Il polpo e il mare / Altre menti... e la nostra
Se ce ne fosse stato bisogno, abbiamo un’ulteriore prova del fatto che solo il rispecchiamento con un’altra mente ci consente di comprendere la nostra e, forse ancor più profondamente, di averne una. Diversamente non sarebbe facile e probabilmente neppure possibile. Un artista come Michelangelo Pistoletto ci ha costruito una parte decisiva della propria poetica creando le superfici specchianti da cui si è fatto interrogare per riconoscersi. Uno scienziato come Vittorio Gallese ha gettato le basi sperimentali per giungere alla sua formulazione dell’embodied simulation come fondamento dell’intersoggettività e dell’individuazione.
In fondo siamo nel classico problema del rapporto tra mente e materia. “In che modo sapienza, intelligenza e coscienza si collocano nel mondo fisico?”, si chiede Peter Godfrey-Smith in Altre menti. Il polpo, il mare e le remote origini della coscienza, Adelphi, Milano 2018.
La nuova collana di Adelphi, Animalia, è a dir poco tempestiva per aiutarci a deporre presunzioni eccessive di primazia nel sistema vivente. Ciò non vuol dire negare distinzioni specie specifiche, ma ci aiuta a sentirci una differenza tra le differenze, soprattutto in un’epoca nella quale ritornano orientamenti e ragionamenti sulla superiorità di alcune popolazioni umane rispetto ad altre.
Le scoperte relative alla domanda di Godfrey-Smith si susseguono e aprono a inedite prospettive mentre creano nuovi dubbi e nuove domande. Recentemente ad esempio siamo arrivati a ipotizzare una importante interdipendenza tra cervello e sistema immunitario per la creazione dei processi coscienti. Appaiono, infatti, rilevanti il rapporto e il legame esistenti tra sistema immunitario e capacità del cervello di sostenere i sensi e il sentimento del mondo. “Abbiamo cinque sensi”, scrive Jonathan Kipnis, direttore del Center for Brain Immunology and Glia dell’Università della Virginia, in Il settimo senso, Le Scienze 602, ottobre 2018, “olfatto, tatto, gusto, vista e udito. Il senso della posizione e del movimento, o propriocezione, è spesso definito il sesto senso. Questi sensi riferiscono al cervello informazioni sul nostro ambiente esterno e interno, offrendo una base su cui il cervello calcola l’attività necessaria per preservare se stesso. In questi ambienti abbondano microrganismi, ed è ragionevole che la capacità di percepirli – e di difendersi da essi quando è necessario – sia centrale per la sopravvivenza. Il nostro sistema immunitario eccelle proprio in questo, grazie alla capacità dell’immunità innata di riconoscere in modo generale modelli e tipi di invasori, e al talento dell’immunità adattativa per riconoscere invasori specifici. Suppongo che il ruolo che definisce il sistema immunitario sia rivelare microrganismi e informare il cervello su di essi. Se, come ipotizzo, la risposta immunitaria è integrata nel cervello, ciò farebbe di essa il settimo senso”.
Sistema sensorimotorio e sistema della coordinazione interna, con l’evoluzione del sistema nervoso che imbocca una nuova via, assumono funzioni che saranno decisive per generare forme di vita complesse.
“La rivoluzione del comportamento osservata nel Cambriano ebbe luogo anche, in larga misura, attraverso il dispiegamento delle possibilità intrinseche in un particolare tipo di corpo”. Così scrive Godfrey-Smith, e prosegue: “Una medusa (una delle prime forme di vita) ha un sopra e un sotto, ma non ha destra e sinistra: si dice che ha una simmetria radiale. Gli esseri umani, i pesci, i polpi, le formiche e i lombrichi, invece sono tutti bilateri, in altre parole animali con simmetria bilaterale: oltre a un sopra e un sotto, abbiamo un dietro e un avanti, e quindi una destra e una sinistra” [pp. 47-48].
Sempre il corpo in movimento è il protagonista, a lungo trascurato per comprendere aspetti cruciali del nostro comportamento: dalla simmetria radiale al sistema immunitario, al sistema sensorimotorio, alla bilateralità-simmetria bilaterale; insomma ai sei lati del mondo, come li aveva chiamati Giorgio Raimondo Cardona, occupandosi di linguaggio ed esperienza, in un libro pubblicato da Laterza nel 1985.
Studiando il comportamento di altre menti rispetto a quelle umane, peraltro con l’osservazione naturalistica diretta come fa Godfrey-Smith, non solo si comprendono molti aspetti dell’evoluzione dei sistemi viventi, ma in particolare si comprendono comparativamente meglio le nostre menti di animali umani. Secondo un orientamento già proposto da Giorgio Vallortigara in un libro con lo stesso titolo di quello di Godfrey-Smith, lo studio comparato della cognizione, nato con Darwin e centrato sul tema della continuità/discontinuità dei processi mentali nelle diverse specie, ha conosciuto negli ultimi vent'anni un rigoglioso sviluppo, cui hanno partecipato discipline diverse, quali la psicologia comparata e l'ecologia, le neuroscienze e la psicologia dello sviluppo, la filosofia della mente e la biologia evoluzionistica. Partendo dalla constatazione che le menti quali oggi le conosciamo sono il prodotto di milioni di anni di evoluzione biologica, analizzando in dettaglio i meccanismi della percezione, della memoria e del pensiero negli animali e nell'uomo in un'ottica comparativa, si producono approfondimenti di particolare rilevanza scientifica. L'idea che i processi cognitivi siano prima di tutto specializzazioni adattative, cioè meccanismi foggiati dalla selezione naturale per la soluzione degli specifici problemi che gli organismi hanno incontrato nel loro ambiente, diviene fondamento per la comprensione delle menti come fenomeni naturali [G. Vallortigara, Altre menti, Il Mulino, Bologna 2000].
Si tratta di un’idea riconducibile a quella che sempre più spesso è definita “cognizione incarnata”. Di essa si possono riconoscere almeno due versioni che sono descritte efficacemente per via metaforica da H. Chiel e R. Beer [The Brain Has a Body: Adaptive Behavior Emerges from Interactions of Nervous System, Body and Environment, in Trends in Neurosciences, 23, 1997; pp. 553-557].
Secondo una prospettiva che viene definita “antica”, il sistema nervoso è il direttore d’orchestra del corpo, sceglie il programma degli esecutori e dirige esattamente il modo in cui essi suonano. Secondo un orientamento che gli autori prediligono, invece, il sistema nervoso è uno degli elementi di un gruppo musicale coinvolto in un’improvvisazione jazz, e il risultato finale emerge dai loro continui scambi”.
L’analisi comparata tra menti umane e altre menti, nel libro di Godfrey-Smith è condotta mettendo in continua tensione prospettive come quelle rappresentate dalle due metafore appena esposte. Sensibilità e azione si influenzano ricorsivamente nella nostra esperienza e si reggono su un continuo intreccio fra esperienza cosciente e esperienza inconscia. “L’idea che le nostre azioni influenzino quello che percepiamo sembra normale e familiare, tuttavia per molti secoli i filosofi non l’hanno considerata particolarmente importante”, scrive Godfrey-Smith. “Poco veniva detto, di solito, sul legame con l’azione, e ancor meno sul modo in cui l’azione influenza quanto viene percepito” [p. 101]. L’attenzione, nel tempo, è stata posta soprattutto all’autodeterminazione, al soggetto inteso come origine che si impone sul mondo. Quell’imposizione, però, ha richiesto un percorso lento e impegnativo. Ora che conosciamo qualcosa delle prime forme di espressione del pensiero simbolico, siamo in grado di renderci conto del cammino evolutivo e del rapporto tra gli antecedenti evolutivi presenti anche nelle altre specie e il nostro presente come parte del tutto del sistema vivente [cfr. An abstract drawing from the 73,000-year-old levels at Blombos Cave, South Africa, di C. S. Henshilwood, F. d’Errico, K. L. van Niekerk, L. Dayet, A. Queffelec, L. Pollarolo, in Nature, vol. 562, pp. 115-118 (2018)].
Che il simbolico e l’immateriale, linguaggio compreso, dipendano dal corpo in azione ha richiesto e richiede un impegnativo percorso di dimostrazione, soprattutto perché sembrerebbe controintuitivo. E si sa, ciò che è controintuitivo non è immediato per noi umani e, anzi, spesso richiede impegno e fatica per essere riconosciuto. Eppure, come scrive Godfrey-Smith: “I circuiti a feedback che legano le azioni ai sensi non sono presenti solo negli esseri umani; si trovano anche in forme di vita semplicissime. Diventano tuttavia più pronunciati negli animali, soprattutto perché questi possono fare più cose” [p. 103].
Entra così in gioco l’esperienza come riconoscimento del significato dell’azione. “Nell’esperienza quotidiana vi sono due archi causali:”, scrive Godfrey-Smith, l’arco sensomotorio, che lega i sensi alle azioni; e anche un arco motosensorio. Perché voltare pagina? Perché farlo influenzerà quello che vedremo. Il secondo arco non è rigidamente controllato come il primo, perché – invece che rimanere all’interno, sotto la pelle – si estende nello spazio esterno, pubblico. Nel momento in cui voltiamo pagina, qualcuno potrebbe afferrare il libro, o afferrare noi. La via sensomotoria e quella motosensoria non sono alla pari. Tuttavia il socio di minoranza – il socio trascurato, l’effetto dell’azione su ciò che percepiamo poi – è sicuramente importante. Dopo tutto, è proprio per questo che facciamo molto di ciò che facciamo: per controllare quello in cui i nostri sensi si imbatteranno” [p. 102].
L’esperienza soggettiva, emersa a un certo punto dell’evoluzione, non dipende, come sembra, dal mero funzionamento del sistema, ma dalla modulazione del suo stato, dal cogliere ciò che conta: le prime forme elementari di esperienza, probabilmente, si sono originate in quanto legate alle emozioni primordiali, al dolore e al piacere, sensazioni alle quali deve seguire un’azione. L’ipotesi è che ciò sia avvenuto nel Cambriano che, con le sue forme tanto più ricche di interazioni con il mondo, segnerebbe l’inizio della semplice esperienza. Studiare il comportamento del polpo vuol dire riconoscere alcuni aspetti del nostro comportamento per differenza. Una delle distinzioni, seppur non assoluta, riguarda il confine tra sé e ambiente. Di solito quando noi agiamo, il confine tra sé e ambiente è abbastanza chiaro. Se fossimo dei polpi questo confine sarebbe più sfumato. Per trovare in noi un’esperienza simile si può ricorrere, ci suggerisce Godfrey-Smith, alla capacità di suonare bene uno strumento musicale. In quel caso le regolazioni fini e le azioni diventano troppo rapide per essere controllate a livello cosciente.
Siccome è verosimile sostenere che la mente si è evoluta nel mare e che fu l’acqua a renderla possibile, quando gli animali strisciarono sulla terra, all’asciutto, come scrive Godfrey-Smith, “portarono il mare con sé” [p. 237]. C’è perciò, comunque, in noi la presenza di antecedenti evolutivi diffusi, anche quando la differenziazione è ampia. Basti pensare alla quantità di acqua presente nelle nostre cellule e nel nostro organismo. Ricaviamo fondamentali informazioni sulla nostra “semenza”, per dirla con Dante Alighieri, studiando animali come il polpo che pure si differenziano particolarmente da noi.
Se ci fossimo chiesti venti anni fa: “che cosa significa essere umani”, ci saremmo dati una risposta del tutto diversa da quella che possiamo darci oggi. Così come accadde con la scoperta dell’eliocentrismo nel sistema solare: a lungo e ancora oggi, una parte importante della popolazione del pianeta pensa che sia il Sole a girare intorno alla Terra. La risposta riguardante il significato di noi stessi, come funzioniamo e come diventiamo quello che siamo è fortemente centrata sull’intuizione immediata e pratica. Proprio come per la maggior parte delle nostre convinzioni e delle nostre azioni, e proprio come per la spiegazione ingenua del sistema solare. Del resto l’intuizione è potente e influenza la nostra conoscenza del mondo. Se all’alba ci mettiamo in un posto da dove si vede sorgere il sole, è intuitivo percepirsi fermi, vedere il sole emergere dalla linea dell’orizzonte e levarsi in cielo. Il linguaggio che è un elemento analizzatore del nostro modo di pensare e vedere il mondo parla chiaro: il sole sorge a est a una certa ora del mattino, recita il bollettino meteorologico. Eppure il sole non fa niente a quell’ora, se non quello che ha sempre fatto e farà per qualche miliardo di anni ancora: stare al suo posto, fermo al centro del sistema solare. Il soggetto singolo è stato ed è in buona misura l’artefice di se stesso, secondo la tradizione; l’io è un riferimento costante e rassicurante e tanto più è degno di considerazione quanto più appare stabile e coincidente con se stesso. Basterebbe riflettere sulla parola “soggetto”. Soggetto a chi? Soggetto per chi? Soggetti si diventa tra soggettivazione e assoggettamento; ovvero l’individuazione avviene nell’intersoggettività e nell’estensione al sistema vivente.
Tanto più nel momento in cui è in corso un’inedita estensione, che è riconducibile alla elaborazione del confine tra sé e ambiente: la pervasività dell’infosfera, che neutralizzando distanze e confini, crea una situazione inedita.
I mutamenti più recenti nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non hanno, infatti, a che fare soltanto con i dispositivi per la visualizzazione delle informazioni e con la loro diffusione: il cambiamento riguarda in senso più ampio il paesaggio delle informazioni prodotto dagli esseri umani, cioè l’emergere di una nuova dimensione della realtà – l’infosfera appunto – a cui Luciano Floridi associa una quarta rivoluzione, dopo quelle che tra XVI e XX secolo hanno ridefinito la posizione dell’essere umano nell’universo (Copernico), nella storia naturale (Darwin) e nello spazio psichico (Freud) [L. Floridi, The Fourth Revolution. How Infosphere is Reshaping Human Reality, Oxford University Press, Oxford 2014; ed. it. La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017; cfr. doppiozero, 10-12-2017]. L’infosfera è una dimensione in espansione: chi ha tentato di stimarne le dimensioni ritiene che la quantità di informazione prodotta dalla nostra specie abbia recentemente superato la soglia dello Zettabyte (=1.000 Exabytes), proiettando l’umanità in quello che Floridi denomina Zettaflood, sempre più navigabile grazie all’iper-connettività e alla super-conduttività. Per dare un’idea delle dimensioni in gioco, l’informazione accumulata dall’umanità dall’invenzione della scrittura al 2006 è stimata attorno ai 180 Exabytes, mentre tra il 2006 e il 2011 sarebbe quasi decuplicata.
Seguendo l’analisi di Luciano Floridi, nell’ambiente dell’infosfera – sempre più sincronizzato, delocalizzato e correlato – finiscono col prevalere le «tecnologie di terz’ordine», che non si limitano a mediare tra agenti umani e il mondo o altre tecnologie (secondo i modelli “uomo-tecnologia-natura” e “uomo-tecnologia-tecnologia”), ma sono capaci di connettersi tra loro (“tecnologia-tecnologia-tecnologia”), facendo così emergere l’Internet delle cose (Internet of things) e riducendo, oppure eliminando, il ruolo di controllore classicamente riservato ad agenti e decisori umani. La rivoluzione futura probabilmente «consisterà nel connettere qualsiasi cosa a qualsiasi cosa (anything to anything, a2a), non soltanto umani a umani». Siamo oltre noi stessi, per certi aspetti e ciò richiama paradossalmente la labilità dei confini tra soggetto e mondo che avevamo ritrovato nei polpi.
“Oltre” è, allo stesso tempo, avverbio di tempo e di luogo. Le ricerche sul sistema sensori-motorio stanno evidenziando la rilevanza del movimento per l’embodied cognition, ma, in particolare lasciano emergere gli antecedenti evolutivi presenti nelle altre specie, divenuti evolutivamente distintivi del pensiero simbolico umano. Mentre la continuità del sistema vivente ridefinisce la posizione di homo sapiens, una nostra distinzione ci consente di guardarci all’insegna del “futuro anteriore”: proprio perché siamo in grado di concepire ciò che ancora non c’è, possiamo essere non solo problem solver ma “anticipare”. In fondo la nostra capacità creativa ci può consentire di abitare in maniera generativa anche l’infosfera.
Secondo Edward Wilson “La creatività è il carattere distintivo della nostra specie e ha come fine ultimo la comprensione di noi stessi.” In base all’analisi di Wilson c’è una stretta interdipendenza tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche. Ripercorrendo l’evoluzione della creatività dai nostri antenati primati fino ai moderni esseri umani, Wilson mostra come le discipline a contenuto umanistico, sospinte dall’invenzione del linguaggio, abbiano svolto un ruolo cruciale nel definire la nostra specie. Esplorando una molteplicità di esperienze creative, dall’istinto di creare giardini all’uso delle metafore e dell’ironia nel discorso, fino alla forza della musica, Wilson auspica la nascita di un nuovo e duraturo Illuminismo, nel quale l’amalgama dell’ambito scientifico e di quello umanistico possa garantirci una conoscenza più approfondita della condizione umana, chiarendo in ultima analisi quale sia stata la sua origine.
Siamo homo hipoteticus e ci compete il senso del possibile.