C’erano una volta le biblioteche scolastiche

1 Settembre 2011

 

Proprio mentre si svolgono gli esami di maturità, l’Invalsi, dopo aver visionato insieme all’Accademia della Crusca un campione di circa 500 temi svolti durante l’esame di stato del 2008/9, ci informa che sostanzialmente la maggior parte dei nostri studenti adolescenti sono semianalfabeti e che molti hanno nulle o scarse capacità ortografiche, logiche, argomentative.

Scelgo deliberatamente di non approfondire la questione per non dover sentire i soliti professionisti di scuola e di cultura giovanile parlare di cose che non conoscono, ricordando a tutti dati altrettanto preoccupanti sulla popolazione adulta di questo paese: scrive De Mauro commentando dati Ocse che “il 38% della popolazione italiana in età di lavoro ricade in condizioni di analfabetismo, il 33% è a rischio e solo il 19% conserva i livelli minimi di competenze necessarie in società moderne” (da Internazionale, 24 giugno 2011).

Se non bastasse ricordo a tutti qual è il rapporto con la cultura di chi ci governa e cosa sta facendo in questi giorni con la nuova manovra economica alla scuola pubblica, non contento di averla già distrutta. Visto che piacciono tanto le classifiche: nel 2000 la scuola italiana era la prima per qualità nella classifica Ocse, oggi siamo al tredicesimo posto, su 15.

Continuo a pensare che il vero problema stia altrove, sia di lunga durata e di proporzione e intensità vastissime, in una sfera culturale più ampia che riguarda una più generale “economia dell’attenzione e degli affetti” (Y. Citton); di cui i media, e il potere che rappresentano e veicolano, sono i responsabili principali e da cui poi si riverbera anche nella scuola, dove si metastatizza.

 

 

Detto questo è innegabile che esiste un problema con la lettura in Italia, che parte dalle famiglie e coinvolge le scuole. Durante il mio primo incarico di docente in una scuola superiore, nel fatidico settembre 2001, ho scoperto che il luogo più tranquillo del mio istituto era la biblioteca. Tranquillo non rende l’idea: era deserto, e a giudicare dallo stato di conservazione degli arredi, da tempo immemore. Chi lavora a scuola conosce la mancanza di spazi adeguati al tempo che uno passa tra le mura inospitali della ex-pubblica istruzione. Iniziai a utilizzare la biblioteca per rendere meno dure le condizioni del mio pendolarismo, per preparare lezioni e correggere compiti, ma anche per consumare pasti, riposare, ammortizzare i tempi in attesa degli impegni pomeridiani. Una certezza mi rendeva sempre più audace, arrivando fino al punto di dormire anche alcune ore pomeridiane sdraiato sul tavolone centrale: la biblioteca era il luogo più trascurato dell’istituto e io ne ero l’unico frequentatore, potevo sparire dalla sala insegnanti per trovare la quiete in un mondo parallelo mentre fuori infuriavano problemi di tutti i giorni – la fatica di costruire relazioni educative, le schermaglie quotidiane tra colleghi, i recuperi impossibili, le valutazioni quantitative, la burocrazia punitiva, la moltiplicazione delle procedure inutili e dei discorsi vacui – illudendomi come un uomo medievale che la peste e la follia mi avrebbero risparmiato.

 

Giravo tra gli scaffali impolverati prendendo in mano i libri con lo stesso stupore di Guglielmo da Baskerville. Agli inizi del Terzo millennio avevo di fronte una biblioteca ferma a venti-trenta anni prima, come dopo una catastrofe che spinge gli uomini ad abbandonare i luoghi abitati. Libri, cataloghi e schede erano rimasti ai primi anni ottanta, con un picco massimo di scelte che si fermava alla metà dei settanta, il 1978 al massimo. Ho visto copie infinite di Pavese, Calvino, Silone, Manzoni, Mann, Baudelaire, Hugo, Scott, Hemingway, Melville, Swift. Opere complete di Marx, Freud, Jung. Molti Nietzsche. E poi De Beauvoir, Sartre, Fanon, Camus. E poi la serie completa delle monografie de Il Castoro e i documenti riprodotti de Le fonti della storia della Nuova Italia, Documenti per la ricerca di storia (Bompiani), Letture storiche di Zanichelli. La Storia d’Italia Einaudi. Tutti i volumi della Storia della filosofia dell’Abbagnano, editio maior, diverse serie complete delle Garzantine, ed enciclopedie in molti volumi di storia delle religioni Utet e decine di altri, volumi fotografici con titoli come Popoli e razze della Terra, o storie della scienza come Dalla fionda all’atomo, o L’universo. Ma anchestoria dell’Africa, dell’America latina, dell’Asia. Moltissimi atlanti di tutti i tipi, scatoloni di cartine tematiche in rilievo e rotoli di carte storiche e planisferi. E storia locale, moltissima, storie dell’emigrazione remota e prossima. Interi scaffali dedicati alla Resistenza, con il Battaglia e Calamandrei in cima a tutto, e le molte pubblicazioni dell’Anpi di tutte le regioni. E poi tantissimi titoli di storia del fascismo e centinaia di copie della Costituzione.

 

Non riesco a descrivere tutto quello che ho trovato, sobbalzando ogni volta nel vedere lì, a disposizione di tutti e da tutti dimenticati, libri dai titoli ormai leggendari e tutti i classici che chi si occupa professionalmente di cultura dovrebbe aver letto o vorrebbe leggere. Non so quanto quei libri fossero veramente usati, quanti li leggessero, ragazzi e docenti; forse per i primi erano sovradimensionati, di sicuro per i secondi significavano che studiare e comprendere può essere anche difficile, ma è necessario e importante per la formazione, di chiunque. Quei libri c’erano, precondizione fondamentale della loro presenza nella vita delle persone e testimonianza di un’attenzione non comune ai libri e alla cultura da parte di una istituzione pubblica viva e pulsante.

 

 

In questi giorni ho avuto modo di visitare la vecchia biblioteca scolastica di una scuola media che sta per essere trasferita in altro locale, per mancanza di aule, e ho rivisto la stessa identica situazione. Sostanzialmente gli stessi libri, la stessa scelta, con la stessa misteriosa implosione a un certo punto. Sembrava la biblioteca gemella di quella in cui dormivo, con molta più attenzione ai libri per ragazzi. Mi sono chiesto quante potrebbero essere le biblioteche così nelle scuole italiane. E allora ho pensato a un paese con una classe docente giovane, idealista, motivata che attraversa gli anni settanta con una forza e una passione che ha del miracoloso. Un paese in rapida mutazione, in cui qualcosa si rompe alla fine di quel decennio. Ne ho parlato con colleghi che hanno insegnato in quegli anni e ho raccontato loro le mie impressioni: sembrano volersi scusare, addolorati di un qualcosa che non si sono riusciti a spiegare con chiarezza allora e a cui quasi non pensano più. Mi hanno detto che poi è cambiato tutto, che non c’erano più soldi, che nessuno comprava più libri, nessuno catalogava più, nessuno entrava nella biblioteca. Che ci hanno provato ma sono stati sconfitti.

 

Prima di lasciare quell’istituto di provincia ho contribuito al ripristino della biblioteca e alla sua restituzione alla comunità scolastica, con il coinvolgimento delle classi e con colleghi/e che aspettavano solo che qualcuno più giovane (leggi ‘meno stanco’) rilanciasse l’iniziativa. La stessa cosa fa la professoressa che sta rimettendo a posto la biblioteca della sua scuola media di un quartiere periferico (sue le foto della pagina), con l’idea di utilizzare il patrimonio di strumenti e classici di consultazione e valorizzare quanto risulta superato e anacronistico in una sezione ‘nostalgia’/storia della storiografia.

Posso immaginare che in un momento di forte richiesta di formazione e di grande fermento pedagogico dall’industria editoriale potessero provenire, insieme a grandi classici e testi chiave per il rinnovamento e la diffusione della cultura, anche sintesi ingenue e dozzinali che oggi non reggono più di fronte a cambiamenti teorici e di prospettiva epocali. Eppure non riesco a non commuovermi pensando a quanta freschezza e speranza ci fosse in quei volumi enciclopedici per ragazzi su cui ho passato intere giornate della mia infanzia. Le pagine de Il grande libro della storia o de Il grande libro della natura sono forse la traccia più remota di una privata memoria culturale in cui rintracciare i miei interessi di oggi, passati poi attraverso molti altri testi, revisioni e decostruzioni. Sono pagine che con le loro immagini dell’evoluzione ominide e con le vicende delle grandi civiltà nel tempo volevano rassicurarci e convincerci del fatto che noi non siamo più quegli esseri che tremavano nel buio e si cibavano di carne semicruda e si massacravano a vicenda, ma siamo quelli che alle fine del libro vanno nello spazio con le loro tute spaziali linde e tecnicamente perfette e si ritrovano a discutere di pace nel mondo. Pagine che sembrano promettere che qualcosa di diverso e migliore succederà e lo si può fare insieme.

Prima o poi arriva sempre qualcuno, la cui vita un tempo è stata salvata dai libri, che vuole salvare una biblioteca.

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