La dame aux damiers / Andrée Putman. L’eleganza del design
Ho conosciuto Andrée Putman alla fine degli Anni Ottanta, a Parigi, dove mi trovo anche mentre scrivo queste righe. Ed è proprio questa città ad avermela richiamata alla mente. Parigi le somiglia, ancien régime in alcune zone, nouvelle vague in altre; opulenta e sfarzosa in certe, austera e minimal altrove, un’equilibrata mescolanza di modernità e di memoria, esattamente come lei. Andrée Putman era brusca e autoritaria ma raffinatissima, non bella ma piena di charme e con una personalità travolgente, dominata dai contrasti tra le linee dure del suo volto (quasi incarnazione di una scultura di Picasso o, come si è autoironicamente proposta lei stessa in una foto, rivisitazione del ritratto della giornalista Sylvia von Harden di Otto Dix) e la sublime ricercatezza delle forme che sapeva creare e delle quali amava circondarsi.
Avevo allora accompagnato mio padre a un appuntamento da lei presso Ecart, la sua ditta di design, al fine di mettere a punto certi rapporti di collaborazione tra loro. A quel tempo mio padre aveva già acquisito anche a Parigi la fama di ottimo ebanista, soprattutto dopo i lavori in legno da lui eseguiti per il Musée d'Orsay su disegno di Gae Aulenti e grazie anche alla sua annosa collaborazione con Hermès. La Putman voleva conoscerlo per vedere se poteva entrare in sintonia con lui. Ma non è stato così. I due hanno fatto scintille fin dal loro primo incontro, lampi mai spentisi nemmeno nei pur duraturi rapporti di lavoro che hanno comunque stabilito.
Ad esserne rimasta affascinata, invece, sono stata io.
La dame aux damiers è una delle perifrasi con cui era conosciuta Andrée Putman, in virtù del suo amore per gli scacchi e per il bianco e nero. Dominanti nei suoi progetti degli Anni Ottanta, ma mai abbandonati neppure in quelli successivi, gli scacchi appaiono come una chiara rivisitazione dell’Art Cinétique, che aveva grandemente influenzato la moda degli Anni Sessanta (soprattutto quella di André Courrèges, di Jacques Esterel e di Pierre Cardin) al cui mondo la Putman apparteneva, prima di approdare, ultracinquantenne, a quello del design.
Nata da una famiglia borghese lionese di notabili e di banchieri con la passione per la musica, Andrée, da piccola, viene avviata alla carriera di pianista, che abbandona però non appena raggiunge la maggiore età per dedicarsi alla moda, appunto. Farà la giornalista di moda per l’Oeil e la stilista per gran parte della sua vita, a Prisunic, nel circuito della distribuzione di massa con il motto “il bello per tutti”, finché i suoi amici couturiers Jean-Charles de Castelbajac, Issey Miyake, Claude Montana e Thierry Mugler, riconosciuto il suo talento per l’architettura d’interni, non la incoraggeranno a dedicarvisi a tempo pieno.
Ed è così che, all’età di 59 anni, nel 1984, Andrée Putman inizia la sua fortunata carriera di arredatrice, allestendo l’Hôtel Morgans di New York, situato sulla prestigiosa Madison Avenue, un hotel di lusso in cui affermerà il suo stile, fatto di camere sobrie, inondate di luce, ricche solo di effetti ottici, dalle linee rigorose e dagli spazi funzionali. L’immediato successo la porterà ad occuparsi dell’arredamento di alberghi-boutiques tra i più prestigiosi al mondo, da Parigi, a Tokyo, da Colonia a Hong Kong (dove firma anche il design esterno e l'architettura interna di due grattacieli), da Monaco al Giappone. Contemporaneamente sarà chiamata anche a progettare gli showroom parigini di noti stilisti, quali Castelbajac, Balenciaga, Yves Saint-Laurent, Azzedine Alaïa, Karl Lagerfeld e altri. Persino Guerlain le affiderà la progettazione del suo spazio storico sugli Champs-Elysées, tanto il minimalismo putmaniano aveva sedotto l’utenza d’élite. Sarà allora che il quotidiano Le Monde la definirà la 'vestale dell'immacolato concettuale', anche dopo che, nel 1995, Air France si era rivolta a lei per gli arredi del quarto Concorde, il mitico aereo con il muso a “becco di cicogna".
Tra gli interni più antipodici realizzati da “la grande dame du design” (soprannome mutuatole dal suo progetto del 1998 per la Maison Veuve Clicquot Ponsardin di una bottiglia di champagne, chiamata appunto La Grande Dame, dotata di scatola-scrigno, rigorosamente a scacchi, che riempita di ghiaccio diventa cestello raffredda bottiglia), due appaiono soprattutto emblematici dell’antinomia che ne ha connotato la poetica, sempre oscillante tra un minimalismo quasi conventuale e uno sfarzo raffinato fino all’estremo: da un lato, l’allestimento museale del CAPC (Centre d’arts plastiques contemporains) di Bordeaux, del 1984, e, dall’altro, l’arredamento dello studio personale del ministro della cultura francese Jack Lang del 1985, mantenuto inalterato da tutti i ministri della cultura successivi.
Un capitolo importante nella carriera della Putman è costituito da Ecart International, l’industria di design da lei fondata nel 1978, in un hangar del Marais, divenuto ben presto una vera e propria cattedrale della luce, del lusso e della bellezza. Il termine francese écart può essere tradotto in italiano con la parola divario (“ciò che mi interessa è il divario tra la ragione e la follia” era solita ripetere la Putman), ma écart è termine bifrontale, palindromo di trace, vocabolo che rende bene l’anelito alla ricerca delle tracce del passato, sempre presente nel lavoro progettuale di questa artista, che pure si muoveva in piena contemporaneità. Con Ecart, lei inizierà allora, come amava ripetere, un lavoro di “archeologa-amante del suo tempo”, teso a riscoprire i talenti dimenticati dei creatori di mobili degli Anni Trenta, affini all’Art Déco, alle cui linee di sobria geometricità era particolarmente legata. E così il catalogo di Ecart comprenderà fin da subito la riedizione di alcuni pezzi di architetti e artisti come: René Herbst (1891-1982), Jean-Michel Frank (1895-1941), Pierre Chareau (1883-1950), Robert Mallet-Stevens (1886-1945), Antoni Gaudí (1852-1926) ed Eileen Gray (1878-1976).
Tutto ha inizio un sabato mattina, quando Andrée, visitando il Marché aux puces di Saint-Ouen, nella banlieu di Parigi, vi rinviene quattro esemplari di una sedia disegnata nel 1928 da Robert Mallet-Stevens. Subito se ne innamora e decide di rieditarla facendone così un oggetto cult del design del Novecento di cui sono stati venduti più di trentamila pezzi.
«La mia sola preoccupazione era che gli oggetti ritrovati interessassero almeno a dieci persone, allora avrei compiuto qualcosa di importante nella mia vita.»
Così pensava allora, ma ad interessarsi a questo suo lavoro di archeologa del design, nel tempo, le persone sono state decine di migliaia. Tra gli “objets trouvés” da lei rimessi in produzione con Ecart, troviamo, tra gli altri: la sedia in tubolare metallico Sandows progettata da René Herbst nel 1926; il tavolo in legno ideato nel 1932 da Jean-Michel Frank; lo sgabello in legno di sicomoro disegnato nel 1925 da Pierre Chareau; le sedute (sedie, sgabelli, divanetti) progettati nel 1889 da Antoni Gaudì per Casa Calvet a Barcellona; o lo Specchio Satellite, disegnato nel 1927 da Eileen Gray.
Durante un viaggio veneziano, poi, la Putman scopre, abbandonata in uno scantinato di palazzo Fortuny, una lampada da terra disegnata nel 1907 dal geniale ed eclettico artista, designer, scenografo, stilista e imprenditore tessile spagnolo naturalizzato italiano Mariano Fortuny i de Madrazo (1871-1949). Immediatamente stabilisce di rimetterla in produzione e fa anche di questo pezzo un’icona del design, ricercata e ambita ancora oggi.
«L’éternel dans l’instant», è uno dei motti di Charles Baudelaire, preso a prestito per dare il titolo a una delle ultime rassegne dedicate all’opera di Andrée Putman, allestite nella sua città d’origine prima della sua morte.
«Il faut être absolument moderne» sosteneva Arthur Rimbaud e Andrée moderna lo è stata di sicuro, in ogni fibra del suo pensiero e in ogni sua più minuta realizzazione.