L’ultimo Montalbano / Cronache di una fine annunciata

3 Agosto 2020

La storia è nota? Forse. Ma ricordiamola comunque – tenendo conto che anche la notorietà e il possibile oblio ne fanno parte. Alla fine del 2004, celebrati e ricelebrati i successi mediatici della saga del commissario Montalbano, appena compiuti gli ottant’anni Andrea Camilleri decide di scrivere un ennesimo romanzo dove la sua creatura, secondo molti critici assai invecchiata, esce definitivamente di scena. Detto fatto. Il libro, provvisoriamente intitolato Riccardino, è consegnato ai primi dell’anno successivo alla casa editrice Sellerio, dove viene secretato, con il mandato di pubblicarlo soltanto dopo la scomparsa dello stesso Camilleri. Lo scrittore, riaffermando in pieno la sua volontà autoriale, decide di far morire il suo eroe insieme con lui. Con una posa alquanto teatrale (da “tragediaturi”, direbbero entrambi), personaggio e autore spariranno nell’identico momento, condividendo lo stesso curioso, enfatico destino. I media gongolano, il pubblico applaude, gli studiosi fremono. E Riccardino diviene leggendario senza che nessuno lo abbia letto, mentre qualcheduno maliziosamente sussurra che, forse, questo libro è pura fantasia fatta circolare a esclusivi fini di marketing.

 

Camilleri, bontà sua, campa ancora tantissimo: altri 14 anni. Durante i quali scrive e pubblica diverse altre storie della saga montalbanesca (che puntualmente vengono rilanciate dal piccolo schermo televisivo) dove il commissario è più vivo e vegeto che mai. E riprende in mano Riccardino, riadattandolo agli sviluppi dell’altra sua straordinaria creatura, il vigatese, invenzione linguistica che più si ripiega esotericamente su se stessa, più viene essotericamente compresa dai lettori d’ogni parte d’Italia, nonché facilmente tradotta in decine d’altre lingue. Così, nel 2016 il papà di Montalbano passa all’editore Sellerio una vera e propria variante del libro, dove la trama è sostanzialmente la stessa ma lo stile para-dialettale è parecchio più marcato. 

A un anno esatto dalla dipartita di Camilleri esce adesso il famigerato romanzo, col titolo divenuto intanto definitivo, in una duplice proposta editoriale. Nella consueta collezione “La memoria” (pp. 292, € 15) viene presentata la versione finale con una nota dell’editore e il risvolto firmato da Salvatore Silvano Nigro. Fuori collana (pp. 276 + 286, € 20) vengono pubblicate entrambe le versioni, del 2005 e del 2016, con la medesima nota dell’editore e una specifica postfazione di Nigro su “Le due redazioni del romanzo”. C’è di che per la deflagrazione di un vero e proprio caso letterario. Dove l’attenzione del lettore, più che sulla trama poliziesca in quanto tale, viene deviata su tutt’altro altro: sulla “fine” del commissario siciliano, sul rapporto pirandelliano fra autore e personaggio, sull’eventuale valore testamentario del libro. 

 

Le ragioni per interessarsi a questa storia sono parecchie. La prima delle quali sta nel fatto che, come già in altri casi, Camilleri gioca di mise en abyme, inserendo tutto questo ambaradan come contenuto non casuale della storia che racconta. Così Riccardino parla innanzitutto di se stesso, della particolare condizione narrativa del suo eroe, della curiosa condizione post-mediatica dello scrittore, del significato da attribuire al fatto che questo testo, pur essendo stato scritto quindici anni fa, si presenta come l’ultimo di una lunghissima catena narrativa. Il caso poliziesco – la misteriosa uccisione di un direttore di banca, fra intrighi di corna e malaffare politico-mafioso – appare come il semplice pretesto (la motivazione del procedimento, avrebbe detto Sklovskij) per far d’altro: una specie di disposizione ereditaria a metà strada fra la sfera narrativa e il mercato editoriale. Che lo storytelling abbia questa doppia anima, del resto, è arcinoto.

 

Sapevamo che il commissario Montalbano, già a pochi anni dalla sua nascita, non è stato un semplice personaggio letterario ma una figura transmediale che si è nutrita di molteplici linguaggi e svariati dispositivi comunicativi: la pagina scritta e lo schermo televisivo innanzitutto, ma poi anche la radio, il teatro, il fumetto, il videogioco, il discorso politico e, non ultimo, quella fama esplosiva che ne fa un testimonial enogastronomico e turistico in diverse province dell’Isola. In particolare, fra il Montalbano letterario e quello televisivo non c’è stata mai pace. Certo il secondo, assai più prestante e performante, ha amplificato la fama del primo.

 

 

Ma presto fra i due sono nati dissapori, divergenze di carattere, differenze generazionali, contrasti valoriali, a iniziare dal modo di trattare le “fimmine”, come l’eterna fidanzata Livia, “forestera” immensamente amata ma sempre più spesso dimenticata per facili amorazzi con le biondone di turno. Il commissario letterario è figura posata, meditabonda, umorale. Quello televisivo si lancia in avventure spericolate, gioca a guardie e ladri con armi alla mano, si atteggia a superuomo di massa. Il primo invecchia miseramente, con acciacchi d’ogni tipo. Il secondo, complice l’attore che lo incarna con maestria, resta sempre uguale: per lui il tempo non passa mai. Al punto che nel gioco delle repliche televisive si perde il filo della cronologia. Ogni puntata vale l’altra, senza alcuna successione temporale. 

 

Ecco allora che nel romanzo appaiono, apertamente scontrandosi, entrambe le figure: il commissario di Vigàta protagonista della storia, eroe senza macchia né paura che resta succube delle angherie dei potenti, e il suo avatar apparso in televisione che, mietendo ben maggiori successi di pubblico, tende a surclassare il primo. “Stavo pensando al tuo alter ego televisivo – gli dice a un certo punto Livia per telefono –, che è più giovane di te, ed è rimasto fedele a se stesso”. Osservazione che a Salvo fa assai male: “’Na cutiddrata ‘n mezzo al petto sarebbi stata meno dulurosa”.  A gestire la relazione fra i due Montalbani entra in gioco, com’era prevedibile, una terza figura, quella dell’autore, che telefona insistentemente alla sua creatura letteraria sottoponendogli scelte narrative e decisioni circa i valori in gioco nella vicenda. Lo stereotipo del personaggio in cerca d’autore viene così rovesciato: laddove in Pirandello erano i personaggi a chiedere conto e ragione della loro esistenza al proprio autore, qui è l’autore (anzi l’Autore, scrive di sé Camilleri) a “assicutari”, cioè a inseguire, la sua creatura, la quale fa di tutto per sfuggirgli. 

 

All’inizio di tutto – leggiamo a pagina 21 – il commissario di Vigàta raccontava delle sue investigazioni a “’n’autori locali”; e questi, “usanno ‘na lingua ‘’nvintata e travaglianno di fantasia”, le trasformava in romanzi di successo che, a un certo punto, erano finiti in tv con numeri molto maggiori. Cosa che per il commissario di provincia costituisce “’no scassamento di cabasisi ‘nsupportabili”. A pagina 133 l’Autore, al telefono col personaggio, ribalta però la situazione: “Salvo, la facenna sta completamenti a riversa. Sono io che informo te, e non capisco perché ti ostini a credere che sei tu a informari me. Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua”. Gioco delle parti che si protrarrà per tutto il corso del libro, fino a quando bisognerà decidere come risolvere il caso poliziesco (questioni d’onore? malaffare mafioso? pressioni politiche? ingerenza della Chiesa?) e, soprattutto, come raccontare la fine di Montalbano. Ed è proprio a causa di questi screzi, diciamo così, creativi che il commissario uscirà di scena. 

 

Più che di un tipico metaromanzo letterario alla Sterne, occorre dunque in questo caso parlare di un metadiscorso sociale. Siamo di fronte a un romanzo entro cui si riracconta il complesso contesto transmediale dove si agita, non tanto il Montalbano come personaggio, quanto il Montalbano al quadrato: figura al tempo stesso letteraria e televisiva (eccetera) che, vivendo di vita propria, pianta grane ed esige rispetto da parte di un autore che, per quel che gli compete, prova a rivendicare un’autorialità che il corso delle cose – quella che è stata appunto chiamata la condizione post-mediale – sta progressivamente sgretolando. 

Rovesciando la prospettiva, ciò significa che Camilleri si rivolge idealmente a un lettore che egli ipotizza essere straordinariamente competente. Il suo lettore modello, come lo avrebbe definito Eco, non soltanto se ne intende di investigazioni più o meno noir, mirando a scoprire in anticipo la soluzione del caso – cosa abbastanza normale nel genere poliziesco. In più, si tratta di un lettore che conosce assai bene l’intero mondo montalbanesco, ossia le vicende editoriali, televisive, mediatiche entro cui vive (o forse, meglio, sopravvive) il commissario Montalbano, seguendo perfettamente (divertendosene da matti) le schermaglie che Camilleri inserisce nel romanzo. Ivi compresa la storia di quest’ultimo romanzo scritto quindici anni fa, tenuto a lungo secretato e così via. La doppia versione editoriale ne è la conferma: il lettore modello di Camilleri – le classifiche sembrano confermarlo – è addirittura una specie di filologo interessato alle varianti di lingua, alle trasformazioni stilistiche.

 

Così, il calcolato effetto sorpresa, alimentato nel corso del tempo, diventa materia di racconto, intensificando le agnizioni del lettore e, soprattutto, moltiplicando le vendite. Il lettore sa bene di trovarsi di fronte a un momento topico della sua esperienza di ricezione, che non è soltanto letteraria ma più in generale mediatica, poiché sa altrettanto bene che con questo Riccardino la lunghissima serie del commissario di Vigàta avrà termine. Qui non si tratta di trovare una buona soluzione a un singolo caso poliziesco, ma di raccontare la conclusione di tutta la saga. Cosa assai difficile e – diciamolo senza spoilerare (ma su questa mitologia dello spoiler occorrerà tornare) – benissimo risolta sia dall’abilissimo narratore – e ottimo sceneggiatore – Camilleri sia dal suo simulacro testuale che sta dentro il romanzo. Il gioco fra essere e apparire verrà meno per sempre? Non è detto. A leggere l’ultima pagina c’è da immaginare di no. Camilleri è andato oltre se stesso: e in qualche modo la stagione della caccia si riaprirà. 

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