Radio / Dalla parte del suono: voci di un cambiamento

13 Gennaio 2020

I suoni orientano, guidano e dirigono il senso degli eventi che caratterizzano la nostra società, trovando nell'ascolto, soprattutto quello clandestino, la spinta creativa e la forza generatrice del cambiamento.

A partire da questa ipotesi, Giovanni Fiorentino si è messo dalla parte del suono, focalizzandosi su un modo e su uno spazio peculiari della sua produzione: la radio nel Meridione d'Italia, un connubio che ha significato libertà e protesta, sperimentazione e effervescenza comunicativa, elementi che hanno determinato le caratteristiche contemporanee del medium. Difatti, in “Dalla parte del suono. Radio, Sud e Mediterraneo. 1943-1978” (Sette Città 2019) Fiorentino evidenzia come, nel corso degli anni, clandestinità, polifonia, connettività e innovazione radicale siano unite a filo doppio in un sistema coeso, terreno germinale elettivo della ri-mediazione attuata dalle Web radio – declinazione odierna delle radio libere – e dai podcast, contenuti scissi dalla fruizione in tempo reale, ma fedeli alla tradizione di esplorazione e sperimentazione della radiofonia analogica, in cui si erano già delineati, seppure in maniera rudimentale, la figura del prosumer – il mitologico produttore-consumatore – e il concetto di narrowcast, la trasmissione ristretta tipica di Internet.

 

Le voci e le anime vibranti della radio vengono raccontate da Fiorentino ricostruendo una memoria che, seppur privata delle immagini, resta vivida per via della sua immanenza nel quotidiano: collega di lavoro, rifugio dell’otium, fedele compagna dei tragitti in auto. La radio, dunque, ha acquisito negli spazi e nei momenti di vita un potere di costruzione e consolidamento dello spirito comunitario, prima locale e poi glocale, per cui consumare i suoni non è mai questione di affetto medio, bensì di passioni travolgenti, di fascinazioni uditive.

La radio, soprattutto durante la grande guerra, divulga e al contempo mantiene il segreto, si trasforma in una narratrice onnisciente delle storie che configurano la Storia con la S maiuscola, percorso intrapreso dallo stesso Fiorentino con l’obiettivo “di produrre un’ipotesi culturale alternativa”.

In tal senso, la peculiarità della radio del Mezzogiorno risiede nell’amplificare e nel magnificare i discorsi di un territorio che chiede a gran voce di essere raccontato e ascoltato per resistere e sopravvivere. I suoni donano nuova linfa a una popolazione annichilita dalla guerra, rinvigorendo le radici culturali anestetizzate dal fascismo, tanto che le radio si identificano con i luoghi da cui trasmettono Radio Palermo, Radio Bari, Radio Napoli, Radio Sardegna, incarnando e preservando i loro valori in gran segreto. Radio urbane, o meglio comunitarie, la cui collocazione geografica determina linguaggio e affetti, ma anche, e soprattutto, clandestine e connettive, abitate da una moltitudine di voci in opposizione al tono salmodiante dell’Eiar, sintonizzata soltanto sulle onde del regime.

 

 

Le radio locali smontano la propaganda fascista per costruire una nuova opinione pubblica da sensibilizzare al movimento partigiano e da abituare, con l’aiuto della musica, alla cultura “altra” degli alleati, foriera di speranza e di futuri possibili.

La democrazia nasce tra rulli di tamburi, jazz e V-disc, ma deve superare ancora una forma diversa di censura, quella degli alleati. A Napoli, ad esempio, la programmazione e i contenuti sono pilotati dagli angloamericani, ma equilibrati dalla “sezione prosa”, valvola di sfogo della creatività partenopea, tra cui spicca la trasmissione satirica Stella bianca, che vede, tra gli altri ideatori, un giovane Steno affinare gli strumenti del mestiere cinematografico, specialmente la vis comica e la capacità di organizzare configurazioni discorsive stereotipate come il sogno americano, attualizzando un immaginario proibito ora più accessibile per gli ascoltatori. Purtroppo, il fermento delle avanguardie di metà anni Quaranta dura poco, e, paradossalmente, l’instaurazione della democrazia coincide con una nuova supremazia di Roma come centro di diffusione mediatica. Il biennio 1943-1944 va considerato una breve parentesi in cui vengono piantati i semi che germogliano negli anni Settanta, precisamente alle 19.30 del 25 marzo 1970, momento in cui Radio Sicilia Libera è in onda, illegalmente, e lo sarà per le prossime ventisei ore sino all’arrivo dei carabinieri. Un’azione necessaria per la resistenza culturale dei poveri cristi capeggiati dal sociologo triestino Danilo Dolci, un esperimento culturale finalizzato alla sensibilizzazione e al coinvolgimento dell’opinione pubblica sui grandi temi dell’epoca o sulle questioni territoriali. Educare all’ascolto e alla responsabilità civile attraverso contenuti densi e sentiti, come i componimenti di Alessandro Scarlatti e di Ignazio Buttitta, che con La Sicilia camina, lancia un inno all’opposizione popolare i cui temi sono validi ancora nella contemporaneità.

 

La Sicilia era orba

caminava muru muru

ora vidi puro o scuru

e cu l'occhi fa un falò.

 

In questi versi emerge il significato culturale della libera espressione e della consapevolezza sociale, che Buttitta rende con la metafora della riacquisizione del senso della vista, reso più potente da una lucida volontà di cambiamento. In effetti, i frutti del tentativo rivoluzionario non tardano ad arrivare: il 28 luglio 1976, una sentenza della Corte di Cassazione liberalizza le trasmissioni via etere in ambito territoriale. Al bando il segreto, finalmente, in tutto il Mezzogiorno, le manopole del volume possono essere ruotate al massimo senza timori, aumentando l’intensità energetica della cultura di appartenenza. Siamo di nuovo a Palermo, in via Francesco Baracca, a Napoli di nuovo in via Chiaia, e poi a Bari, a cui si aggiungono Potenza, Messina, Cosenza: ogni città ha la sua colonna sonora e i suoi aedi personali.

In quel periodo a Cinisi nasce Radio Aut di Peppino Impastato, capace di trasformare le onde elettromagnetiche in un’arma per combattere la mafia, purtroppo non abbastanza potente da salvare la vita al suo ideatore, ma forte quanto basta da renderlo parte integrante della storia della lotta civile. La memoria di Impastato vive tutt’oggi proprio attraverso i media, trovando il suo culmine nella musica, il contenuto radiofonico d’elezione, con almeno otto canzoni a lui dedicate. 

 

Le radio locali non sono mai state solo una questione di “canzonette” – parafrasando Edoardo Bennato – bensì una fonte d’ispirazione che induce a non avere paura, a impegnarsi a fare meglio, a incanalare le speranze in maniera efficace, senza alcuna strumentalizzazione populista, facendosi ascoltare dalle strade e nelle strade delle città. In questo modo le radio locali si innestano nel tessuto sociale diventando amplificatori del pensiero libero, della partecipazione collettiva, evocando carnalmente i temi rilevanti per la comunità attraverso i dialetti e le sonorità familiari, in una proficua creolizzazione di generi e linguaggi. I trentacinque anni ricostruiti da Fiorentino rappresentano, nell’economia generale della storia italiana, peculiare esercizio di memoria collettiva, orientato alla riscrittura e al meticciato delle tradizioni culturali e sociali. La memoria del suono può plasmare il presente e diventare uno strumento di rinnovamento, permettendo alle novità di essere efficaci, ma soprattutto comprese, a partire da una loro collisione con l’immanente, che genera un sistema terzo, rinnovato, traducibile e negoziabile all’infinito.

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