B.Motion: forever young?
Due settimane per B.Motion, sezione conclusiva di Operaestate Festival Veneto dedicata al contemporaneo alla fine di agosto. Una prima parte che vede protagonista la danza – che è diventata un richiamo per partecipare a una vera e propria piattaforma internazionale, per conoscere altre culture e vedere spettacoli che altrimenti difficilmente raggiungerebbero i nostri palcoscenici –, una seconda per il teatro, che quest'anno ha visto intrecciarsi creatività emergenti e lavori più maturi.
ph. Tomaso Mario Bolis
B.Motion Teatro “in rete”
Quello che risalta, quest'anno, della sezione Teatro di B.Motion, infatti, è il fortunato e ben pensato equilibrio fra presentazioni di work in progress (le due serate dedicate a finalisti e vincitori del Premio Scenario) e di lavori compiuti, creati da alcune di quelle che si possono considerare a pieno titolo le eccellenze della sperimentazione teatrale nostrana. Come a dire, fra il vibrare – anche in tutte le sue eventuali fragilità – di una ricerca ancora da farsi, che si affaccia oggi alla scena, e un suo possibile consolidamento, in un andirvieni ben riuscito fra successive “generazioni del nuovo”.
ph. Luigi La Selva
Anche qui le reti e le progettualità condivise fanno sempre di più la loro parte. Tre sono i network che si articolano lungo la programmazione del Festival: Teatri del Tempo Presente – rappresentato da Marco D'Agostin per il Veneto, i pugliesi Fibre Parallele e Pathosformel per l'Emilia-Romagna – è un'idea del Mibac, in cui 10 Regioni scelgono ognuna un lavoro da far circuitare nelle altre e, viceversa, si impegnano a ospitare gli altri spettacoli.
ph. Marco Caselli Nirman
Il Ministero offre un sostegno produttivo e distributivo, mettendo in opera un'ottica di collaborazione sia nazionale – fra i territori coinvolti –, sia interna a ognuno di essi, chiamando a cooperare realtà differenti come i festival, stabilità e circuiti. La seconda rete, Finestate Festival, è invece stata ideata e realizzata spontaneamente da sei differenti rassegne che si svolgono fra fine agosto e ottobre: Contemporanea di Prato, Castel dei Mondi, Short Theatre, Terni Festival e Approdi di Cagliari – oltre a B.Motion – collaborano su un livello di progettualità transnazionale che per quest'anno ha portato nel nostro Paese i lavori della francese Juliette Nioche e dell'olandese Lotte Van Den Berg, ma che si immagina già, per il futuro, attivare nuovi canali di relazione anche in termini di reciprocità di scambio.
Medea Big Oil Scenario Ustica
Scenario: a Nordest...
Terza e ultima rete – certo non per importanza – quella del Premio Scenario che oltre a essere, come si sa, uno dei pochi canali di visibilità e trampolini di lancio per le arti performative emergenti, è anche una scelta – che oggi non è eccessivo definire di resistenza – dei membri che fanno parte dell'associazione di portare avanti insieme una rete di lavoro su scala nazionale che si riunisce nell'individuazione, nell'accompagnamento e nel sostegno del nuovo.
ph. B. Fies
A B.Motion un paio di giorni (28 e 29 agosto) per incontrare i protagonisti di questa edizione del Premio. Una prima serata dedicata alle creazioni provenienti dal territorio, fra cui i Fratelli Dalla Via, vincitori, e i progetti finalisti di Silvia Costa & Giacomo Garaffoni e di Ilaria Dalle Donne: tre poetiche e idee di teatro completamente diverse fra loro, riunibili forse proprio intorno alla ricerca di un proprio linguaggio performativo. Marta Dalla Via, con il fratello Diego, prosegue nel tentativo di restituire un ritratto tragi-comico del Veneto degli anni Duemila.
ph. Matteo De Mayda
In Quello che di più grande l'uomo ha realizzato sulla terra, Silvia Costa sperimenta una scrittura materica che si fa carico di affrontare gli stati emotivi, l'umanità nelle sue frontiere più indicibili: un ambiente scarno al limite del metafisico accoglie personaggi sempre di spalle, i cui discorsi rarefatti sono contrappuntati da piccoli incanti di poesia (testuale, visiva, teatrale). Ilaria Dalle Donne, infine, parte dall'estetica della boxe per fondare e rifondare in scena un linguaggio che avvicina la performance sportiva a quella teatrale: in quattro quadri – che si chiamano, appunto “match” – riparte ogni volta da zero, prima ipnotizzando la platea con azioni ripetitive di provenienza sportiva, poi sfruttandone il magnetismo per disegnare col proprio corpo (e, nell'ultimo, anche la voce) immagini di grande impatto.
...e le Generazioni del nuovo
Il 29, spazio per gli altri membri della Generazione Scenario 2013: si comincia con la ricerca etno-socio-politica sugli abusi delle compagnie petrolifere in Basilicata di InternoEnki (Premio Ustica con M.E.D.E.A. Big Oil), per proseguire con le due Segnalazioni, il misto di noia e trash che inghiotte i pomeriggi dei tardo-adolescenti di provincia in trenofermo a-Katzelmacher del gruppo nO e W, monologo di Beatrice Baruffini che mescola la poetica del teatro per l'infanzia all'impegno del teatro civile.
Il Premio Scenario è sempre stato, negli ultimi anni, un appuntamento immancabile per fotografare le tendenze in atto nella scena emergente, tanto rappresentate dal punto di vista degli artisti che vi partecipano che dagli operatori che li selezionano. Come qualsiasi progetto ancora in fase di sviluppo, se le idee che emergono siano casi esemplari che rendono conto dell'esistente, di quello che scuote oggi le arti sceniche e non solo, o i desideri appena immaginati di cosa quel teatro potrebbe e dovrebbe essere, è un cortocircuito fra presente e futuro che sarà il passare del tempo a risolvere.
Ci sarebbe poi da aprire una doverosa postilla su cosa significhi, in uno scenario socio-economico e politico congestionato al limite del collasso come quello attuale, continuare a impegnarsi nella scoperta del nuovo, quando già si arranca a gestire l'esistente; su cosa voglia dire, a cosa serva, oggi, la parola stessa, la categoria del “nuovo”. C'è chi potrebbe appunto contestare la bulimia di un sistema che, incapace di sostenere la maturazione e gli sviluppi della scena emergente, si accanisce a sfornare novità sempre più velocemente, un po' come succede con i vestiti alla moda o il prossimo modello di smartphone; e c'è giustamente chi si troverebbe a difendere la necessità, il dovere di andare avanti nonostante tutto, di non arrendersi al dilagare al sapore di nostalgia della conservazione a tutti i costi, di non rinunciare, per non meglio precisate ragioni di austerity, a provare a decifrare il presente per poterne immaginare il futuro.
Forever young?
Così si passa d'obbligo all'altro versante, quello dei percorsi presenti al Festival che è ormai doveroso definire maturi, anche per cedere il passo alle nuove creatività che abbiamo appena visto premere per affacciarsi alla scena contemporanea. In programma gli ultimi lavori di Fibre Parallele, Pathosformel, Teatro Sotterraneo e Babilonia Teatri, tutti gruppi che, dopo un lancio entusiasmante e una buona attenzione di critica e pubblico, si ritrovano oggi impegnati a sviluppare e consolidare un proprio linguaggio, non senza qualche difficoltà che vede, ad esempio, il coraggio e la fragilità di nuove vie di sperimentazione, da un lato, e, dall'altro, anche qualche riassetto interno ai gruppi. Un discorso simile si potrebbe fare anche per altre realtà, tutte quelle che sono state le nostre ultime Generazioni del nuovo: compagnie ormai alla ribalta da diversi anni, sempre in prima fila nei festival più interessanti e nei premi più prestigiosi, nonostante tanti si ostinino ancora a segnalarli fra i giovani emergenti – etichetta tanto difficile da scrostare, quanto altrettanto dura da mantenere, visti i riconoscimenti che questi cosiddetti giovani gruppi hanno conquistato. Qui c'è un paradosso che va affrontato, basti pensare che, quasi ovunque, i contesti che accolgono i loro lavori sono quelli dedicati alla ricerca giovane, emergente, nuova.
ph. B. Fies
Al di là dei localismi e delle poetiche, della contingenza e – se possibile, per un momento – della crisi finanziaria, il tema forte che ha attraversato B.Motion Teatro – che non a caso si intitolava quest'anno Forever young – è, appunto, quello dei fronti generazionali. Il problema della gerontocrazia italiana, così come il discorso della tradizione del nuovo, in effetti, hanno a che fare ben poco con gli attuali tempi di crisi (o quanto meno a essi preesistono): il rifiuto dell'invecchiamento e la novità a tutti i costi, l'incapacità di lasciare il posto e di accettare i passaggi di ruolo, non sono elementi che affliggono soltanto il panorama performativo del Paese. Sono dati con cui ci si scontra ogni giorno in qualsiasi settore. Così come anche è quotidiano l'incontro con la necessità che è ora di cambiare mentalità – accettando, ad esempio, che una persona di 35 anni che lavora da 10 possa chiamarsi artista adulto, e non giovane emergente –, se si vuole veramente continuare a impegnarsi nella difesa del nuovo; per esempio riconoscendo in tutto il loro spessore i passaggi – le conquiste, ma certo anche i fallimenti – che sono stati percorsi finora dai nostri cosiddetti (non più) giovani artisti, per permettere loro di crescere ancora e, allo stesso tempo, concedere attenzione a creatività realmente emergenti. Vale a dire, ancora una volta, nel tentare di decodificare quello che è davvero il nostro presente, afferrandone in tutto le condizioni, per riuscire così a immaginarne un possibile futuro.