper ricorrere a uno schema. Immaginare un ordine, fare ordine, trovare un ordine, assecondare un ordine. Far sì che l’ordine ricostruito vada a combaciare con l’ordine dell’oggetto del proprio studio. Il biografo e lo storico sono mossi da passione e dalla necessità di comprendere. Marc Bloch afferma: “Una parola domina e illumina i nostri studi: comprendere. Non diciamo che il buono storico è senza passioni; ha per lo meno quella di comprendere. Parola, non nascondiamocelo, gravida di difficoltà, ma anche di speranze. Soprattutto, carica di amicizia.”

Sono affezionato da molto tempo a queste frasi di Bloch, mi sono tornate subito in mente appena ho cominciato a leggere la storia dei 148 diari e la storia di Masters. Il biografo che cerca di comprendere e di scoprire impiega diversi anni, come minimo, e mentre lo fa vive e scopre e comprende anche qualcosa di sé.

 

 

«I diari sono terribili bugiardi. Registrano drammi fuori contesto, incoraggiano la paranoia, riorganizzano i fatti, sono intenzionalmente prevenuti e auto assolutori, trasformano insignificanti lamentele in simboli tragici e, in particolare, sguazzano nel fatto che qualunque stupido può scrivere di depressione, ma descrivere la felicità richiede determinazione e abilità. La maggior parte dei diari sono gemiti messi per iscritto anche quando la persona che li scrive è felice.»

Non sono del tutto persuaso del fatto che – seppur in un diario – qualunque stupido possa scrivere di depressione, ma concordo col senso del ragionamento di Masters. I diari sono bugiardi e sono gemiti messi per iscritto, questi due assunti sono significativi e spiegano la difficoltà che ha avuto lo scrittore nella ricostruzione di questa vita, difficoltà anche emotiva e – naturalmente – ossessiva.

Una vita scartata (A life discarted – in originale, Il Saggiatore, trad. di Valeria Gorla) è il titolo perfetto perché prima di aprire il libro conosciamo il primo significato. Una vita eliminata, buttata via, abbandonata in un cassonetto dei rifiuti. Il secondo significato è però il più importante per lo scrittore e per il lettore. La vita di “Io” viene scartata a poco a poco, come se fosse rinchiusa in tante piccole scatole. Alcune scatole vanno nella direzione giusta, altre in quella sbagliata. I diari depistano, Masters fino a un certo punto vuole essere depistato.

 

I diari attraversano mezzo secolo, sono tutti? Quanti ne mancano? Chi li ha scritti? Masters cerca la verità e ritiene fino a un certo punto che per trovarla sia bene non scoprire chi sia l’autore dei diari, ma allo stesso tempo deve andare molto vicino a scoprirlo. Si affiderà a due esperte di calligrafia e a un investigatore privato, scoprirà che l’autore dei diari ha lavorato per un periodo in una biblioteca, che ha lavorato in case di persone ricche, che riteneva di avere talento per la musica e per la scrittura; che nessuno di questi talenti sono stati compiuti. Che è ossessionato da E., l’unica persona che pare avere amato. Che negli ultimi anni ha avuto a che fare con un certo Peter, all’apparenza un carceriere. Peter era un terribile datore di lavoro? Un infermiere? L’autore dei diari ha passato gli ultimi anni della sua vita in manicomio? Masters per un periodo consistente di tempo dà per pacifico il fatto che l’autore dei diari sia morto. E se fosse vivo? E poi si tratta di un uomo o di una donna? Dirò qui soltanto che si tratta di una donna, di nome Laura, lasciando il piacere a chi vorrà leggere il libro di scoprire il resto.

«La mia ultima interpretazione dello scopo di questi libri è che Laura non stia scrivendo per registrare la propria esistenza, sta scrivendo per proteggere il proprio cervello. […] Passa così tanto tempo a tentare di eliminare i brutti pensieri che sta eliminando la propria vita.»

 

Nel libro troveremo ampli stralci del diario, scopriremo come la calligrafia, anno dopo anno, muti, come possa essere d’aiuto al biografo anche solo la scelta dei quaderni su cui si scrive un diario. Troveremo poi dei disegni che Laura fa per descrivere le persone, le cose che le accadono e se stessa. Le pagine che più mi hanno fatto riflettere sono quelle in cui una delle esperte di calligrafia esamina i diari, è talmente scientifica da mettere quasi paura. La scrittura degli anni sessanta fa pensare a un tipo di persona, quelle del decennio dopo a un’altra ancora e così via. Le calligrafie sovrapposte ne danno una soltanto che è quella di Laura che è ancora più complessa di quello che viene fuori dalla perizia. Perché tutti noi siamo più complessi.

«I diari ci insegnano che stare dentro la testa di qualcuno è troppo. È un posto orribile. […] Ciò che succede nella testa di una persona è il contrario di ciò che fa vivere una storia.»

La vita di Alexander Master procede di pari passo con lo studio dei diari, cambierà casa più volte, parlerà con i suoi amici e collaboratori. Dido Davies la ricercatrice che si infilò nel cassonetto, amica e collaboratrice, avrà un cancro e morirà più o meno quando la luce piena illuminerà la storia di questi diari.

 

Non si può leggere questo libro senza pensare alle cose a cui teniamo. Cosa potrebbe accadere agli oggetti a cui teniamo di più, ai libri, alle cose che abbiamo scritto, alle lettere che abbiamo conservato quando non ci saremo più? O, peggio ancora, quando per qualche motivo saremo distratti e distanti, e qualcuno ce le sottrarrà, le getterà via? Ci saremo per chi, per cosa, per quanto?

Siamo tutti potenzialmente una vita scartata, abbiamo tutti qualcosa di importante o meno che potrà finire in un cassonetto e non saremo così fortunati, non passerà nessuno storico davanti a quel bidone, che non si troverà a Cambridge ma alla periferia di Mestre, di Bollate, di Giugliano o chissà dove. Masters scrive un libro bello che mette addosso molta voglia di approfondire gli argomenti che più ci stanno a cuore, di avere cura di ciò che amiamo, di averne molta cura e di averne finché siamo in tempo.

 

Alexander Masters, Una vita scartata, trad. Valeria Gorla, Il Saggiatore, 2018.

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