Emanuele Tonon. La luce prima

20 Ottobre 2011

Nel romanzo La luce prima (Isbn, pp. 116, euro 15,90), lo scrittore operaio e teologo Emanuele Tonon racconta la vita della madre a partire dall’istante della sua morte.

Un grido lungo e intenso, uscito fuori d’un solo fiato, come non può che essere la lettura di questo libro: parole che bruciano e pagine che fuggono dalle dita.

 

Una voce dura, che diviene memoria scolpita sulla carta, la veglia funebre di un figlio a colei che lo ha generato: la madre piccola e bellissima, cieca e onniveggente, eterna e perfetta, la madre pellicano, lo Spirito Santo che ha ispirato le pagine di questo libro.

Lui è il figlio sbagliato, il ranocchio magro e poi il barbone per cui provare disgusto, il nemico che non ha salvato la madre. Quello che è condannato a scrivere di notte chiuso in una stanza, costretto ad accogliere in sé il lascito materno: la passione per la parola, vera e propria malattia che lei gli ha trasmesso al momento della nascita.

 

Emanuele Tonon ne racconta le origini di giovane donna calabrese venuta a vivere con un figlio piccolo e senza padre nell’Italia del Nord, la casa spoglia, l’esistenza povera, i gatti nel giardino, un mondo intero chiuso fra quattro pareti che solo lei riesce a mutare in un minuscolo paradiso domestico.

Eppure la madre e il figlio hanno la potenza degli archetipi, sono il riflesso di Cristo e Maria: lo scrittore inchiodato al suo destino e la madre che infonde amore in ogni azione, l’epifania della sacralità liberata nei piccoli gesti quotidiani: il caffè mattutino, i panni da mettere in lavatrice, il pigiama piegato sul termosifone.

 

Ma c’è molto altro. Il romanzo racchiude nel suo scrigno anche la sofferta confessione di uno scrittore che ha il coraggio di riconoscere le insidie e il potere subdolo della letteratura, un esercizio di vanità a cui non riesce a sottrarsi, come il lucido delirio che affliggeva Antonin Artaud nei panni di Cristo e di Vincent Van Gogh.

 

La luce prima è una scintilla: l’istante in cui Emanuele vede il volto della madre, il filo sottile che recide il cordone ombelicale della loro unione, ma che lo scrittore ricuce con parole intense e contagiose, colmando la distanza che separa la vita dalla morte.

 

Sono queste le pagine di un romanzo che sarebbe potuto essere lo spazio di una stanza tutta per sé, che invece abbatte ogni parete e riga dopo riga, diventa una stanza anche per gli altri, un rifugio per tutti quei lettori che, sentendosi orfani di parole, decidono di leggere questo libro e di farlo proprio.

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